PISTOIA. La semplicità, a volte quasi banale, dei testi di Max Pezzali (nella foto di Gabriele Acerboni), divisi e condivisi per oltre dieci anni con il compagno di classe Mauro Repetto (compagno trovato solo per scarso rendimento liceale; lo ha conosciuto perché ripetente), che dal 1991 al 2004 (poi, Mauro, ha scelto il grande schermo) sono stati gli 883, è l’ennesima dimostrazione di come la sinistra non abbia saputo intercettare, perché tronfia e gongolante delle sue presunte superiorità intellettuali, in quegl’irripetibili anni ’90, quella massa informe di giovani che avevano solo e soltanto voglia di divertirsi, facendo leva sulla quotidianità, che sovente è stata poco più o poco meno decifrabile di una tabellina del due. La risposta, una delle tante che la storia ha già fornito, è arrivata ieri sera, in piazza del Duomo, a Pistoia, per il prologo di questo 42esimo Pistoia Blues, che ha aperto sipario, battenti e palcoscenico laterale, con il concerto di Max Pezzali. Spendiamo due righe, ma solo due righe, per zittire tutti quelli che sono già lì, pronti, a fare sofismi sulla purezza del Blues (quando la piazza gongolava di mostri sacri, loro facevano ulteriori distinguo anagrafici, latitando regolarmente) e il carattere incestuoso di alcuni visitatori; ne abbiamo già parlato chissà quante volte in una miriade di altre occasioni, ora anche basta.

E sottolineando immediatamente, per l’onestà che ci contraddistingue, come Max Pezzali ci piaccia poco e ricordando altrettanto celermente quanto questa nostra modesta passione verso il cinquantaquattrenne cantautore pavese tanto poco voglia significare. Perché ieri sera, la piazza del Blues, va bene disposta longitudinalmente, va bene confezionata con le poltroncine post Covid, va bene con ingressi contingentati per evitare che nuovi focolai ci impongano nuovamente domicili coatti e quarantene, era piena in ogni suo ordine e grado e il suo popolo, quello della Piazza, è rincasato felice dopo aver trascorso due ore (21,38 – 23,42, senza interruzioni) di assoluta spensieratezza, cantando e saltellando sul posto, proprio come si faceva nelle palestre scolastiche durante l’ora di educazione fisica, con il loro beniamino, sillaba su sillaba, tutti, ma proprio tutti, i brani messi in scaletta. È vero, si somigliano molto l’una con l’altra, le canzoni di Pezzali e anche lui, a strumenti in stand by e quando ha la possibilità di conversare con il pubblico, non da mai la sensazione di essere un illuminato, né assume l’aria di un professore in trasferta, né si è permesso il lusso di raccontare, fingendo spudoratamente, che in piazza del Duomo ci fosse già venuto, da spettatore, per seguire alcune divinità. Ma è proprio quello che alcune frange di popolo delle piazze della Musica ha bisogno di ascoltare; gente come loro, che canta, con estrema semplicità, le loro piccole beghe quotidiane. Con il supporto musicale, professionalmente impeccabile, ma anche qui, senza fraseggi paradisiaci, dei suoi turnisti, che sono gli stessi da parecchi anni: Giorgio Mastrocola alla chitarra ritmica, Davide Ferrario al sint e alla programmazione, Luca Serpenti al basso, Sergio Carnevale alla batteria ed Ernesto Ghezzi al piano e ad altre virtù strumentali, cinque professionisti che lo accompagnano e gli servono, su quel vassoio argentato sul quale, in questi trent’anni di carriera, ha potuto confezionare e collezionare una quantità industriale di premi, riconoscimenti e successi scanditi da cifre insindacabili, la base delle sue, e di tutti quelli che vanno ad ascoltarlo, tribolazioni familiari, che sono diventati i testi delle sue canzoni e che il pubblico, il suo pubblico (che nonostante avesse una voglia irrefrenabile di ballare e divertirsi non ha mai perso di vista i rigori imposti dalla prudenza), ha memorizzato perfettamente.

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