di Caterina Fochi
FORLI’. Piero Della Francesca (1415-1492) è stato senza dubbio uno dei più grandi pittori italiani del Quattrocento. La sua pittura spaziosa, monumentale, impassibilmente razionale, dove nell’assoluto rigore matematico, l’eterna immobilità delle sue figure, dai volti appena sfiorati da un’ombra di passione perpetua, innalza i soggetti al di sopra del caos della mediocrità in una pace soprannaturale che ce li mostra ancora oggi come delle rivelazioni. Il rapporto tra critica e arte, nell’arco di più di cinque secoli, è il filo conduttore della mostra Piero Della Francesca indagine su un mito in corso fino al 26 giugno prossimo ai Musei San Domenico di Forlì. Un’operazione non facile e rischiosa che per la prima volta mette a fuoco la fortuna nel dibattito storiografico e artistico di Piero Della Francesca: una fortuna che fu immediata e folgorante per i suoi contemporanei, ma nei secoli successivi vide un profondo e completo oblio, che coinvolse gran parte dell’arte quattrocentesca, tanto da far dimenticare e trascurare l’esistenza di affreschi e dipinti che oggi sono considerati capolavori assoluti.
La mostra prende spunto dall’intera produzione del grande maestro, anche se le sue opere sono quasi tutte inamovibili e ne presenta comunque quattro fondamentali che esprimono il cuore dell’esposizione tra le quali su tutte emerge la Madonna della Misericordia proveniente da San Sepolcro. Accanto a queste, figurano capolavori dei più grandi artisti del Rinascimento scelti per approfondire la sua formazione. Troviamo quindi le meravigliose tavole del Beato Angelico, di Paolo Uccello, Andrea del Castagno, le soavi, malinconiche, assorte Madonne di Filippo Lippi e ancora opere del Perugino, Luca Signorelli, Pinturicchio, per arrivare con inevitabile turbamento di fronte al Cristo sorretto dai quattro Angeli di Giovanni Bellini e alla sua Pietà, in cui una Maddalena palpitante di dolore e con le lacrime agli occhi sorregge tra le dita delicate e carezzevoli la mano inanimata di Gesù. Dopo l’oblio di due secoli, nell’Ottocento Piero Della Francesca è oggetto di un lento recupero da parte di numerosi artisti che eseguono copie delle sue opere e ne rielaborano i modelli e le forme nelle loro composizioni, gettando le basi per un gusto artistico che alimenterà il secolo successivo. Ritroviamo quindi le sue tracce in molte opere dei Macchiaioli, di Borrani, Lega, Signorini e molti artisti europei, fino alla riscoperta inglese del primo novecento legata in particolare a Roger Fry, Duncan Grant e al gruppo Bloomsbury. Gli echi arrivano a Degas, Seurat, Signac, nei percorsi del postimpressionismo, negli ultimi bagliori di Puvi De Chavannes, nelle sperimentazioni metafisiche di Redon e soprattutto nelle vedute geometriche di Cezanne. A partire dal 1914, con la metafisica di De Chirico, si innesta un filone che scavalca le avanguardie e trova in Piero Della Francesca il riferimento per il ritorno a un ordine formale che interpreta la modernità soprattutto attraverso l’ordine mentale e che riprende tutte le citazioni del classicismo, della perfezione geometrica, della ieraticità e monumentalità che in questa esposizione scopriamo nelle opere di Carrà, Morandi, Funi e Casorati, che con la sua Silvana Cenni attua un’autentica trasposizione laica della Madonna Della Misericordia. La mostra continua poi con opere di Guidi, Donghi con un raro dipinto di Capogrosssi ancora realista e infine, a convalidare questo legame tra due secoli così distanti, si arriva alla Spiaggia di Massimo Campigli che nei suoi 14 metri di lunghezza esprime quel nitore e quel ritmo compositivo che sono profondamente debitori all’opera del Monarca della pittura. Dopo quasi duecento dipinti di straordinario valore artistico e formidabile bellezza, l’esempio e la lezione di Piero Della Francesca raggiungono artisti più vicini al nostro secolo e di fondamentale importanza, come Balthus, fino ad arrivare poi oltre oceano con Edward Hopper, che con la sua struggente poetica consegna l’eredità di Piero Della Francesca alla piena e universale modernità.