PISTOIA. Serata migliore, Nick Becattini, per congedarsi ufficialmente dalla musica suonata, non avrebbe potuto desiderala. Dopo essere stato, per molti lustri, una delle migliori Chitarre Blues e averlo dimostrato, più di una volta, proprio sul palco della Piazza della città dove è nato, cresciuto, coltivato i propri sogni e averli visti realizzati, ieri sera, al penultimo appuntamento della 43esima edizione del Festival Blues, ieri sera, tra Mark Lettieri e Matteo Mancuso, due stratosferiche adorabili realtà mondiali, ad aiutarlo per salire su quel palco e raccogliere l’ennesimo scroscio di applausi, sulle note di Sweet Home Pistoia, ci ha pensato uno dei suoi grandi, vecchi, amici, Silvano Martini, la Sicurezza. Si è presentato sulla sedia a rotelle, condizione alla quale è stato condannato da una malattia che non perdona: la Sla. Nick Becattini, invece, quella malattia, e tutto il destino avverso, l’ha già perdonati, perché dopo essere stato una delle sei corde più pregiate, è diventato un uomo ancor più prezioso, capace di dispensare, dall’immensa profondità del suo dolore, comprensione, coraggio, amore. Serate più appropriate non potevano essercene per questo commovente, meraviglioso, congedo, perché Mark Lettieri e il suo gruppo, e Matteo Mancuso, con il suo terzetto, hanno dato vita a una delle notti musicalmente più autorevoli di Pistoia. Ha aperto le danze il 40enne texano, storico fondatore degli Snarky Puppy, con il suo raffinatissimo jazz contaminato da tutto quello che vi passa per le trombe di Eustachio, una meravigliosa amalgama di informazioni sonore che gli è valsa la collezione di ben cinque Grammy Award e un’inarrestabile, crescente notorietà cosmica, tanto lungo le rotte alternative (una volta; oggi sono quelle ufficiali) delle piattaforme, quanto su quelle live e dei raduni per soli illustri addetti ai lavori.

Gusto e nitore, leggerezza e profondità, fantasia ed erudizione; la sua melodia passa attraverso il naturale altalenarsi di queste raffinatissime doti, con le quali padroneggia e guida la sua band: Jason JT Thomas alla batteria, Daniel Porter alle tastiere ed Eoin Walsh al basso. Un viaggio supersonico millimetrico, nel quale, oltre a deliziare il pubblico (poco più di duemila spettatori; è quello che ci si aspetta quando la musica si fa dura e i duri vanno ad ascoltarla) con avveniristiche intuizioni, lo coccola con la rilettura strumentale di Time After Time, uno dei brani più indimenticabili di quella fertilissima meravigliosa stagione muiscale degli anni ’80 e ’90, grazie all’interpretazione di quel genio ribelle di Cindy Lauper. Dopo, la predestinazione in carne e ossa, la reincarnazione di mille stili, l’incomprensibile semplificazione di concetti strumentalmente dotti e cattedrali. Matteo Mancuso, 26enne (ma ne dimostra meno, davvero) palermitano, accompagnato da due amici conterranei (non c’è solo la Mafia, da quelle parti; ci sono anche i fuoriclasse) che se non fossero così eruditi non potrebbero stare in sua compagnia, sui palcoscenici: Riccardo Oliva al basso e Gianluca Pellerito alla batteria. Ascoltare Matteo Mancuso ad occhi chiusi equivale a sottoporsi a un esercizio mnemonico di difficilissime intuizione e soluzione. Ma anziché stabilire a chi somigli di più, se a Pat Metheny o Al di Meola, se a Joe Bonamassa o Franco Cerri, guardatelo attentamente e cercate di stabilire un punto di contatto ottimale ed ortogonale tra la mano sinistra che volteggia sui capotasti e la destra che sembra stia suonando altre cose. Alcune volte si ha l’impressione che voglia entrare nel circolo vizioso di SRV, altre, invece, che cerchi di raggiungere una destinazione nota e famosa percorrendo strade alternative sconosciute anche ai più abili viaggiatori, ma anche alle mappe e itinerari ufficiali. Un mostro di velocità e precisione, padronanza e sfrontatezza. Qualcuno lo accusa di non aver abbastanza anima per rapire il cuore degli spettatori; a nostro avviso, ne ha troppa, ma occorre dare il tempo, a chi lo ascolta, di capire che il suo linguaggio muto appartiene già al mondo dell’intelligenza artificiale, quella costruita dai fuoriclasse, concentrati e illuminati solo e soltanto dallo studio meticoloso dei loro strumenti.

Prima di dare la buonanotte e aver sfamato chi di musica colta ne aveva vitale bisogno, il giovane e piccolo Matteo ha chiamato sul palco suo fratello più grande Mark, con il quale si è sbizzarrito in un match che non contemplava vincitori e vinti, ma solo una gara di generosità. Ci starebbe stato benissimo anche Nick, nel bel mezzo di quella magistrale sontuosa contesa.

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