L’idea, almeno nei propositi, era quella di (ri)affermare l’egocentrismo patriottico. Poi, nella realtà, al gruppo degli italiani a Parigi, mentre in Europa si andava tristemente affermando il nazifascismo, la capitale francese riuscì nell’impresa di tenerli lontano dalla barbarie, consentendo addirittura loro di continuare a produrre.

 

Il maestro è De Chirico, greco, figlio di un ricco ingegnere palermitano e di una benestante genovese, già fortemente suggestionato da Gauguin: al suo seguito, con un atteggiamento, da parte di alcuni, sfacciatamente riconoscente, gli altri esuli: il fratello Andrea Alberto, che utilizzerà lo pseudonimo Alberto Savinio, Massimo Campigli, Filippo De Pisis, René Paresce, Gino Severini e Mario Tozzi, tutti riuniti, in questa collettiva, a Lucca, dallo scorso 17 ottobre al prossimo 14 febbraio, in via della Fratta.

Troppo ricchi, probabilmente, per essere culturalmente attendibili e ineccepibili, e troppo condizionati dal furore artistico che proprio in quegli anni e in quella zona dell’Europa, a Parigi, esplodeva in tutta la sua veemenza. La loro pittura metafisica infatti risultava essere un crogiuolo di contaminazioni che godeva e soffriva di continui suggerimenti e imposizioni; l’imperioso richiamo al Barocco, poi, fece il resto, trasformando quella corrente culturale, popolata da personaggi poliedrici e non proprio militanti, in un salotto di intellettuali che poco incise nel panorama artistico di tutto il ‘900, accontentandosi di occupare un posto di transito nella storia della cultura del XX secolo.

Non a caso infatti, Stefano Cecchetto e Maurizio Vanni, i curatori della Mostra, hanno deciso di proporre le opere degli artisti in modo disorganico, dando un’inevitabile precedenza a De Chirico e distribuendo alcuni saggi degli altri della comitiva francese nei due piani riservati all’esposizione.

Che resta gradevole e da non perdere, specie in questo Natale dove si passa molto tempo a rivendicare, con orgoglio, l’appartenenza artistica occidentale.

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