FIRENZE. Con un po’ di emozione, un filo di rabbia e tanta, tantissima, soddisfazione. I trent’anni di Gelosia li ha festeggiati così, ieri, a casa sua. Certo, quando si misero insieme e decisero che il funk non fosse appannaggio degli anglofoni e che potesse essere suonato e cantato anche in italiano, il Viper non esisteva ancora; alle Piagge, prima ancora che don Alessandro Santoro così la nomasse, il dominio musicale era solo e soltanto del Tenax. Ma a Firenze, negli intasatissimi anni ’90, i Dirotta su Cuba si imposero immediatamente. La voglia di ballare era altissima e quando Rossano Gentili, che ieri è salito sul palco, per il bis, i ringraziamenti, sulle note di quel brano che li catapultò ovunque, senza dirottamenti, scrisse Gelosia, la voce di Simona Bencini divenne immediatamente, improvvisamente e giustamente un’autorità musicale. Era il 1994; Simona aveva 25 anni e una voglia, indiscriminata, di spaccare tutto. Occorreva che qualcuno le desse la possibilità di farlo senza essere denunciata. Ci pensò la musica, ci pensarono Rossano Gentili e Stefano De Donato, piano e basso, a dare a quella meravigliosa creatura il microfono del funk. Fu subito un tutt’uno, così come consigliato da Lupo Alberto; fu subito Dirotta su Cuba. Trent’anni dopo, alle Piagge, dopo una lunghissima, immotivata e delittuosa assenza dai palcoscenici fiorentini, Simona Bencini e i suoi nuovi strumentisti (Emiliano Pari, voce e tastiere, Stefano Profazi, voce e chitarra, Vincenzo Profano, batteria, Patrizio Sacco, basso, Donato Sensini, sax e Luca Iaboni alla tromba; tutti romani, dunque, i nuovi Dirottasuccubba), che non hanno smarrito groove, definizione a origine controllata e voglia di saltare, si sono (ri)presentati alla loro gente a urlare che, nonostante di cose ne sian cambiate tante, da allora, la loro voglia, professionale, di cantare, è ancora intatta, vergine, esplosiva. E allora, alle 21,34, su quell’ex garage delle Piagge, al Viper, dove si mastica la musica per chi non ha paura di sbagliare, la parte strumentale dei Dirotta su Cuba è salita sul palco; un intro veloce, ma composta, per ricordare ai presenti che di funk, loro, non sono ancora sazi e per srotolare il tappeto rosso alla Regina di casa, Simona Bencini, in gonna glicine con lo spacco posteriore, anni ’40 e cappello con le tese, scarpe tacco dodici e pellicciotto sintetico fucsia. Fucsia è anche la camicia, trasparente e fucsia è il reggiseno. Solo gli occhiali non sono fucsia, ma è il modello Diane Schuur. Prima di iniziare a intonare Liberi, Simona si è presa un angolo di contemplabile nostalgia, ringraziando tutto e tutti, uno a uno, nomi e cognomi, quelli che trent’anni fa le permisero di dimostrare, a pieno regime, che la sua fosse una delle voci più belle in circolazione. Parecchi dei suoi ex colleghi erano in sala a ballare con il pubblico (molti altri no, ma solo perché inderogabilmente impegnati altrove: Riccardo Onori, Mario Biondi, Gegè Telesforo, i Neri per caso, Fabrizio Bosso), perché il funk è contagioso e non solo per chi lo ascolta. Dopo Legami e I silenzi, la splendida fiorentina si è liberata del pellicciotto, molto funk, ma troppo caldo, e ha continuato a inanellare le canzoni che nessuno ha potuto e voluto dimenticare: Macchia, Vivere con te, Dove sei, in un esemplare crescendo di discomusic per palati fini, di dance ad alti livelli; di funk allo stato puro, in parole povere, quello con cui si sono confrontati e riconosciuti i migliori musicisti globali, da George Benson a Prince, passando attraverso un nugolo sontuoso di eccellenti altri strumentisti e cantanti. Il pubblico fiorentino (ma non erano tutti indigeni, eh; abbiamo sentito emiliani, lombardi, romani e una comitiva di olandesi, ai quali hanno detto che i Dirotta su Cuba sono la traduzione letterale degli Incognito) ha tenuto a farlo sapere, alla sua Simona, di non averla mai dimenticata e di averla aspettata così tanto tempo. Lunghissima e snervante attesa ampiamente ripagata dall’esibizione della 55enne fiorentina in perfetto amalgama con la sua nuova band, che si è preoccupata soltanto di continuare a solcare quella traccia meravigliosa battezzata 35 anni prima, quando Simona Bencini non sapeva ancora che sarebbe di lì a poco diventata Simona Bencini. Ma È andata così e non avrebbe potuto essere altrimenti, soprattutto pensando a quell’edizione di Sanremo, in compagnia dell’armonica di Toots Thielemans, per passare, come uno sparo improvviso, da Bang, per poi omaggiare le origini del funk con l’unica esibizione della serata in inglese, Nothing!, per imboccare la gente fino all’epilogo, con l’interpretazione, belle come la prima volta, di Sensibilità, Notti d’estate e una rilettura, audace, ma rispettosa fino alla venerazione, di uno dei capolavori di Lucio Battisti, Sì, viaggiare. Chitarra, basso, tromba e sax al cielo, grazie di tutto, buonanotte. E Gelosia; non si festeggiano i trent’anni? Ma certo, è il bis e al piano, come settimo strumentista, c’è proprio lui, l’autore di quel motivo, Rossano Gentili, felice e stupito di ritrovare, esattamente nella stessa identica situazione, la piccola Simona, che nonostante, nel frattempo, sia diventata una donna, è riuscita a conservare l’energia adolescenziale di chi crede che i sogni si avverino. Arriva la torta, con le candeline che il pubblico, soffiando forte, spegne. Ora, il concerto, è finito davvero, ma omaggiando i Delirium e la loro Jasahel, sempre sulle note del funk, quelle rubata trentacinque anni fa in chissà quale aeroporto e portate fino a Cuba; anzi, Dirottate su Cuba.

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