PISTOIA. Tutte le volte che sentiamo Pino Daniele, anche solo pronunciarne il nome, ci emozioniamo. Succede così da quando abbiamo avuto la fortuna di scoprirlo, quarantacinque anni fa e ne rimanemmo abbagliati. Figuratevi quando se ne sente cantare. È successo ieri, in serata, a Pistoia, quando in piazza del Duomo, poco distante dal palco dismesso del Festival Blues, sugli scalini dell’ex Prefettura, davanti al Bar Duomo (organizzatore dell’evento), Emanuele Marsico, Matteo Boni, Federico Frassi e Fabrizio Doberti hanno intonato, per preparare gli strumenti all’esibizione che hanno tenuto di lì a poco, Quanno Chiove, uno dei brani cult del leggendario repertorio dell’immortale cantautore napoletano. Facciamo un repertorio standard, dove troveranno spazio anche alcuni brani di Pino ci ha messaggiato, affinché non lo dimenticassimo, uno dei componenti della formazione, che trasuda jazz, occorre onorevolmente specificare. Meglio! abbiamo pensato. E meglio è stato. Dopo l’intro di Burt Bacharach e prima di misurarsi con alcuni brani di Gerhswin, Beatles e Carmichael, sul palco approntato alla bisogna è salito uno dei reduci dei Diplomati, Carlo Cappellini, voce che spopolò nella Pistoia degli anni ’60, quella dei Globini, tanto per intenderci. E che, nonostante gli anni, è riuscito a spopolare, nel senso letterale del termine, anche ieri sera, facendo in modo e maniera che alcune famiglie di turisti ispanici, con rispettivi normodotati e rumorosi cuccioli al seguito, attratti dallo spazio della piazza e non dalla melodia profusa da uno dei suoi angoli, prima di discutere, abbiamo preferito andarsene. Lo han fatto dopo che dal microfono Carlo Cappellini abbia ammonito grandi e piccini che in quella zona occorresse fare silenzio. Nemmeno Virgilio Sieni si sarebbe permesso, ci ha sussurrato, sghignazzando, Lorenzo Maffucci, ex collega ormai impelagato nell’underground, che dopo un decoroso e deontologico taglio alla capigliatura han smesso anche di chiedere i documenti. Anche noi, come Carlo Cappellini, siamo inesorabilmente invecchiati, perché se così non fosse, ai suoi incomprensibili e irritanti diktat, ieri sera, avremmo risposto per le rime. E invece, come i turisti spagnoli, anche noi, per non discutere, ce ne siamo andati. Peccato, perché la musica dei quattro ragazzi del Conservatorio di Siena l’avremmo ascoltata ancora; ma anche la voce del vecchio crooner, al quale consigliamo, d’ora in avanti, esibizioni indoor, dove i mocciosi non giocano e non fanno chiasso.

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