di Luigi Scardigli

Bisogna decidere da che parte stare. E’ una semplice questione di prospettiva. Per fortuna, dopo una prima parte, il pubblico può iniziare a girovagare lungo i corridoi delimitati dalle sette stanze dove dentro un nugolo di giovanissime danzatrici stanno dando vita a Quadri della passione, il nuovo spettacolo di Virgilio Sieni presentato, fuori abbonamento, in Altri linguaggi, al Teatro Manzoni di Pistoia.

 

Asia Pucci e Chelo Zoppi sono gli assistenti alla coreografia, Carlotta Bruni quella del progetto, mentre Massimo Caselli è il direttore musicale. Una produzione Atp, che si avvale di varie scuole di danza e ovviamente della scuola Mabellini.

L’ordine del caos è affidata a quella linea sottilissima di puntuale anarchia alla quale, tutti i protagonisti, hanno giurato fedeltà. Il tam tam iniziale, come se fosse un segnale di guerra è il vero prologo alla sofferenza, quella che si consuma all’interno delle sette tele incorniciate lungo perimetri di nastro adesivo. Dopo una spasmodica ricerca del disegno più gradito, i gruppi dei sette dipinti lavoreranno febbrilmente all’interno del proprio cantiere. La musica, improvvisata, di sottofondo, non fa che rendere ulteriormente asmatico il ritmo delle singole gabbie, dove le fiere che si sono autorecluse non cercano di fuggire, ma di dare un senso al proprio castigo.

I legni che scandiscono il tempo sono gli stessi usati per la crocefissione; ma occorre riciclare e allora, dopo la sepoltura, quei pezzi di solido massello vengono riutilizzati per nuovi mestieri, altri esercizi, ulteriori condanne. La ricerca esplorativa dell’armonia finale è lunga e faticosa: occorre aver fede, non demordere e continuare a cercare il giusto equilibrio, tra la vita e la morte, tra il suono e il silenzio, la felicità e la tristezza.

L’inno del silenzio invita a riguadagnare i punti di partenza. Qualcosa si è inevitabilmente perso. Non sarebbe potuto essere diversamente. Nell’era dei videogame, l’ingordigia finisce per penalizzare la nostra reperibilità e senza accorgercene siamo già morti. Forse.

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