CASALGUIDI (PT). L’impressione è che, se potesse, almeno in pubblico, durante i suoi concerti, Milano e Vincenzo e Settembre vorrebbe non eseguirle più. Certo, senza quelle due canzoni, se non avesse indovinato, all’epoca, decenni e decenni or sono, alla perfezione, quei testi e quelle musiche, la sua carriera, avrebbe forse avuto una parabola diversa. Chissà. Resta il fatto che Alberto Fortis, alla soglia dei settant’anni, non ha ancora smesso di credere in quel che fa e non solo perché, probabilmente, non potrebbe fare altro. E non basta osservare il suo abbigliamento, scintillante esattamente come negli anni ’70, quando si presentò e rapì subito il pubblico, né constatare, con non poca invidia, come il grasso e gli zuccheri, a lui, continuino a non produrre alcun effetto collaterale, come se invece che sessantotto anni ne avesse ancora venti. Al di là di ogni ragionevole considerazione sulla tenuta psicofisica del cantautore piemontese, dobbiamo scendere nei dettagli artistici e parlarvi del concerto che ieri sera, per il primo giorno della festa di Casalguidi, comune situato lungo la bisettrice che collega Pistoia con il versante occidentale di Firenze, ha tenuto nella piazza del paese, con gli spettatori, accorsi con moderazione, forse un po’ troppo distratti dal carosello di hamburger, fritti misti e birre che si sono continuati a succedere nelle immediate vicinanze. Ma Alberto Fortis, navigato professionista con alle spalle quarant’anni di musica e fedele alla sua linea morale che l’ha tenuto lontano, sempre e con leggera tenacia, dal gossip, dalle fastidiose invadenze nella sfera personale e da improbabili cavalcate sul dorso di cavalli stagionali, si è seduto al piano e con quella voce da profeta non ancora disilluso, ha snocciolato il suo repertorio, una discografia che, oggettivamente, manca l’appuntamento con i successi da un po’ troppi anni. Con lui, sul palco allestito nella piazza e accerchiato dall’esposizione di trattori, mezzi cingolati e bancarelle ricche di dolciumi che Fortis, probabilmente, non ha mai mangiato, vista la linea, la sua formazione, con i vocalismi di Mary Montesano, la batteria di Marco Porritiello, le tastiere di Luca Fraula, la chitarra di Giovanni Maggiore e il basso di Franco Cristaldi, una microbanda di professionisti ognuno dei quali vanta prestigiosi trascorsi in Conservatori e scuole jazz. Tra il pubblico, a parte quella fetta ondivaga di spettatori che hanno ondeggiato solo per il gusto di passeggiare nel paese in festa, quasi tutti canuti e verso i sessanta, attratti, senza scendere nelle singole specifiche passioni di ognuno di loro, proprio da quei due motivi dei quali abbiamo fatto cenno all’inizio e che sono, per il suo autore, sicuramente delizia, ma anche – e questo lo diciamo senza poterne avere alcuna certezza – forse anche croce, quei due legni posti tra loro perpendicolarmente che hanno segnato, indelebilmente e come un marchio forse troppo identificativo, la sua biografia musicale. Certo, ha anche scritto e suonato molto altro, al fianco di formazioni prestigiose come la Premiata Forneria Marconi, ad esempio, sempre, tra l’altro, privilegiando il gusto sonoro e proteggendo, con dignità, un diaframma parecchio particolare, che con il trascorrere dei decenni, quelli nei quali i cantanti sono nati alla stregua di funghi e conigli, si è rivelato quasi unico. Ma resta il dubbio che se sulla sua strada, Vincenzo Mecocci non gli avesse messo, inutilmente, i bastoni tra le ruote, Alberto Fortis, oggi, forse, sarebbe potuto essere un rispettabilissimo medico/chirurgo; in pensione.