PISTOIA. È capitato anche a tutti quelli che in un modo o in un altro hanno fatto parte di Effetto 48 di sentire, a rassegna conclusa, un senso di meravigliosa nostalgia, quella che in Brasile chiamano, a Carnevale terminato, saudade? A noi, sì, e parecchio, tanto che non ancora smaltita la piacevole fatica di rincorrere eventi, allestire interviste, aspettando che i cani smettessero di abbaiare (quelli di Panicale, a parte Pirca – o con la k? -, son tutti molesti), ci siamo messi a pensare chi gradiremmo vedere esibirsi il prossimo anno, per la nuova edizione. Ma non è solo la nostra psicolabilità emotiva a glorificare Effetto 48, visto e considerato che per tre giorni ci siamo sentiti come se si fosse altrove e in un tempo lontano, dove la gente vale per il nome che porta, senza aver bisogno di sapere da dove venga, dove sia diretto e cosa faccia nella vita. L’evento, ideato da Ponte di Archimede Produzioni e che non ha potuto fare a meno del sostegno del Comune di Panicale, delle idee collaborative di Stazione Utopia e Arca Pan, di partner come la Compagnia del Sole e del contributo di I raccolti di Tobia e Bioteca, è stato un concentrato di circa quaranta spettacoli, tra rappresentazioni, balletti, concerti, studi antropologici, decantazione di versi, incontri e un’umanità trasversale di cui tutti, almeno quelli che hanno popolato il borgo in quei tre giorni, ne sentivano un gran bisogno,
dal venerdì pomeriggio (23 luglio), fino al pomeriggio della domenica successiva, in undici stazioni nevralgiche di quel posto incantato che si chiama Panicale: piazza Masolino, teatro Cesare Caporali (che il 28 marzo scorso ha ospitato Piano Day, allestito dai medesimi artefici), Giardino pubblico, l’Arca di Pan, piazza Umberto I (quartier generale dell’evento, nonché distributore ufficiale di colazioni, panelle e tanto alcool), piazza del Municipio, Arena della Proloco, ex chiesa del Rosario, scuola di Panicale, chiesa di san Sebastiano e Tavernelle e senza dimenticare la mensa, sotto le mura, con l’utilizzo di stoviglie non monouso e pasti preparati con ingredienti prodotti da piccole aziende agricole locali, un kilometro zero a zero effetto ambientale. Ogni artista/artefice ha portato in dote e in comunione sé stesso e la sua grande passione, i suoi convincimenti artistici, i propri studi matti e disperatissimi; alcuni nuovi, all’esordio, battezzati proprio da Effetto 48. Altri, datati, già mandati in scena altrove, ma mai dimenticati e (ri)spolverati per questa meravigliosa occasione umana, prima che culturale.
La musica dei Sea Bemolle, quella multietnica dell’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp, la fiaba claustrofobica di Moby Dick, per grandi e piccini (che dovranno spiegare ai grandi che cosa volesse dire), scritta e allestita da Roberto Abbiati, i laboratori di Emanuele Antonio Spiga, alias Ema Jons, il monumentale affascinante scricciolo Alice Catapano e la sua Ipnosi, il tragicomico viaggio della speranza alla ricerca di una dentatura perduta di Savino Paparella, le danze collettive del Nuovo Balletto di Toscana, la serata molto disco e parecchio alcolica degli Psycophono, la musica Di là da venire della coppia Raia/Fiorito, le passeggiate brechtiane, ma anche keatoniane, e perché no, misterbeaniane della coppia israeliana The Georges, l’esibizione musicale intimistica di Davide Friello, le poetiche e tragiche profezie del poliglotta (ma la Sardegna è l’accento più forte) Alberto Masala, la lectio magistralis di Luca Scarlini, il sontuoso tributo sonoro a Sun Ra effettuato da tre professori, quali Antonino Siringo (piano, nonché direttore artistico della manifestazione), Ares Tavolazzi (contrabbasso) e Andrea Tofanelli (tromba), le Quotidiane ispirazioni, molto napoletane, di Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo, con il contributo sonoro e vocale di Emanuele Ammendola, la multidisciplinarietà di YoY e il loro Meraki, la favola avveniristica di Paolo Fiore Angelini, Opera Mundi, le immagini di Yvonne De Rosa (uno Zibaldone trovato e acquistato in un mercatino di Napoli) e trasformato in una immaginifico rapporto epistolario grazie ai dialoghi di Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo e la musica di Emanuele Ammendola, l’indagine semiseria, demenziale, rigorosa, de Gli omini, la poesizione di Elisa Cuppini, l’arte orientale del benessere del Maestro Jia Jingquan e le Furigraphie di Hawad. Tutto questo e tutti questi setacciati dall’amorevole indiscrezione fotografica di Imma Di Lillo, presenza delicata, puntuale e determinata, di questa cosa che speriamo non finisca qui, che non finisca più. Su e giù per le mura concentriche di Panicale, sotto lo sguardo immobile e impassibile del Lago Trasimeno, più sotto, spettatore non pagante, ma perché portafortuna, di questo meeting artistico, di questa reunion culturale, di questo rave autorizzato, dove ognuno si è sentito in diritto/dovere di esserci e di lasciare, a chi verrà dopo, le cose esattamente come le ha trovate.