SERAVEZZA (LU). Invece del solito bis, si sono stretti in circolo, sul palcoscenico, per ringraziare un’altra serata maiuscola, affidando la musica di congedo (Could you be loved) dopo due ore scarse di musica, a uno di quelli (Bob Marley) con i quali, agli esordi, oltre quarant’anni fa, spartirono sogni e successi di un’epoca che aveva cullato l’idea che il mondo potesse andare altrove. Le cose, invece, non sono andate come immaginavamo e desideravamo anche noi che abbiamo la fortuna di raccontarvele, certe serate, ma esserci e sapere di esserci stati, non è poco. Loro, gli Incognito, sono una società musicale in divenire, che ha vantato, in quarantacinque anni di concerti, un nugolo di paurosi strumentisti che sembravano, ognuno, aspettare in gloria il momento che alla superband inglese mancasse, nella circostanza, uno strumentista che fosse di loro pertinenza musicale. È quello che avevano immaginato e desiderato Jean-Paul Maunick e Paul Williams, probabilmente, nel 1979, quando si misero all’anima la fondazione della formazione musicale In Kuhg Nee Tow, che nel tempo è diventata – e lo resterà per sempre – una delle più alte espressioni di jazid, funk, soul e R&B, saltabeccando, in ogni singolo brano, nelle sonorità di alcuni loro colleghi (da Stevie Wonder a Harbie Hancock, passando per molti padri spirituali della world music e fino ad arrivare, prima di fare tappa in casa degli Earth Wind & Fire, a Mario Biondi, con il quale si sono esibiti tre lustri or sono) ai quali, anche ieri sera, han voluto dare e dire il proprio grazie. E il parco del Palazzo Mediceo di Seravezza, dove il Serra e il Vezza si uniscono per confluire nel torrente Versilia che scende fino al mare, è quanto di meglio si possa desiderare per godersi un concerto del genere. Non solo per una qualità acustica eccellente e un naturale refrigerio atmosferico determinato dal sotto monte delle Apuane; è un posto antico, dove la musica si fidelizza e coniuga con la joie de vivre, dove mangiare un hot dog e bere una birra seduti sul plaid steso sull’erba portato da casa accanto a illustri, cordiali, sconosciuti, rende alla musica, e alla sua magnifica inimitabile funzione, tutto il suo fascino. Certo, non basta dividere e condividere uno spazio aperto in armonia, pagando un biglietto, per sentirsi felici. Ma poco dopo le 21,30, quelli che sono oggi gli Incognito, una mescola straordinaria di culture, etnie, provenienze ed esperienze strumentali, hanno iniziato a proporre alcuni brani della loro interminabile carriera di live e registrazioni; hanno esordito con la ragazza parigina per arrivare, come da scaletta, fino a Nights Over Egypt, senza dimenticare di passare tra le note di Colibrì, Step Aside, Shine, una meravigliosa offerta di quello che il convento anonimo ha dato al suo pubblico, brani con i quali i palati fini dell’ascolto han potuto ulteriormente ingentilirsi e quelli meno esigenti, ballare e divertirsi. Che sono quelli che ieri sera han voluto seguire l’evento, una parte, con i telefonini accesi in modalità registrazione e l’altra, la maggior parte, lasciando stare tutto quello che la tecnologia ormai offre fino all’imposizione, per spolverare la vecchia, insopprimibile e insostituibile voglia di ballare. Supportata, quest’ultima, dalla batteria sicula di Francesco Mendolia, dalle voci di Imaani, Natalie Duncan e Tony Momrelle, dai quattro fiati, chitarra, percussioni, basso e organo Hammond, introdotti, come il resto di tutti gli altri strumentisti, dal bandleader, l’anglocaraibico Bluey, il 67enne Jean-Paul Maunick, l’imperituro, l’immarciscibile, l’anello di congiunzione tra gli Incognito che nacquero e furono e quelli che saranno. Una catena di produzione musicale ed emotiva che va, senza la minima ombra di dubbio, ben oltre le sontuose professionalità dei singoli componenti, in una confluenza strumentale che genera un vero e proprio morbo. Che si propaga sugli spettatori che a loro volta diventano, più o meno inconsapevolmente, testimonial di quella musica che ha sono bisogno, come linfa, di condivisioni e contaminazioni, senza rischio di perdere l’identità, perché quella, come noto, è Incognito. Un plauso, prima di congedarsi, all'organizzazione del Festival, con un bus/navetta a garantire l'accesso senza il naturale e altrimenti inevitabile imbottigliamento delle automobili e al piccolo Comune della lucchesia che guarda la Versilia, in grado, seppur non abituato, a stare al passo con vecchi tempi musicali.