PISTOIA. È una di quelle circostanze giornalistiche, questa, nella quale il carico di informazioni, vista la sua abbondanza, rischia davvero di ingolfare la fluidità del racconto, che ci apprestiamo a snocciolarvi con la consapevolezza e la fortuna di poter dimostrare di esserci stati. Partiamo dai dettagli, che, sovente, fanno la differenza. Il vestitino sopra le ginocchia (firmato Disegual, siamo pronti a scommetterci) con il quale Dee Dee Bridgewater si è presentata al pubblico del Festival Blues ieri sera merita, al di là di qualsivoglia contesto, un applauso a scena aperta. Per non parlare dei sandali, senza tacchi, della paglietta/non paglietta in testa, dell’unica collana, dei vari anelli e degli occhiali strafichissimi con innumerevoli strass lungo la montatura: meravigliosa, quanto la sua voce e soprattutto quanto le tre strumentiste con le quali ha aperto la scena, tre talenti straordinari che sono stata la dimostrazione, evidente e inoppugnabile, di come le quote rosa, o la parità di genere, siano concetti di sola alta demagogia: la statunitense Carmen Staaf, pantaloni e fruits, direttrice musicale disposta in perfetto equilibrio ed equidistanza dal piano e dall’organo Hammond; la 38enne veneziana Rosa Brunello, ambientalista equosolidale, bandleader di varie formazioni, al basso elettrico e al contrabbasso e la batteria, oltre ogni più incredibile e rosea meraviglia, di Evita Polidoro, 29enne milanese, naturalizzata senese e poi romana, in perfetta mise da testimone di nozze. Tre insindacabili dimostrazioni di come il mondo femminile possa essere rappresentato anche, e soprattutto, se è quello che si vuole, da impeccabili professionalità, magistrali personalità, autorevolissime competenze, che non hanno alcun bisogno di ulteriori dettagli scenici, eccitanti suppellettili e ammiccamenti che dovrebbero spostare l’attenzione dal suono al sogno. Tre turniste da rara bellezza, efficacia, semplicità; tre suoni nitidi, puliti, ma coraggiosissimi, mai banali, con i quali, con grazia e deontologia professionali, si sono messe a disposizione della vecchia, ma non ancora satolla, voglia di esistere di Dee Dee Bridgewater, la 74enne di Memphis che ieri sera, in quella piazza pistoiese dove, negli ultimi 44 anni, è passato a esibirsi il meglio che ci fosse e ci sia stato in giro per il mondo, ha ulteriormente confermato come la nomea che si porta addosso di essere una delle ultime voci del jazz non sia un modo di dire, ma un’insopprimibile constatazione. Qualche standard, un omaggio a Nina Simone e Ella Fitzgerald (l’interpretazione di Dindi ha meritato il prezzo del biglietto) e il suo repertorio vocale ancora immenso, seppur centellinato con dovizia e consapevolezza. Anche se con le seggioline blu, che, - ribadiamo – da quando siamo invecchiati, sono particolarmente gradite, in Piazza del Duomo, ieri sera, si è respirato la medesima aria e fragranza dei migliori Festival, quelli nei quali si stentava a credere che il cartellone contemplasse nugoli di mostri sacri tutti insieme.

Sembrava la serata migliore per nostalgicizzare l'evento, anche perché, dopo i cinquanta meravigliosi minuti trascorsi con Dee Dee Bridgewater e le sue impeccabili turniste, è stata la volta di Mario Biondi, musicista di caratura internazionale che proprio a Pistoia, dieci anni fa, venne a raccogliere i grazie e gli omaggi della piazza nel bel mezzo della sua notorietà. Ieri sera, però – e la nostra sensazione è stata condivisa da parecchi altri spettatori che hanno abbandonato anzitempo il concerto – sembrava davvero, nonostante le lodi rivolte a organizzatori e ambiente, che di esibirsi, il crooner catanese, non ne avesse gran voglia. Un animale da palcoscenico non è mai stato, questo è vero; elegante e raffinato (anche ieri sera ha sfoggiato un impeccabile completo color sabbia), si è limitato a qualche battuta, tra l’altro scontata, con un tecnico e con uno dei suoi numerosi e impeccabili sessionisti e anche nelle esibizioni non ha mai dato importanti e tangibili segnali emotivi, come se, a questo appuntamento con il Festival non potesse, tutto sommato, dire di no. La donna cannone di Francesco De Gregori, l’immortale Prendila così, di Lucio Battisti hanno anticipato, oltre qualche intramontabile pezzo swingfusion, This is what you are, con il quale in molti abbiamo pensato avrebbe chiuso l'esibizione. Non è stato l’ultimo brano, invece, interpretato con misurato trasporto, tra l’altro, ma uno degli ultimi, senza però che il pubblico, da quel momento in poi, si potesse e dovesse lasciarsi andare verso l’epilogo struggente di una serata da Festival.  

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