di Cristina Prando
TREVISO. La passeggiata verso il museo di Santa Caterina, a Treviso, dove è allestita la mostra Storie dell'impressionismo, nonostante il freddo pungente, è facile da percorrere e piacevole. Passiamo portici con piccoli negozi caratteristici e anguste stradine di ciottolato, ma basta alzare lo sguardo per vedere i piccoli terrazzi antichi con le piante rampicanti sempre verdi che scendono per sintonizzarci con la bellezza e dimenticare i piccoli contrattempi quotidiani. È così che inizia la visita, alla ricerca di attimi, esattamente come successe in passato agli impressionisti, che immortalarono l'attimo fuggente catturando sempre sfumature diverse. In quella lontana Parigi, ad esempio, quella stessa Parigi che accolse in sè quel breve periodo artistico (1860–1880) chiamato Impressionismo.
Davanti al museo di Santa Caterina, dove l’associazione Linea d’Ombra ha organizzato l’esposizione, raggiunta e visitata grazie all’organizzazione Città invisibili, siamo attesi dalla guida, un infaticabile cultore della materia, un entusiamante appassionato d’arte. E nonostante la folla che popola il salone, non ci si può sottrarre dal valzer di colori, impressioni e racconti che si susseguono in Santa Caterina. Spicca la luce di Cézanne: la ricerca di tecnica e colore primeggia; non esiste il nero e in quel periodo anche le ombre vengono dipinte con colore. La ricerca continua di bellezza è spasmodica anche nei ritratti urbani, anche nella periferia parigina, spesso riproposta e impreziosita anche nelle periferie; i centri urbani, i suoi fiumi, regnano le sue campagne. Arriviamo a Monet, il più impressionista degli impressionisti, con i suoi ritratti della natura che vuole raffigurare nella tela come reale, con contorni che sembrano non essere definiti. Esempio indiscutibile, le sue Ninfee nello stagno, che compose nel proprio giardino per poterle raffigurare poi più di trecento volte. Si naviga a vista, da Corot a Millet per arrivare a Degas e Gauguin. La guida continua i suoi racconti, raccoglie sfumature e difetti della vita dei pittori di quell'epoca artistica così meravigliosamente rivoluzionaria. Racconta le loro ossessioni, come il dipingere moltissime volte lo stesso soggetto, per fermare attimi e sensazioni diverse come si farebbe, ormai da tempo, anche con una semplice macchina fotografica. Racconta le loro insoddisfazioni in questa continua ricerca di voler trasportare nell'arte un senso di poetica e spiritualità, che si coglie nel loro ritrarre sfondi di paesaggi naturali. Le loro crisi, come quelle dell'olandese Van Gogh, dei suoi desiderati isolamenti, del suo periodo di ricerca religiosa e il suo ritrarre gli ultimi, le persone nel loro umile lavoro perché a suo dire tutti dovevano avere la possibilità di essere ritratti. C'è gente intorno che si ferma vicino alla nostra guida. Non fanno parte del gruppo, ma il coinvolgimento e la passione esercitata dalla guida, inutile dirlo, si trasmette con chimica naturalezza. Si guarda e si ascolta, parole e visione completano una nuova conoscenza. Renoir, insuperabile nei suoi ritratti, soprattutto quelli femminili, affascina. C'è luce nei suoi quadri, la luce naturale che vuole riuscire a descrivere. La mostra, disposta a sezioni per temi di ritratti, paesaggi naturali e urbani e nature morte è perfettamente proposta. Per il ritorno, visto il buio e le temperature, sempre più rigide, si sceglie la strada meno panoramica, più corta. Ma al ritorno, distrarsi, non serve. Anzi. Ognuno di noi, in silenzio, ha ancora negli occhi la luce dei quadri e nel cuore l’energia e la compagnia dell’arte.