di Chiara Savoi
SIENA. Marco Paolini è da sempre dalla parte giusta, quella del sociale, della difesa dell'ambiente, dell'analisi puntigliosa dei fatti, della ricostruzione senza sconti dei ricordi e anche questa volta si conferma istrione che incanta, fa pensare, commuove e fa anche ridere. Uno spettacolo che racconta la biomassa, quanto pesa, quanto andrebbe protetta e quanto invece stiamo distruggendo perché aumentiamo in modo esponenziale la zavorra inutile. Paolini interagisce con il pubblico e ci chiede se abbiamo una vaga idea di quanto sia il peso della biomassa sulla Terra. Anzi, ci chiede anche se sappiamo cosa sia davvero la biomassa. Pesa 1,3 milione di tera. Ma come si scrive? Quanti zeri ci sono? Come possiamo quantificarlo e capirlo veramente? E da qui, dalla biomassa, partono i suoi ricordi intrecciati con le storie di altri, compresa la Rosina una signora che lui, giovane volontario in Friuli dopo il terremoto, aveva scambiato per un oste e che era invece una signora qualunque che aveva offerto a lui e ad altri sette uomini quel poco che aveva: un caffè con la moka e la grappa. Quando gli otto avventori avevano capito di non essere in un'osteria, ma a casa di Rosina, erano scoppiati a piangere. E Paolini, anni dopo, la va a trovare e lei gli dice una frase semplice: mi hanno ricostruito la casa e hanno spostato l'interruttore della luce delle scale da destra a sinistra ed io continuo a cercarlo a destra dopo tutti questi anni, perché non è facile accettare i cambiamenti.
Quanto pesa un metro cubo di acqua? Questo lo sappiamo oramai: una tonnellata. Ma quanto vale? Eh no, su questo non ci siamo ancora messi d'accordo. Poco meno di due ore di monologo intervallato dalla voce strepitosa di Saba Anglana, artista italiana di origini somale e dalle musiche di Lorenzo Monguzzi, chitarrista dei Mercanti di Liquore che da più di venti anni collabora con Paolini. Le storie che racconta sono apparentemente disgiunte tra loro eppure sono tutte collegate da un unico fil rouge: i comportamenti di uno si ripercuotono su tutti e le storie si parlano tra loro. Ecco quindi che ogni tanto ritorna la biomassa a ricordarci chi siamo e la canzone finale riunisce simbolicamente tutte le altre perché è data da una strofa diversa di ognuna delle canzoni eseguite durante lo spettacolo. Sani! (questo il titolo dello spettacolo andato in scena ai Rinnovati di Siena) è il modo friulano per salutarsi. Non è ciao, che viene da schiavo, ma è più un buon augurio tipo salve che viene da salus. Ascoltiamoci, quindi, per augurarci di capire dove dobbiamo andare. Nel pomeriggio la direzione artistica senese ha organizzato un incontro con il pubblico e Paolini è stato molto disponibile. Ha spiegato che questo spettacolo non è mai uguale, che proprio due giorni fa hanno aggiunto un pezzo che è ancora acerbo (ma non ha voluto dire quale fosse... forse quello dell'inizio in cui parla del rapporto tra Siena e l'acqua perché sembrava abbastanza incerto e non preciso come al suo solito) e comunque cambia perché anche la terra cambia, cambiano le cose, cambiano i nostri intenti e, come gli ha detto una volta Dario Fo il teatro non si fa per i posteri, come a dire che quando hai finito uno spettacolo, non è detto che sia perfetto per sempre. Musica e parole sono fuse come un discorso scritto con una buona punteggiatura. Ci sono le sonorità della musica folk mischiate a influenze e stili provenienti da molto lontano. Perché forse la musica è già capace di raccontare un mondo che, sfortunatamente, esiste solo nei nostri desideri, un mondo senza frontiere e capace di affrontare unito la sfida per la propria sopravvivenza. Quando racconta la storia dell'ultimo uomo della tribù dei Tanarù in Amazzonia, la cantante è strepitosa: grazie ai suoi suoni, vediamo i pappagalli, le foglie, l'acqua, i tronchi, la solitudine di quest'uomo solo, la morte, la capanna, la terra. La sua non è stata una morte e basta: lui rappresenta il genocidio di trecentocinquanta persone uccise prima con la stricnina e poi con le armi da fuoco. Le storie si collegano alla sua vita personale e sul palco campeggia un enorme castello di carte che ci riporta alla fragilità della nostra vita, della terra, della biomassa. Il Gotico incute. È un format del Medioevo, è una serie Netflix: guardalo perché è bello tanto. Solo Paolini può dire una cosa così.