PISTOIA. Peccato, veramente peccato, perché il concerto di Damien Rice, che ha chiuso la 42esima edizione del Festival Blues, meriterebbe ben altra emozione, anche solo per riempire questa nuova piccola pagina del diario di questo piccolo Blog. Il condizionale è d’obbligo, perché la cronaca ha la precedenza assoluta e non si può, in alcun modo, soprassedere all’atteggiamento, oggettivamente irritante, dello straordinario 50enne cantautore irlandese che per salire sul palco e dare vita alla sua stratosferica esibizione abbia preteso (e il dramma è che sia stato accontentato) che in piazza (del Duomo) ci fosse buio assoluto; spente tutte le luci, salvando le quattro fioche delle vie d’uscita in caso di pericolo, comprese quelle delle due postazioni fisse di venditori ambulanti, che hanno, adeguandosi, chiuso del tutto i loro esercizi mobili; via tutti i fotografi, tutti: le foto, professionali – ha fatto sapere – (come se da alcuni telefonini, accesi per tutta l'intera esibizione, se ne facessero di meno sofisticate), si sono potute scattare solo negli ultimi tre brani, ma dalla parte diametralmente opposta a quella del palco, illuminato a cimitero. Damien, come chiunque altro, del resto, anche chi non ha la tua voce meravigliosa e non fraseggia musica con tanta intima sofisticazione, quando chiama i suoi amici a casa può fare esattamente quello che vuole. A casa sua. In piazza, del Duomo o in un qualsiasi altro posto, però, quando sei invitato a esibirti e per vederti la gente paga un biglietto e la stampa (soprattutto quella fotografica, da Fiorenzo Giovannelli, autore di tutti gli scatti andati in onda per questo Festival fino a tutti gli altri, lì per lavorare) ha il compito di raccontare le tue gesta artistiche, caro Damien, le tue paturnie, che a noi, tra l’altro, anziché essere figlie di psicopatie sembrano essere progetti architettonici in voga tra gli hipster, le devi lasciare nei tuoi cassetti e consentire a quelli che poi ingigantiscono il tuo meritato successo di fare il loro lavoro. Peccato, veramente peccato, perché il diaframma di Damien Rice ricorda, in versione maschile, un mix tra Bjork e Norah Jones e avere avuto la fortuna di ascoltarlo in quella piazza meravigliosa che è la pistoiese del Duomo, è stato un privilegio difficilmente dimenticabile. Peccato, veramente peccato, perché i duetti vocali e strumentali con Francisca Barreto, la brasiliana che fa parte del suo staff, sono stati qualcosa di struggente, delicatissimo, sontuoso. Unica nota dolente, oltre al cappello dell’intera serata, è stato il fuori programma con una spettatrice, con la quale ha diviso e condiviso, seduto proprio sul limitare del palcoscenico, una velocissima pudica intimità, cinque, dieci minuti durante i quali, entrambi, hanno mandato giù quattro calici di qualcosa che non era certo acqua e visto e considerato che la Guardia di Finanza, la Polizia e i Carabinieri, ogni giorno di Festival, hanno pattugliato gli ingressi per cercare di individuare e segnalare alle Autorità competenti consumatori di sostanze debolmente stupefacenti, beh, certi festeggiamenti, pensando ai 51.000 decessi l’anno di cirrosi epatica, andrebbero, se non evitati, per lo meno non esaltati. Di questa, modesta, edizione del Festival Blues ne parleremo, dettagliatamente, in questi giorni; oggi, ci limitiamo alla cronaca, veramente ignobile, di questa piccola conclusiva storia collaterale.

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