PISTOIA. Entrambi, alle piazze, preferiscono i teatri: normale. Sono due professionisti della musica che al clamore dei proclami predilogono i sussurrii delle confidenze e così, per la prima volta a Pistoia e all’interno, subappaltato, del Festival Blues, Fiorella Mannoia e Danilo Rea trasformano piazza del Duomo in una scenografia indoor, con una serie innumerevole di lumini che non vorrebbero essere, ma che sembrano, in realtà, cimiteriali. La piazza, seppur ordinata dalle seggioline, è piena come Festival comanda, così come le tribune, per non parlare delle finestre del Monte dei Paschi di Siena, dalle quali spuntano vari anonimi stakanovisti notturni che in vista di inaspettati esodi prepensionistici, hanno deciso di ricambiare il favore all’azienda facendo gli straordinari. Sul palco c’è spazio solo per il pianoforte di Danilo Rea e così, per introdurre l’amica/signora, intona un medley rileggendo, come pochi altri sanno fare come il 66enne vicentino, Fabrizio De André, i Beatles e i Police, tradendo, per non restare incompreso, i ritornelli de Il pescatore, Here comes the sun, Every breath tou take e Bocca di rosa. Quel poco che resta è riservato al microfono di Fiorella Mannoia, the woman in red, alla quale, la predisposizione delle luminarie, ha lasciato appena due metri quadrati, dove intonerà modeste danze hawayane. Sull’abito da sera rosso, come le scarpe, ha un giacchetto di pelle nero, che terrà giusto il tempo di intonare i primi tributi: Oh che sarà, di Chico Buarque de Hollanda, La cura di Franco Battiato, La donna cannone di Francesco De Gregori e Pino Daniele. Occorre non dimenticare le canzoni, la musica e i testi di coloro i quali hanno indelebilmente segnato il tempo del nostro Paese, soprattutto di quelli che non ci sono più ha detto convintamente, senza filtri demagogici, probabilmente, la 69enne romana, citando appunto Battiato, Daniele e Dalla (del quale, però, di quest’ultimo, non ha cantato nulla). E su questa falsariga della premessa, che le ha fatto onore, ma che le ha consentito di esentarsi da una serie di autointerpretazioni che avrebbero meritato maggior sforzo e attenzione, specie dopo quasi cinquant’anni di carriera, per non parlare dei colleghi non contemplati dalla sua generosa rivisitazione (Finardi, Bennato, Gaber, De Crescenzo, Concato e ci fermiamo qui, ma solo perché è tardi e siamo quasi coetanei dei due artisti) è scivolato via, velocemente, un po’ troppo velocemente, tutto il concerto, un tributo manifesto a colleghi vivi e morti con la stessa candida impegnata naturalezza, quella che l’ha eletta, nonostante un diaframma non certo generosissimo, una delle voci più interessanti dell’intero panorama vocale italiano. Subito dopo, infatti, è stata la volta di Enzo Iannacci e la sua, eterna Mexico e nuvole, Lucio Battisti, con E penso a te e Insieme, l’incantevole Sally, di Vasco Rossi e la pluri rappresentata It’s wonderful, scritta dall’amico Paolo Conte, ma eseguita dalle ugole di una miriade di cantori, Roberto Benigni compreso. Qui sarebbe potuto finire il concerto, ma come tradizione vuole e nessuno ha voglia di stravolgere, Mannoia compresa, Fiorella ha apertamente detto che si sarebbe allontanata con Danilo per fare subito ritorno a patto che la folla avesse chiesto, espressamente, il bis. Anche il pubblico, come i due artisti in scena, non ha voluto essere da meno e allora: Margherita, di Riccardo Cocciante, eseguita, per la prima metà, a cappella e le sue Quello che le donne non dicono e Che sia benedetta. Intorno alle 23,20, dopo un’ora e mezzo di concerto, la Luce tour si è spenta e si sono accese quelle della piazza, per consentire agli ordinatissimi spettatori, di riprendere la via di casa.