di Lorenzo Gattoni

MILANO. Ragguardevole, una esperienza visiva ed emotiva abbacinante, conturbante, sia per la ricchezza delle opere esposte, che per la densità di colori, forme, soggetti e temi che vengono offerti al visitatore. Parliamo della mostra, che rimarrà aperta fino al 26 gennaio 2025 (poi sarà la volta di Roma), dedicata a Edvard Munch (1863-1944), prodotta da Palazzo Reale di Milano e Arthemisia, in collaborazione con il Munch Museet di Oslo. Promossa dal Comune di Milano, con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, è curata da Patricia G. Berman, una delle più esperte studiose al mondo di Munch, con il supporto di Costantino D’Orazio per i testi di corredo e approfondimento, ed espone ben cento opere dell’artista, per lo più dipinti a olio, ma anche numerose litografie e incisioni, divise in sei sezioni, ciascuna dedicata a un tema corrispondente a uno snodo esistenziale e artistico della vita dell’autore, perlopiù passaggi drammatici della sua esistenza, dalla morte per tubercolosi della madre e della sorella, alla tormentata relazione d’amore con Tulla Larsen. Munch è universalmente conosciuto per il suo famoso quadro L’Urlo: ma se l’urlo è un fenomeno sonoro, che pertanto si propaga, la mostra liminalmente ha per titolo Il grido interiore, già un avviso quindi e un invito a entrare nell’intimità dell’artista. Il visitatore è chiamato ad avvicinarsi a un mondo visivo ed emotivo febbrile, dal quale lasciarsi avvolgere e coinvolgere, facendo per così dire esercizio di epochè. Le sezioni della mostra, come detto, costituiscono altrettante stazioni esistenziali e artistiche, dalla prima Allenare l’occhio (Non dipingo ciò che vedo, ma ciò che ho visto, scrive Munch) alla sesta Di fronte allo specchio (Autoritratto), quasi a chiudere il cerchio da uno sguardo a 360 gradi a quello rivolto a sé stesso, a tracciare quindi il cerchio dell’esistenza. Vi è poi un’ulteriore sezione, L’eredità di Munch, a rappresentare come la sua pittura, la sua creatività, posero le basi dei successivi movimenti artistici, l’espressionismo per il primo. Dentro questo cerchio c’è tutto il mondo dell’artista, pullula di vita l’intero universo della sua sensibilità: i fantasmi e i corpi, l’angoscia e la tenerezza, il dolore e l’amore, l’attrazione (anche erotica) e la repulsione, e poi ancora la solitudine e la malinconia, l’ansia e la paura, la malattia e la morte. A ognuno di queste emozioni e sentimenti, Munch ha dato un’ espressione visiva unica, avendo la natura come spunto primario per operarne una trasformazione, persino perturbante, attingendo a essa come una tavolozza di colori,  grazie a un uso del colore sorprendente (eccezionale l’utilizzo dei colori, da quelli reali e materici a quelli imitativi, da quelli evocativi, slegati cioè da un referente reale, a quelli simbolici che rimandano ad associazioni archetipiche), all’alterazione delle prospettive (così irregolari da manipolare la congruità geometrica) e alla dilatazione delle forme (slabbrate, sinuose, morfologicamente innovative) creando in questo modo un duplice effetto nell’opera dipinta: l’osmosi, la coesione, l’unità del tutto (Munch è stato un sostenitore del monismo, sulla scorta delle teorizzazione di Ernst Haeckel, artista e biologo in voga all’epoca) e la differenziazione, talché il soggetto umano dipinto si staglia in maniera volitiva sulla tela, spesso grazie anche al gioco di ombre che danno volume e incombenza alle figure, quasi a farsi incontro all’osservatore per attrarlo e portarlo dentro di essa, come plasticamente evidenzia L’Urlo, e splendidamente nella mostra Malinconia, Disperazione, Il bacio, La morte nella stanza della malata, tanto per citarne qualcuna. In virtù di questa permutazione siamo indotti a confrontarci con la nostra interiorità e a dare ascolto al nostro personale grido interiore, a modularne il suono e a registrare il riverbero delle nostre stesse emozioni. Nel percorso della mostra sono presenti alcune aree didattiche e sperimentali dove i visitatori possono giocare a essere loro stessi artisti applicando alcune tecniche di lavoro utilizzate da Munch; inoltre numerosi sono i pannelli esplicativi ricchi di informazioni, approfondimenti e cenni (storici, tecnici, artistici) utili a comprendere l’artista, il suo mondo e il suo tempo. Curioso e coinvolgente anche l’allestimento di uno spazio immersivo: in una sala interamente a specchi vengono proiettate a rotazione su una parete le immagini delle opere in modo tale che la rifrazione avvolga e disorienti il visitatore. L’occasione della mostra è dunque straordinaria per conoscere e approfondire la conoscenza di Munch, precursore dell’espressionismo, ancora oggi capace di coinvolgere ed emozionare. Se oggi sembriamo approssimarci alla soglia dell’abisso, questi dipinti – dando visibilità ed espressione al nostro grido interiore – sono capaci di rendere tangibile la dimensione dell’angoscia, del mistero, del tormento. La pittura di Munch è stata considerata anticipatrice della crisi dell’Europa di inizio Novecento (come testimoniano anche opere in altri ambiti artistici, citiamo qui soltanto il coevo Thomas Mann), a maggior ragione nel divenire della crisi della modernità, dal momento che il tema dell’angoscia è più attuale che mai, intravediamo nei suoi tratti pittorici un linguaggio tuttora capace di esprimere la varietà umana e la sua ricchezza. L’impatto emotivo potente rivela tutta la sua straordinaria attualità. Se lo sgomento e l’orrore sono tornati ad abitare il nostro presente e a gettare una minaccia cupa al futuro, ci affidiamo all’arte quale opera profondamente umana capace ancora di un linguaggio emotivo e simbolico universale.

 

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