BARDALONE (PT). Nacquero avanti e contromano; quando arrivarono allo scontro, inevitabile, con buona parte della musica tutta, quella affidata ai montoni di Panurgo (che oggi spopola), la deflagrazione fu assordante. Ci rimisero solo loro, naturalmente, gli Area, che in compenso, dopo mezzo secolo di depistaggi storici, politici e musicali e un oblio forzoso al quale sono stati costretti tutti, anche i sopravvissuti di quell’irriproducibile esperienza, si continuano a studiare. Lo fanno i fratelli reduci, con la solita meravigliosa attenzione, Patrizio e Stefano Fariselli (gli amici di Demetrio), al piano e al synth e ai fiati, che hanno ammaliato, nel loro meraviglioso progetto di apocrifa resurrezione, tre soggetti che avrebbero potuto tranquillamente essere artefici della prima edizione: Marco Micheli al basso, Walter Paoli alla batteria e Claudia Tellini alla voce (nella foto di Fiorenzo Giovannelli; in altura, non c’è flash che lo insidi). Lo sa bene Maurizio Geri, direttore artistico di Toscana Django Festival, che si veste Donald Fagen style, musicista e persona preziosa, uno dei protagonisti della prima serata, quella del debutto, al Palazzetto Pertini di Bardalone, sulla Montagna pistoiese, alla chitarra, come il collega Francesco Greppi, con Federico Zaltron al violino, Pippi Dimonte al contrabbasso e Marie Cristine Brambilla alla voce, per formare il quintetto omonimo al chitarrista Tchavolo Schmitt. Il palco è posto al centro del campo di basket dell’impianto sportivo; i due canestri sono equidistanti dall’opposta estremità del rettangolo rialzato a ospitare i musicisti. Su parte del parquet, enormi tappeti grigi, dove sono posizionate una dozzina di file di seggioline. Ma dalla tribuna, dove si sta scomodissimi, si vede e si sente meglio; una volta ogni tanto, agli ultimi, è andata bene. Il palazzetto, con ingiustificata e ingiustificabile lentezza, che stride con la velocità con la quale la montagna si spopola e lascia i pochi nostalgici rantolare nella solitudine, si riempie e alle 22, con temperature polari all’esterno, inizia il concerto. Due omaggi greci, poi, l’essenza della serata: Arbeit macht frei, che è l’agghiacciante motto posto all’ingresso di parecchi campi di concentramento nazista durante la seconda guerra mondiale, ma è anche il primo e indimenticabile album degli Area, che vollero, insindacabilmente, oltre a dare forza alla loro volontà artistico/musicale sperimentale, lanciare e lasciare un messaggio inequivocabile. Smettiamo di tornare indietro nel tempo e concentriamoci sull’esibizione di ieri sera: stratosferica, con la netta, nettissima, sensazione, di assistere a un concerto, offerto in un metaverso che ci auguriamo prenda il sopravvento, dei Weather Report, ad esempio, o a una reunion degli Steps Ahead. Il punto musicale più alto, qualora si riuscisse a individuarne di minori, è la reinterpretazione di 240 chilometri da Smirne, che si associa, per bellezza, difficoltà e siderale anticipazione strumentale, al duetto basso/batteria, intonato e innalzato a enne potenza dalla meticolosa bravura dei due protagonisti, Micheli e Paoli, artefici di un dono di rara bellezza. Ma tra il pubblico, a parte, seppur molto alto, un moccioso accompagnato da una mamma da appalusi, i presenti, con la musica degli Area e con i loro sogni, tutti infranti, ci sono cresciuti tutti e le riletture, oggettivamente straordinarie, senza la minima intenzione di ricalcare orme indelebili, ma invisibili, proposte dai protagonisti, han trovato terra e cuori fertili, piacevolmente disposti a questo adorabile ricordo. Il compito più arduo, naturalmente, è toccato a quell’essere meraviglioso che risponde al nome di Claudia Tellini, che non si è minimamente permessa di voler entrare in sintonia con Demetrio Stratos, ma non solo perché dalla sua morte siano già passati quarantaquattro anni, ma soprattutto perché imitarlo non avrebbe avuto alcun senso. E poi, con quella personalità e con quella voce, non ha certo bisogno di riferimenti: è lei, il suo riferimento e ascoltarla e vederla continua a essere un lusso particolarmente gradito. Attorno a Maurizio Geri e altri personaggi delle alture tosco/emiliane andrebbero costruiti alcuni progetti seri, altrimenti, a parte Maometto, solo l'approssimarsi della fine del mondo potrebbe rendere alle pendici appenniniche il loro giusto onore.