di Lorenzo Gattoni

MILANO. Pittore, scultore, ceramista, massimo esponente del cubismo e artista straordinariamente eclettico e prolifico, Pablo Picasso è figura imprescindibile del Novecento, che ancora oggi suggestiona e influenza l’arte contemporanea. Ma la sua vita riserva a tutt’oggi qualcosa di poco conosciuto, che la mostra Picasso lo straniero, aperta fino al 2 febbraio 2025 a Palazzo Reale di Milano, rivela al grande pubblico. Nato a Malaga, in Spagna, nel 1881, Picasso fu attratto dalla città di Parigi, fulcro e fucina internazionale di ogni movimento artistico e di ogni moda al sorgere del Novecento. Vi si recò la prima volta, appena diciannovenne, nel 1900 per l’Esposizione Universale (un suo quadro era ospitato nel padiglione spagnolo) abitando per alcuni mesi a Montmartre, quartiere frequentato da artisti e marginali, poveri e squattrinati. Vi tornò l’anno seguente, ospitato dal mercante d’arte Pere Magñac sempre a Montmartre, dove frequentò la comunità catalana che lo accolse e sostenne, venendo per questo motivo schedato dalla polizia come straniero e anarchico, quindi sospetto e pericoloso. Dopo successivi spostamenti tra Parigi, Barcellona, Madrid e Malaga, fece ritorno nel 1904 nella capitale francese, parlando poco e male la lingua e senza soldi, nonostante la vendita di suoi disegni e quadri, che ritraggono perlopiù prostitute, donne povere, bambini miserabili, uomini abbrutiti. Vi risiedette stabilmente, se non per pochi anni in Spagna dopo la guerra civile, sino a metà anni Cinquanta, quando si trasferì in Provenza. Picasso però, a dispetto della lunga residenza e della fama sempre più internazionale cresciuta nei decenni, non ottenne mai la cittadinanza francese, proprio a causa della sua condizione di straniero. Di questo spaccato biografico, accompagnato e integrato da immagini, documenti, disegni, dipinti, sculture, ceramiche, collage, foto e video d’epoca, si occupa la mostra, promossa dal Comune di Milano e prodotta da Palazzo Reale con Marsilio Arte, realizzata grazie alla collaborazione del Musée national Picasso-Paris (MNPP) e del Palais de la Porte Dorée con il Musée National de l’Histoire de l’Immigration. L’idea originale del progetto è nata da Annie Cohen-Solal, autrice dell’omonimo volume e curatrice scientifica della mostra con la curatela speciale di Cécile Debray, presidente del MNPP, e la collaborazione di Sébastien Delot, direttore delle collezioni del MNPP. Il tema della mostra, che segue la traiettoria estetica e politica di Picasso, è dunque l’immigrazione, l’accoglienza, la relazione con l’altro, con un chiarissimo e voluto riferimento all’attualità. L’esposizione consente pertanto al visitatore un percorso parallelo: da un lato affascinante e coinvolgente (il formarsi, il crescere e l’affermarsi del genio artistico di Picasso, pur nella difficile condizione di immigrato), dall’altro sorprendente per l’ottusità burocratica e la xenofobia nazionalista di cui fu direttamente e indirettamente vittima: grazie al minuzioso lavoro d’indagine compiuto dalla storica Cohen-Solal, oggi sappiamo che lo straniero Picasso venne schedato e sorvegliato, subì ostracismi di varia natura (ad esempio, il rifiuto da parte del Louvre di ospitare il celeberrimo Les Demoiselles d’Avignon), visto con diffidenza e respinto dalla società francese, e al quale venne persino negata la cittadinanza, l’ultima volta nel 1940 quando era già noto e ammirato in tutto il mondo. Solo negli anni Sessanta, il generale De Gaulle, a mo’ di riparazione, gli offerse la cittadinanza francese, che Picasso – oramai artista universale e cittadino del mondo – rifiutò. Ma, all’apparenza per paradosso, la protervia xenofoba contro Picasso agì da propellente per il suo instancabile genio inventivo dandogli l’estro per la creazione e la realizzazione di serie e cicli di opere dedicate alla sua condizione di reietto e respinto. L’arte, insomma, come atto politico (non a caso è a lui che dobbiamo la più celebre opera contro le guerre, cioè Guernica, e il disegno del simbolo pacifista, ovvero la Colomba della pace). E queste sono appunto le opere – dipinti, disegni, schizzi, manufatti… – che il visitatore può ammirare: da La lettura della lettera, con Picasso che rappresenta sé stesso con un amico, a celebrare l’amicizia e la fraternità, alla serie de I saltimbanchi, evidente allegoria della condizione dell’immigrato straniero costretto ad acrobazie di ogni sorta, a quella de Il Minotauro cieco con bambina, ove la forza e la possanza dell’animale sono affiancate alla fragilità della bambina e da quest’ultima mitigate alla ricerca di un equilibrio naturale, oppure Gruppo di donne, intente alla vita quotidiana nei quartieri più poveri della città, a conferma del forte impatto che essa ebbe sul giovane Picasso, oppure Gruppo di uomini, che ritrae in modo torvo e cupo alcuni uomini (come evidentemente venivano visti dalle autorità e dai francesi gli stranieri) sino ad arrivare, in chiusura di mostra, al luminoso Baia di Cannes, splendida dedica a quella Francia del Sud dove l’artista si trasferì nel 1955 sino alla morte nel 1973. La mostra ha una evidente connessione con l’attualità e a suo modo esprime un intento politico: da un lato, rivela al visitatore la precarietà e la marginalità in cui visse Picasso, uomo e artista non inquadrabile nell’ordine costituito, dall’altro mette in luce come l’arte costitutivamente non sia parte di quest’ordine sociale, ma compagna e alleata della fragilità e dell’emarginazione. Negli anni successivi alla Prima guerra mondiale, che porteranno all’affermazione del fascismo e poi del nazismo in Europa, i toni con i quali Picasso in quanto straniero veniva descritto e attaccato dai nazionalisti francesi – l’immigrato, il nemico, il traditore, l’artista degenere e come tale una minaccia per la morale e la società – non sono diversi da quelli che ancora oggi echeggiano nel nostro quotidiano. Ma lo straniero, a cui spesso ci sentiamo indifferenti, mai può esserci estraneo, a maggior ragione dove l’arte è approdo comune di umanità. E un’ultima riflessione, al termine di questa visita, sorge spontanea, se la nazionalità, quale che sia, non sia dunque quella di nascita ma quella della relazione e della comunità in cui si vive, si cresce e si intrecciano rapporti e radici.

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