di Barbara Perluigi

ROMA. Io scrivo sempre. Scrivo per lavoro: discorsi, documenti, articoli. Mi segno frasi, perfino parole che incontro e che mi colpiscono, mi incuriosiscono. Scrivo quando sono nelle riunioni, appunti mescolati con i miei stati d'animo, che a leggerli si capisce quanto siano state utili o inutili, certe riunioni. Scrivo da sempre: diari di crescita, di viaggi, di nascite, di banalità. Scrivo racconti e favole, che tengo ben custoditi nei cassetti. Quando è iniziata questa quarantena, mi immaginavo a scrivere pagine e pagine di memorie o di ricette, di storie di usi e costumi dal balcone o di riflessioni sull’irrompere nelle case dell’era digitale. Invece niente. Questo silenzio nuovo che riempie le giornate, che non ha nulla a che vedere con la serena quiete dei pomeriggi di vacanza al mare; mi ha zittito. Non scrivo, se non quello che devo per lavoro, e con un’inedita noia. Fatico anche a leggere, io che in genere macino tra i tre e i quattro libri al mese, nei vagoni strapieni della metro di Roma o nelle pause pranzo alla scrivania. Invece in questi giorni pieni di tanto tempo di niente, leggere e scrivere mi risultano una fatica enorme. Molto più delle massacranti sedute di ginnastica cui mi costringo tutti i giorni, contro ogni mia atavica pigrizia.

Leggere e scrivere sono la mia via di fuga e di riaffermazione. Quando leggo e scrivo entro in uno stato di isolamento totale, un distanziamento sociale; non fisico, ma mentale: non sento i rumori, e tanto meno mi curo di rispondere se mi si parla; non giro nemmeno lo sguardo verso chi mi sta davanti, mi infastidisce ogni tentativo di interazione. È un tempo mio. Questa quarantena non è un tempo mio. Mi obbliga al silenzio, mi costringe a tenere la mente impegnata su altro che non mi ricordi la costrizione, mi spinge a fare ciambelloni e sedute infinite di plank e flessioni, piuttosto che ad appuntarmi sensazioni e parole. E quando penso a come lo ricorderò questo tempo, tra un anno o dieci, mi rendo conto che è proprio per questo che non scrivo. Perché non ho nessuna intenzione di ricordarlo.

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