MONSUMMANO (PT). Si riferiva a uno spietato boss della Camorra, Marco D’Amore, regista e protagonista de L’Immortale. Ma visto che è di una zona limitrofa, Caserta, per l’esattezza, avrà pensato anche lui, sicuramente, titolando il suo film, che quell’aggettivo è forse il più adeguato e adattomparlando di Pino Daniele. E anche noi la pensiamo così, anche se la terra ai piedi del Vesuvio, di immortali, ne ha già partoriti più d’uno, negli ultimi cento anni: Totò, Eduardo e l’incommensurabile Troisi. Anzi. Di più, perché l’operazione musicale, sociale, politica e culturale effettuata da Pino Daniele soprattutto con la pubblicazione dei primi quattro album (Terra mia, 1977; Pino Daniele, 1979; Nero a metà, 1980 e Vai mo’, 1981), è di un’impressionante vastità poeticomusicale e di un’importanza cosmica, non solo per l’aria folkloristicamente tarantelleggiante del sound partenopeo prima del suo avvento. Vorremmo continuare a scrivere per ore, dell’uomo del blues; tutte le volte che lo facciamo, in cuor nostro, abbiamo il potere di resuscitarlo, nonostante la sua musica e i suoi testi difficilmente, un giorno, moriranno. Però, un pretesto per scrivere di Lui, oggi, lo abbiamo e dunque, lo facciamo risorgere. Grazie ad Andrea Gorza (basso), Meme Lucarelli (chitarra e voce) e Gennaro Scarpato (batteria, percussioni, kazoo, armonica, handpan, didjeridu, conchiglie e tutto ciò che possa emettere un suono, addomesticabile dalle sue mani), che ieri sera, al Teatro Yves Montand di Monsummano Terme, hanno dato vita a un meraviglioso ricordo del cantautore scomparso il 4 gennaio di nove anni fa, sì, ma solo pubblicamente, ufficiosamente: chi si avvicina alla musica, ai testi poetici da far vivere e convivere con le note, non può che passare al vaglio e considerare, tassonomicamente, la sua enciclopedia, come fanno, da sempre, i tre musicisti saliti sul palco. Durante l’esibizione di alcune canzoni, anche Siria Barsanti, modella e ballerina, terza non napoletana, come Andrea e Meme, ha voluto omaggiare il sontuoso menestrello; lo ha fatto ballando, con fisicità e trasporto, passione e amore. Sullo schermo che abbraccia i tre musicisti, alcune immagini di esibizioni di Pino; i vicoli napoletani, la gente e i colori di quella terra, Terra Sua (Mia), struggente poema generazionale, che è diventato un inno, una condanna, una speranza, scritto alla sola età di quindici anni, un momento adolescenziale che lo stesso autore ha considerato un manifesto esistenziale, punto elastico di arrivo e partenza, inizio e fine. La carrellata di alcuni suoi successi (farli tutti avrebbe voluto dire chiudere il sipario all’alba) è partita (dopo una puntualizzazione cronologica; 19 settembre 1981, concerto organizzato alla benmeglio a Napoli: il giorno della consacrazione) da Che te ne fotte, per arrivare, in una delicatissima serata di nostalgia creativa, fino a Yes I Know My Way, attraversando le varie epoche danieliane, con Je sto vicino a te, Notte che se ne va, Bella ‘mbriana, Je so pazzo, Chill’ è nu buone guaglione, Gente distratta, Chi tene ‘o mare, Anna verrà, Viente, E passerà, Quanno chiove, Nun me scuccià, Che male c’è, un medley di Terra Mia, O scarrafone, brani puntualmente supportati da immagini (da Anna Magnani a Massimo Troisi, passando per il poliedrico Beppe Lanzetta, musicista, pittore, scrittore, autore di quel capolavoro titolato Una vita post datata) alle spalle che hanno fatto da Cicerone alle sue poesie, fino all’immancabile bis, Napul’è, con un assolo alla chitarra di Meme Lucarelli in memoria di quel capolavoro, Quando, momento particolare della serata nel quale il chitarrista lucchese si è ricordato e ha ricordato a chi lo segue da tempo che uno dei suoi punti di riferimento, musicalmente, oltre a tutte le sei corde che hanno fatto la storia della musica, è anche, e soprattutto, Lee Reetenour. Poi, la serata, si è conclusa; in Teatro, solo in Teatro. Ognuno di noi, rincasando, oltre a ringraziare i tre sessionisti, che non si sono cimentati in quell’orribile operazione Tributo, ma hanno dato al pubblico quello che Pino ha regalato a loro, riproducendolo così come hanno saputo e potuto cibarsene, ha continuato a canticchiare, fischiettare e ricordare alcune sue poesie, concludendo che è proprio così: Pino Daniele è L’Immortale.