di Chiara Savoi

SIENA. Partiamo dalla fine. Virginia Raffaele entra in taxi dopo aver scattato le foto con tutti quelli che la stavano aspettando per farle i complimenti e ringraziarla per le due ore e un quarto di risate e bravura che aveva dispensato. E grazie de che: senza di voi non sarei nulla. E cominciamo dall'inizio. Teatro pieno, quello dei Rinnovati. Sold out per i tre giorni di repliche. Da quanto non succedeva una cosa così? Da troppo tempo. La gente non ha più voglia di uscire e men che mai in una serata che preannuncia pioggia. Dopo il caldo dei giorni, dei mesi passati, stasera, a Siena, fa davvero freddo. Una buona scusa per non uscire. Eppure il teatro è pieno, fino al quarto ordine e tutta la platea. È lo spettacolo che dà inizio alla nuova stagione teatrale di Siena con la Direzione artistica di Alessandro Benvenuti. Samusà, questo spettacolo è per te. Dignità - Sobrietà – Misura. Si apre il sipario e una stupenda ballerina brasiliana, impacciata con lo strascico dell'abito, canta in grammelot brasileiro e capiamo subito che siamo a vedere lo spettacolo giusto, che ci farà passare due ore spensierate. Ma Virginia Raffaele ci fa anche pensare e ci racconta chi sono i giostrai, ci parla nella loro lingua, una lingua tramandata oralmente in cui le parole hanno significato, altro, compresa quella del titolo SAMUSà, che vuol dire silenzio.

E così ascoltiamo la sua storia, quella del Luna Park all'Eur dove lei è cresciuta e si chiamava con poca fantasia LunEur. Un'infanzia al contrario: mentre tutti i bambini litigavano con i genitori per essere portati al Luna Park, lei avrebbe voluto un'infanzia normale, una famiglia normale, delle litigate normali. Mi hanno sfrattata da me e mi sento fuori luogo in ogni luogo. Diventa così una bambolina robotica ed è incredibile; sembra la pinza che non riesce mai a prendere il premio ma anche la pallina del flipper e la moneta per giocare alla partita successiva. Virginia resta in ombra con la luce da dietro che lascia intravedere solo le sagome che si muovono per cambiarle l'abito e appena pronta inizia a ballare a scatti, inceppandosi e riprendendosi, totalmente credibile. I giocolieri arrivano sempre alla fine di ogni sketch, una volta con i birilli, una volta con delle maschere, un'altra come saltimbanchi e mettono lo spettatore nell'atmosfera da circo/luna park. La scenografia è minima, a volte inesistente, altre volte tubi luminosi con le forme di un ottovolante o della ruota panoramica. Alla fine di ogni sketch un secondo sipario introduce i giocolieri e mentre loro ci intrattengono noi pensiamo con curiosità a cosa succederà dopo, quale personaggio arriverà ad allietarci. E arriva Patty Pravo. Sublime e schizzata. Io ricerco la govivezza, ma nessuno la capisce e così ci aiuta: com'è bella govivezza che si fugge tuttavia" e giù a ridere. Negli anni '60 non ci facevamo tanti complessi; oddio, io in effetti almeno un paio me li sono fatti. Poi racconta una storia davvero bella che inizia con le cicale, finisce con il Papa ed è inframezzata da tantissimi personaggi, tutti diversi, tutti lei. Cosa farà dopo? Cosa può esserci dopo una storia così? E arriva una divulgatrice che crede a tutte le peggiori baggianate e fa connessioni assurde e improbabili. Ho semplicemente unito i puntini: è la lobby dei libri di testo che parla con i politici per far accadere le cose e vendere altri libri, ma IO non mi allineo. Lo spettacolo non cede mai e due ore trascorrono veloci come quando lei passa da un dialetto all'altro, da un personaggio all'altro, come posseduta. I testi dei suoi monologhi funzionano perché fanno ridere e pensare come chiede la regola base della stand up. Io, se ho un sogno lo voglio sognare. Se ho un obbiettivo, lo voglio obbiettare. Se ho uno scopo lo voglio...raggiungere. Il personaggio seguente è una bambina sola. Racconta che suo padre è felice quando lei dorme perché le dice sempre che mentre dorme stanno tutti meglio. Racconta delle cose tristissime, ma fa ridere lo stesso e al Luna Park incontra un ragazzo e per la prima volta si innamora è bello come la domenica e come gli orecchini di mia cugina. Virginia Raffaele ci tiene incollati. Il pubblico ride e fa il verso della cicala quando lei lo chiede e la aspetta e lei ha un totale controllo del suo potere, del suo carisma. È brava, Virginia Raffaele, un'artista a tutto tondo che a un certo punto alza la mano e la muove e in un attimo capiamo tutti che quella è la mano di Carla Fracci, non ha bisogno di annunciarla. Bravissima quando rappresenta il Parkinson trattenuto nella vecchia a letto al telefono con l'amica e il ricordo vola a Franca Valeri e alle sue divertentissime telefonate interrotte. Luigina, te insegno a fa' er pollo a la cacciatora ma ce devi ave' er pollo. La cacciatora la puoi anche improvvisa' ma er pollo no. Aspetta la chiamata del figlio e mentre ci parla piega compulsivamente un fazzoletto bianco. Lo piega, lo dispiega e lo ripiega e quando lo sketch finisce fa un'azione che è una mazzata al cuore ma che non vogliamo spoilerare. Passa in rassegna una moltitudine di personaggi e situazioni, rimbalzando, con eleganza, dal tragico al comico e viceversa. Brava, davvero brava e poi, diciamocelo, con un fisico pazzesco.

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