di Luna Badawi

SILVIA ROMANO, la ragazza italiana rapita in un villaggio del Kenya quasi 18 mesi fa e liberata in una zona limitrofa di Mogadiscio, la capitale della Somalia, è rientrata ieri in Italia. La liberazione di Silvia Romano doveva essere un evento di infinita gioia. E Invece, c’è chi non riesce a pensarla così. In poche ore si è scatenato il web con condivisioni social e commetti al limite dell’impensabile:

Si è pure convertita all’islam?

Perché non ha portato pure il marito?

Ma è incinta?

La vedo in forma per essere stata stuprata per 18 mesi

Dopo diversi accoppiamenti si è pure convertita all’Islam? Non li ha visti in faccia, ma riconoscerebbe gli uccelli

Non ci stupirebbe tornare a sapere di lei, tra qualche anno, che si fa saltare in aria in

qualche stazione

Per me, questa è una minaccia, programmata per fare qualche attentato appena si spengono i riflettori

Quanto ci è costata? Sta schifosa l’avrei lasciata con gli Zulù

E se è così altruista perché non fare volontariato in Italia e starsene a casa. Ci sono dei poveri anche in Italia

Sindrome di Stoccolma

No, non sono commenti inventati. Sono commenti reali. Questa è la cosa più triste e raccapricciante. Ancora più triste è la ricerca curiosa degli utenti sul web. Infatti, scrivendo Silvia Romano sul motore di ricerca di Google, vengono suggerite ricerche come Silvia Romano incinta e Silvia Romano convertita. Ovviamente, tutti sappiamo che il motore di ricerca suggerisce per ripetizione, perché l’algoritmo rileva le ricerche popolari. Ma, la domanda che sorge spontanea è: a noi cosa ci cambia sapere se si è sposata in Somalia, se si è convertita all’Islam o se è incinta? Pagare un riscatto per liberare una vita italiana in pericolo è un dovere. Non è un gesto di pietà o elemosina, e non ci dà il diritto di chiedere cosa una donna sia voluta diventare o meno in questo periodo. Questa ondata di odio vomitato sui social, mi ricorda tanto la sindrome del tifoso, colui che va allo stadio non per tifare, ma per scaricare tutte le sue frustrazioni sugli altri. Il vero problema è che Silvia è una ragazza che voleva fare la differenza, che credeva in un mondo migliore, che voleva aiutare i bambini che ancora muoiono per la febbre e la diarrea. Il problema è che Silvia è una donna che è stata rapita, ma è tornata in Italia sorridente e con la stessa voglia di vivere che aveva prima di partire. Il marcio sta negli occhi di chi vede tanta bellezza e non si commuove. Il marcio sta nella logica di chi pensa che una donna rapita debba essere stuprata perché è così, è matematico. Il marcio sta dove si predica libertà, ma non sappiamo apprezzarla quando la vediamo viva e vegeta nelle scelte degli altri. Ma se potessi parlare a Silvia, le direi di non leggere i vostri commenti, di non permettere a nessuno di spegnere il suo sorriso, d’indossare quello che vuole o non indossarlo. Di andare in giro con il corano o con la croce o con niente, è indifferente. Di non smettere mai di cooperare, che le vite salvate non sono solo le vite che non si lasciano morire, ma sono anche le vite a cui si evita l’ignoranza e la bestialità. Se potessi parlare a Silvia le direi che mi dispiace tanto perché alcuni di noi sono senza speranza, ma noi contiamo sul resto. Se potessi parlare a Silvia le direi che siamo tutti leoni da tastiera e pecore da gregge.

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