di Dario Monticelli

PISA. Nell’azzeccata location pisana della corte interna del leggendario Palazzo Blu (al secolo il cinquecentesco Palazzo Giuli Rosselmini Gualandi, dal 2011 nota sede permanente di mostre ed eventi culturali), è andata in scena una ben studiata riduzione del Macbeth, opera lirica del maestro Giuseppe Verdi (personaggio che non richiede certo ulteriori approfondimenti), su libretto di Francesco Maria Piave (prolifico collaboratore del compositore emiliano). Fabio Midolo allestisce e contribuisce (sì, perché si presta anche a un autorevole ruolo attoriale quale narratore) alla messa in scena elementare, ma appagante, dal disturbante fascino retorico, dalle atmosfere vagamente stile littorio. Una pulizia formale essenziale ed efficace a tracciare con linee nette il pathos della tragedia incombente, merito anche delle scene e costumi di Chiara Spanò. Accompagnati da Andrea Gottfried (direttore d’orchestra prestato al management d’azienda, è il caso di dire), pianista vivace nonché curatore della direzione musicale, i cantattori si stagliano monolitici e austeri nel ristretto spazio scenico, che suggerisce all’immaginazione le prospettive della corte d’un palazzo nobiliare, quale in effetti ci troviamo.

Il baritono Daniele Girometti interpreta un Macbeth lacerato e sofferente, incapace di afferrare e stringere tra le mani il potere che gli viene offerto, pienamente in parte. La soprano Serena Pulpito, vibrante nell’abito di Lady Macbeth, bramosa di grandezza e assetata di riscatto, cristallina anche nei passaggi più ostici. Il basso Ernesto Morillo, il Banco che verrà ucciso e tornerà quale fantasma, presenza fisica imponente e tragica, voce penetrante: interpretazione riuscita di ammonimento e terrore. La Compagnia FuoriOpera, pur proponendo la pesantezza di un soggetto basato su intrighi medievali (tra regicidi, battaglie, streghe, profezie, inganni, tradimenti e complotti, con tutta probabilità Shakespeare avrebbe sperimentato una fortunata carriera anche ai giorni nostri quale sceneggiatore di fiction fantasy), ci delizia dunque con una performance lirica para-teatrale di asciutto rigore, ma di grandissima godibilità (complice anche la riduzione intelligente), una vera e propria boccata d’aria fresca in un panorama lirico alle volte asfittico e fin troppo autoreferenziale, spesso anche a per colpa di un comparto prettamente teatrale carente e meramente decorativo, pericolo scongiurato in questa rappresentazione accompagnata da un non scontato e senz’altro coadiuvante altissimo livello qualitativo per quanto riguarda l’aspetto canoro. Che dire, dunque? Parafrasando il grido lanciato nell’opera originale: Vittoria!

 

 

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