SCANDICCI (FI). In tempi molto sospetti, un angolo del genere sarebbe stato preso in ostaggio e probabilmente saccheggiato da chiunque pensasse che tutti hanno il diritto di godere. Saverio Cona invece, che abbiamo conosciuto proprio in quei tempi lì, sospetti, molto sospetti, ha capito che si possa prendere possesso di un oggetto così delicato facendoselo addirittura consegnare direttamente dalla Fonte e, con qualche accortezza degna di chi ha la possibilità di credere perché non crede, farlo diventare ancora più bello. Ci riferiamo al Castello dell’Acciaiolo, a Scandicci, un paradiso apocrifo che spunta in uno dei quartieri meno fiorentini di Firenze, dove Saverio Cona, appunto, con la collaborazione della direzione artistica affidata a Cristina Bozzolini, alla produzione di Serena Roberti e Irene Straccali e alla fotografia di Andrea Araya, Stazione Utopia, in parole altre, ma non certo povere, ha partorito Nutidà (si prosegue fino al prossimo 27 luglio), un Festival di danza che gode del contributo del Comune di Scandicci ispirato alla luce ai tempi del colera, a quei luoghi e ai suoi abitanti, un sito per nuove generazioni di danzatori e per quegli uomini e quelle donne che hanno saputo invecchiare dignitosamente, senza perdoni e senza compromessi, impresa ardua, visto e considerato che sono stati giovani in quei tempi molto sospetti.
L’operazione culturale, sociale, politica, artistica si spiana dolcemente quando sul palco del giardino del Castello, come è successo ieri, venerdì 9 luglio, a dare saggio e prova di quello che sta succedendo sono saliti, in ordine di apparizione, alternandosi come in una meravigliosa catena di montaggio di bellezza, YOY, Valentina Prencipe (nella foto) e Beatrice Ranieri, rispettivamente impegnate in Meraki, Crudelia e 04,00 AM. L’idea, esiziale ed emergenziale, nasce in questi tempi complicati di pandemia, ma va ben oltre perché sfrutta, complice l’estate, l’idea della luce naturale, unica fonte in tempi molto sospetti, quelli della nascita del Teatro. Ma la luce, il teatro e soprattutto le nostre divagazioni non hanno davvero nulla a che vedere con la maestosa potenza e l’inaudita violenza sprigionata dalle esibizioni delle protagoniste, alle quali occorre aggiungere Limited, di Alice Catapano, che invece che esibirsi sul palco, ha preferito nascondersi in una sala del Castello e consentire di essere spiata da tre spettatori per volta, dando vita a una serie di massacranti minirepliche. Per fortuna non siamo coreografi e nonostante si segua, da parecchio tempo, la vicissitudine della danza contemporanea, non siamo ancora in grado di dare voti così come succede nelle performance olimpiche. In virtù della presunzione che ci divora, ci siamo limitati a essere umili osservatori e ci siamo lasciati sbranare da quelle fasce muscolari tese a corda di violino, da quei visi contriti dalla fatica e dalla concentrazione, dalle linee geometriche descritte dal mulinare delle mani e delle braccia e dalla poesia di quel naturale divenire di questi esseri a quattro zampe che emettono suoni ancestrali e primordiali. Ci siamo commossi al dialogo di Emma Zani e Roberto Doveri, ci siamo lasciati alle spalle una notte insonne e tumultuosa trascorsa con Beatrice Ranieri e abbiamo ringraziato il cielo di essere ancora vivi dopo essere riusciti a fronteggiare e addirittura catturare Valentina Prencipe, costringendola, come fiera in gabbia, a farci vedere cosa sia ancora capace di fare, nonostante, con noi, abbia perso, per sempre, la sua libertà.