di Letizia Lupino
PISTOIA. Niente si nasconde in questo sabato sera; né l’aria vagamente pungente che pizzica il viso, né la prospettiva di un nuovo spettacolo al Funaro di Pistoia, tantomeno il palco che, nella sua nudità, si mostra contenitore di fantasie, storie e sogni. E sarà proprio a partire da un sogno, per sua natura visionario, che assisteremo allo snocciolarsi di frammenti che forse niente hanno a che vedere l’uno con l’altro. Il Funaro, dunque, apre di nuovo le braccia a Daniel Pennac, ormai elemento imprescindibile, per nostra fortuna, di questa associazione che da piccola si è fatta grande. La Compagnie Mia quindi si mostra nella sua progettualità, nel suo intreccio oltreconfine facendo calcare la scena a quattro personaggi che, in una composta fila indiana, si presenteranno al pubblico: Daniel Pennac, Pako Ioffredo, Demi Licata e Antonio Urso. Per la regia di Clara Bauer si insinueranno, parola dopo parola, nei corridoi onirici di Daniel Pennac, ora in francese, ora in italiano, ora in napoletano, riuscendo così a creare immagini vivide che si alterneranno a sorrisi beffardi e occhiate complici. Dal sogno alla scena appunto per questa prima regionale di poco più di un’ora che ci fa attraversare panorami e sensazioni disparate.
Una rassegna di quello che Pennac riesce a fare nei libri da La legge del sognatore a Storia di un corpo, passando da Grazie a L’avventura teatrale-le mie italiane; la penna che adesso assume più corpi e più voci in un canzoniere di storie che la maestria dei tre riesce a far arrivare diretta anche laddove i limiti del linguaggio ci fanno aggrottare le sopracciglia. Corpi fisici e voci squillanti in questa amalgama che forse non ha un filo conduttore e che alle volte sembra planare sul pelo di un sentimentalismo di sapone e naftalina di chi tante cose ha vissuto e le conserva gelosamente: l’universo narrativo e surreale di Pennac che abita e gioca con la scena quindi, prosa e casualità degli eventi che si fanno teatro per dimostrarci che tutto può essere mostrato sul filo attento dell’humor narrativo spigliato e morbidamente riflessivo. Quello che senza dubbio colpisce è la scioltezza con cui i tre, Daniel, Demi e Pako si interfacciano, quasi come se improvvisassero, una conversazione nata lì per lì. Storie che si passano il testimone raccontate a noi, scolaresca attenta, con un placido Daniel che è comodo nella sua posizione di mattatore della scena che indica la via e la fa seguire a noi pubblico e a Pako e Demi che non gli staccano, mai, gli occhi di dosso: esattamente così immaginiamo le sue classi di studenti, che potrebbe raccontare la nascita della brugola e sarebbe non meno affascinante di quello che è successo stasera.