PISTOIA. Ognuno di loro si è presentato alla Galleria Me Vannucci portandosi dietro il proprio trascorso, fatto di sogni, accidenti, applausi e contrattempi, condivisioni e incomprensioni. Poi però, quando scegli di (con)dividere, occorre dare il meglio di sé cercando, contemporaneamente e soprattutto, di essere funzionale alla causa collettiva. Ma c’è relazione, almeno una, tra le gigantografie che tappezzano le pareti del capannone industriale di via Gorizia, a Pistoia, di Paolo Fabiani, il suono del sax, tra funerei presagi, parti cesarei, sottofondo spirituale e epilogo mediterraneo di Dimitri Grechi Espinoza e l’elasticità, del corpo e delle mani, come una fionda, o un vecchio flipper, della danzattirice Luisa Cortesi, tutto codificato sotto la voce Respiro? Oggettivamente, no. Anzi, sì. Ed è su questo stridente dualismo triangolare, magicamente bilanciato seppur da distanze siderali (zenit, nadir e un’estremità equatoriale, a ovest o a est), che si è consumata la presentazione di vasi-canopi (bombs), del geroglificologo Paolo Fabiani, supportato, fino a totale dissolvimento, dall’esibizione (anche se performance fa più figo) dell’incontro acustico/fisico tra Dimitri e Luisa. Le origini russe del 56enne musicista avrebbero potuto anche implementare la serata con risvolti forzatamente politici; per fortuna, ma forse per semplice ignoranza dei presenti, l’aspetto sovietico è stato del tutto ignorato e i presenti si sono potuti concentrare sul triplice aspetto artistico dell’evento: i disegni sparati come cannoni, il suono cieco del sax e le interpretazioni dei primi e del secondo immagazzinate dai muscoli dell’ancella, che oltre a giare colme di speranza si è portata sulle spalle anche il peso della traduzione.

Il risultato, gradevolissimo, della fusione dei tre concetti, sarebbe stato, a nostro presuntuoso avviso, ugualmente attrattivo anche se le immagini, il suono e la danza fossero state di tutt’altra natura. Anche intercedendo tra loro. Sulle pareti, per intenderci, avrebbero potute esserci tele del Magazzini e il sax si Dimitri e il total black di Luisa rispondere perfettamente, e con la medesima puntualità, alla proiezione ortogonale delle immagini. Così come, scambiando il musicista, un organo Hammond avrebbe probabilmente fieramente rappresentato tanto la grafica come la ginnastica, fino a pensare che una ballerina di danza moderna, che ignora del tutto Pina Bausch e quello che è successo da dopo il suo avvento, non avrebbe, in alcun modo, sfigurato, né resa meno ficcante l’idea. Con gli arrocchi si potrebbe procedere all’infinito: il risultato sarebbe il medesimo. Ciononostante, a noi, la cosa, è piaciuta. E parecchio. Perché è stato bello ambientarsi nel rassicurante tepore di un luogo storicamente gelido, prendere confidenza con le pareti e i presenti, sbirciando disegni e mascherine, vasi e abbigliamenti e poi disporsi, a emiciclo, nel rettangolo dell’esibizione, concentrandosi sul suono solitario e amplificato di Dimitri, inabissarsi nella sua melodia distorta per poi lasciarsi distrarre dalla svestizione di Luisa, che a bordo ring, dopo essersi liberata di stivaletti vintage e giacca, si è avvicinata al muro centrale e ha iniziato a partorire; dapprima muovendo soltanto le braccia, poi cercando di fronteggiare un corpo invisibile che pareva volesse vincerla, subendone i contraccolpi, ma restando viva, fino al meritato riposo, sul limitare del perimetro. Giusto il tempo di riprendersi, strisciare in cerca di viveri e bevande e rimettersi in piedi, volteggiare fiera e uscire di scena, tornando all’angolo per risistemarsi e uscire di scena. La scena si è ripetuta due volte; è stato ideato così onde evitare che il numero degli astanti superasse i limiti previsti della pandemia (nei bunker di Kiev, a certi dettagli, non hanno tempo di pensarci). Noi, non so se per furbizia o testardaggine, abbiamo assistito a entrambe. E saremmo restati ancora lì, se ce ne fosse stata una terza.

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