PISTOIA. Il palco di piazza del Duomo sta per essere smontato, proprio in queste ore. Il Festival Blues di Pistoia, la 40esima edizione di uno degli appuntamenti più importanti nel mondo delle note, ha chiuso i battenti. La musica no; e ci mancherebbe altro. A poche decine di metri dalla piazza (usavamo le stese parole ai tempi di Tito’s), però, prima, durante e dopo l’evento, al di là di ogni ragionevole suggerimento atmosferico, utilitaristico e opportuno, quel covo di sfrassolati che risponde al nome di Megik Ozne imbastisce concerti. Concerti, in tre metri quadrati? Andateci e vedrete. E soprattutto, udite udite, perché su quel palco claustrofobico dove è vietato fare qualsiasi movimento che non sia consono alla più alta eleganza ginnica, ci suonano pezzi da novanta.

Come ieri sera, ad esempio, per una jam a dir poco stratosferica: il siciliano Pippo Guarnera alle tastiere (all’Hammond per esigenze di spazio, ma lui può fare e suonare qualsiasi tasto emetta un suono; prima di scrivere il suo nome ci siamo lavati le mani: non avevamo la minima intenzione di sporcarne la carriera. Da Napoli Centrale a Ligabue, passando per l’ouverture dei Weather Report; un sessionista ricercatissimo); il milanese Renato Marcianò al basso (tanto strumentalmente energico, quanto socialmente schivo, anche se potrebbe sfoggiare collaborazioni ultra prestigiose); l’indigeno Enrico Cecconi alla batteria (per lui, da circa trent’anni a questa parte, abbiamo rinnovato il vocabolario degli aggettivi) e il napoletano Gennaro Porcelli alla chitarra e alla voce (un ragazzotto con l’aria di chi sta prendendo per il culo il mondo – e lo fa, ne siamo convinti), che dai Blue Stuff è passato, con naturalezza musicale e geografica, a Edoardo Bennato che lo ha scelto, nel variopinto panorama musicale partenopeo, come uno dei suoi strumentisti prediletti, nonostante il ragazzo abbia iniziato a suonare per istinto e vocazione, indotti dall’acquisto, effettuato in un’edicola quand’era poco più che un ragazzo, di uno degli Lp di John Lee Hoocker. Ci potremmo fermare qui; basterebbe a far ingelosire tutti i frequentatori abituali del Megik Ozne per non esserci stati. Per dovere di cronaca, invece, aggiungiamo che il repertorio non ha contemplato classica, mazurka e liscio; gli altri generi, sì, tutti, con chi ha la familiarità di vivere e condividere con la musica i propri momenti migliori. E che diventano ideali per chi ha la fortuna di ascoltarli.

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