PISTOIA. Non ha mai fatto un passo più lungo delle sue gambe, Antonello Venditti (nella foto di un Amico): è nato, giovanissimo, con la scuola cantautoriale romana e, senza mai osare nulla, né retrocedere di un millimetro, ha inanellato una lunga serie di poesie, molte delle quali appartengono, indelebilmente, all’immaginario collettivo di una generazione tradita, quella di chi ha sognato, spesso senza fare nulla perché ciò accadesse, che un altro mondo fosse possibile. E alla veneranda età di settantacinque anni, portati con estrema disinvoltura, continua a girare l’Italia in tournée, nell’occasione specifica per festeggiare quarant’anni di Cuore, uno degli album - il nono, per l’esattezza - più fortunati di una carriera costellata dalla vendita di quaranta milioni di copie vendute, un traguardo che lo pone ai vertici del gradimento popolare. Il palcoscenico di Pistoia, per il Festival Blues, non è forse il proscenio più adatto alle melodie del cantautore romano, ma Piazza del Duomo sì e il tutto esaurito che si è registrato ieri sera per il suo concerto, ultima serata di questo 43esimo Festival Blues, ne è una lampante e indiscutibile dimostrazione. Ha iniziato al pianoforte, con due brani che appartengono a un’altra fortunatissima registrazione: Nata sotto il segno dei pesci: Bomba o non bomba (che descrive la tenacia e l’ostinazione al successo profusi con il suo compagno di viaggio Francesco de Gregori) e l’omonimo brano che dette il titolo al fortunatissimo, e per molti versi decisivo per la sua carriera, 33 giri. Poi, sempre restando a quell’incisione, ha interpretato Giulia, rassicurando il pubblico, che avrebbe fatto l’alba in compagnia delle sue canzoni, che per avvicinarsi a Cuore avrebbe prediletto l’interpretazione senza inabissarsi nelle spiegazioni. E nonostante, lungo il concerto, Antonio Venditti, che qualcuno gli suggerì, fortunatamente, di ribattezzarsi Antonello, abbia tralasciato molte canzoni che l’ordinatissimo pubblico di Pistoia avrebbe volentieri cantato insieme a lui, conoscendone a mente testi, pause e gorgheggi, le luci della Piazza e del Festival si sono spente un quarto d’ora dopo la mezzanotte, dopo centosessantacinque minuti di esibizione, un dato temporale e numerico che, per uno che si avvia all’ottantina, è di assoluto riguardo. Prima di arrivare a snocciolare tutti e gli otto brani che compongono il Long Playing che dà il nome al tour per i festeggiamenti dei suoi quarant’anni, Venditti racconta qualche premessa, spesso immergendosi in ragionamenti e considerazioni molto opinabili, ma che fanno chimicamente parte del personaggio, proponendo alla piazza Lacrime di pioggia, Peppino e Giulio Cesare. Sono già passate le 22,30; il tempo stringe e per non rischiare di far perdere a molti spettatori non indigeni, che non hanno preso la macchina, l’ultimo treno per Firenze in partenza all’una di notte, bisogna che il cantastorie metropolitano non si perda in quelle chiacchiere che lui adora e che il pubblico, che comunque vuole sentirlo cantare, non disdegna affatto. Per Cuore rispetterà la scaletta dell’incisione originale, interpretando, in sequenza, Notte prima degli esami (e lo fa tornando al pianoforte), Mai nessun video mai (l’amara profezia dell’immortalarsi telematico), Qui, Non è la cocaina (la gradita tossicodipendenza dell’amore), Ci vorrebbe un amico, L’ottimista (le sue scaramucce con Bettino Craxi e quella stagione di corrotti e mafiosi, purtroppo mai interrotta e probabilmente interminabile), Piero e Cinzia (l’unico brano del suo lungo repertorio che reaggeggia, visto che si ispira all’aneddoto del concerto di Bob Marley a San Siro, del giugno 1980, aperto da Pino Daniele, per inciso, che due settimane dopo, il 14 luglio, impreziosirà la seconda serata del primo Blues’In) e Stella. Sono abbondantemente passate le 23; il compito è stato svolto con dovizia, partecipazione e professionalità, grazie soprattutto alla sua pluridecorata e corposa band; si potrebbe anche chiudere qui. Ma il pubblico vuole canticchiare ancora i suoi successi e allora, Dì una parola (dedicata alle donne), Che fantastica storia è la vita, Dalla pelle al cuore, Amici mai, Alta marea, Benvenuti in paradiso e, gran finale, In questo mondo di ladri. La nostra impeccabile tassonomia descrittiva, per la recensione del concerto di Venditti, il merito, unico, è di Anna Nigro, rispettabilissima pittrice, amica vera, che il caso ha voluto che, in attesa del marito, si sia seduta vicina a noi e, munita di quel marchingegno con il quale, dal telefonino, si può risalire al titolo di una canzone dopo aver registrato le prime note musicali, si sia potuto trascrivere, su un pezzo di carta, la scaletta del concerto. La consegna della sua inseparabile paglia a uno dei suoi ammiratori più appassionati segna la fine della serata. Si spengono le luci, ma non tacciono le voci; il bis è lì, alle porte, che aspetta solo di essere chiamato e allora, per rafforzare il legame con la sua/nostra adoratissima e infernale città, Roma capoccia e il suo arrivederci ad altro anniversario, con Ricordati di me. Stai tranquillo, Venditti; quelli che erano in piazza e molti altri, di te, non si scorderanno mai.