di Letizia Lupino

PISTOIA. Sono emozionata. Molto tempo, d'altronde, è passato dall'ultimo spettacolo teatrale. Apro dunque la mia personale stagione al Funaro di Pistoia con Dal profondo del mio cuore, l’amore sbagliato che Oscar Wilde nutre e consuma con Lord Alfred Douglas (De Profundis) e che Dimitri Milopulos, il regista, affida ad Annibale Pavone. I miei occhi hanno fame, il corpo sussulta. Mi accomodo in sala, accompagnata da un crepuscolo che inconsapevolmente già mi prepara a quello che sarà. Mi siedo, mi sento gioiosamente agitata, mi guardo intorno assetata e lo vedo. Annibale/Oscar, anche lui seduto, di spalle, all'angolo parallelo al mio, un boxeur silenziosamente in attesa. Le luci si spengono, le sedie chiacchierano il loro ultimo cigolio. Un fascio di luce soffusa si accende, illuminando Annibale Pavone in piedi al centro del palco. Ci guarda, lo guardo. Un inaspettato indugio che mi inchioda a lui e una voce calda si leva, ci avvolge fin da subito, prendendoci quasi la mano e accompagnandoci in una visione. Una visione cadenzata dall'uso sapiente di luci e musica, da un clangore metallico che serra, che ci fa vibrare. Alchimia perfetta.

Annibale si muove perfettamente nello spazio angusto della cella di Oscar; noi non lo vediamo, ma indoviniamo i giorni che passano lenti. Il suo è un canto, pulito e ineccepibile, di redenzione, di un uomo che ieri sarebbe stato sopraffatto dalle passioni ma che ora, nel momento presente, riesce a essere lucido, ferisce la sua consapevolezza, quasi con distaccata freddezza si eleva e ci mostra le nostre debolezze, le nostre contraddizioni; uomo fra uomini, bestia tra le bestie, non si sottrae a una legge che sa' tanto di ghigliottina, che punisce ciò che non capisce o che non vuol capire. Annibale è asciutto nella sua interpretazione tanto da farci fare un piccolo passo indietro; si lascia guardare, ci dà il permesso di ascoltare e di entrare in quel mondo intimo; ci attrae e ci respinge, ma sa tenerci inevitabilmente incollati fino alla fine. Avrei voluto salvarlo questo Annibale/Oscar; un barlume di speranza che non soffoca, ma che, anzi, si alimenta con l'alimentarsi di un applauso che adesso avvolge lui, lì in piedi, quasi inerme. Un applauso che stenterà a lasciarlo andare.

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