PISTOIA. Dopo aver fatto il giro dell’Europa, dell’Asia, degli Stati Uniti e vantare il primato di essere stato il primo ad illustrare i suoi scatti all’Ermitage di San Pietroburgo, anche Pistoia, sua città natale, si decide a immortalare le fotografie di uno dei suoi più importanti cittadini a cavallo degli ultimi due secoli: Aurelio Amendola. Che non ha bisogno di alcuna presentazione (figuriamoci la nostra!), ma di cui siamo piacevolmente costretti a parlarne perché da oggi, lunedì 8 febbraio e fino al prossimo santo patrono, San Jacopo (25 luglio), alcuni dei suoi ritratti sono custoditi nell’Antico Palazzo dei Vescovi, in piazza Duomo e a Palazzo Buontalenti, in via de’ Rossi, due siti preziosi della città divisi tra loro da poche centinaia di metri e che appartengono, entrambi e con lo stesso fascino artistico, alla storia della città. Due momenti specifici e al pari determinanti di questo straordinario artigiano dell’immagine che non ancora trentenne, dopo aver avviato la propria bottega fotografica, si imbatte nello storico d’arte Gian Lorenzo Mellini.
Da quel momento in poi, la vita di Aurelio Amendola si fonde e confonde con quella delle sculture del ‘900, fino all’apice dell’incontro con l’opera di Michelangelo, che scatena, a sua volta, nell’intuizioni dell’artista pistoiese, la necessità, insopprimibile, di dare luce al bianco e nero. Saremmo tentati di chiudere qui questa modestissima recensione che contempla, inesorabilmente, l’invito, quasi imperativo, affinché nessun pistoiese, come minimo, si permetta il lusso di non visitare la mostra. Aggiungiamo, pervasi dal terrore di scadere in banalità, che la raccomandazione di cui sopra è soprattutto rivolta ai fotografi, reali e aspiranti tali; le angolazioni, i campi aperti, le emozioni, la scelta dell’attimo, la sua irripetibilità, il gusto connivente con il personaggio e le sue opere trasformano Aurelio Amendola in un chansonnier della fotografia, un vero affabulatore, un cronista lucido, ma divertito, del suo tempo e di quello che al suo tempo il passato ha offerto in dote. La doppia mostra, promossa da Fondazione Pistoia Musei, ha il merito di aver allestito, con cura e leggerezza, come gli scatti dell’artigiano immortalato, un percorso immaginario e immaginifico sugli studi e sulla bellezza delle sue ricerche, avvicinando, fino al contatto morale, dunque non contagioso (purtroppo), lo spettatore alla costruzione di luce e (pen)ombre da parte di Amendola, che non ha risparmiato nessuno dei suoi amici durante la sua meravigliosa cavalcata esistenziale scandita da foto che hanno segnato un tempo, il tempo dell’arte e della fotografia. Vi potremmo però snocciolare le sculture fatte rinascere dalla sua macchina fotografica, o citarvi, uno a uno, i personaggi che hanno affidato alle sue immagini il racconto delle proprie esistenze artistiche, colte in frangenti che solo un occhio così attento e vigile, ma non invadente, avrebbero potuto consacrare ai posteri. Ve ne accorgerete seguendo i percorsi delle due esposizioni: una clessidra durata oltre cinquant’anni, dalle cui ampolle sovrapposte sono stati filtrati decine e decine di mostri sacri dell’avanguardia. L’immagine a corredo del pezzo è frutto di uno scatto fatto con il cellulare: ci siamo vergognati, credeteci.