PISTOIA. Le seggioline blu in Piazza del Duomo, che quando comparvero, alcuni Festival or sono, ci dettero – e non poco – fastidio, nel tempo, proprio come un punto di vista, hanno assunto ben altro significato e ora sono quasi benedette. Per lo spettacolo di ieri sera, infatti, uno di questo 43esimo Festival Blues, sono state ideali; le esibizioni della formazione Elio e le storie tese (nella foto di Gabriele Acerboni) non sono mai stati concerti veri e propri, anche se musicalmente ogni singolo socio della band milanese ha davvero ben poco da imparare da chiunque. Sono spettacoli teatrali, con una colonna sonora invasiva che fa da collant tra una cauta blasfemia e meleggiamenti vari, tra qualche denuncia politicamente correttissima e un’insana, condivisa e applaudita voglia di divertirsi. Anche loro però, i dissacratori della Madunina, nonostante si stessero affermando nei circuiti alternativi già da parecchi anni, per entrare nel cuore e nelle ariette dell’immaginario collettivo popolare hanno dovuto necessariamente attraversare le forche caudine di Sanremo (1996) e diventare così la cresta evoluta dell’ermetismo musicale, abbozzata, ma senza il dovuto tributo in coda, dagli Skiantos. E sulle seggioline blu e sugli spalti, ieri sera, per l’appuntamento di mezzo di questo nuovo Festival pistoiese, si sono accomodati non pochi spettatori, intorno alle tremila persone, che hanno seguito con memoria tassonomica e maniacale ogni singola esibizione delle cantate apocrife di Stefano Elio Belisari e di tutti quelli che, dal giorno della fondazione (1980) a oggi, hanno impreziosito, tanto nel linguaggio, quanto nella musica, il rock demenziale, ma anche una fusion involontaria e un po’ di blues tinteggiato di reggae, tutto il repertorio della formazione. Non a caso, dopo una litania registrata, lo spettacolo ha aperto le danze e interrotto la messianica ascetica attesa del pubblico con La terra dei cachi, quel simpaticissimo motivetto che nel covo ligure dell’ovvio, trent’anni fa circa, dette il passaporto a Elio e ai suoi amici, che ne fecero un uso più che sapiente. In totale completo bianco, con un fondo palco illuminato a Muro di Berlino il giorno del suo triste abbattimento, Elio e i suoi compagni di viaggio, quelli con i quali sponsorizza, alla loro maniera, certo, le vantaggiosissime offerte di un conto corrente bancario, si sono prodigati nell’esibizione dei loro pezzi più conosciuti, dal Vitello dai piedi di balsa fino a Servi della Gleba, una macedonia estratta dopo aver sapientemente frullato i dieci album della loro discografia. Irriverenti con gli stupidi come con i dotti, gli Amici di Elio hanno comunque regalato una serata alla loro insegna, quella che il loro pubblico desidera ricevere; un baratto perfettamente riuscito. Giovedì e venerdì, Piazza del Duomo, prima di concedere ad Antonello Venditti e ai suoi quarant'anni di notte prima degli esami, ospiterà, in ordine, Mario Biondi, Dee Dee Bridgewater, Matteo Mancuso e il gruppo di Mark Lettieri, che sono, nell’ordine, un raffinatissimo musicista siciliano emigrato in Scozia per essere conosciuto e riconosciuto poi da tutto il mondo, una delle ultime eredi della voce femminile del jazz, un giovanissimo chitarrista palermitano con due mani slegate che suonano, contemporaneamente, due cose diverse e una band di super contaminazioni. Di nessuno di loro ricordiamo a mente le canzoni e non saremmo neanche in grado di fischiettarne le arie, ma giovedì e venerdì, Piazza del Duomo somiglierà molto, moltissimo, la Piazza che ricordiamo, quella del 13, 14 e 15 luglio 1980.

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