FIRENZE. L’ossessiva fedeltà alla scrittura di John Steinbeck ha fatto sì che nella trasposizione teatrale di Uomini e topi, capolavoro minimalista della letteratura mondiale, alcuni personaggi a nostro modo di vedere fondamentali (la moglie di Curley, su tutti) abbiano avuto un ruolo marginale e dunque poco funzionale alla rappresentazione. Con questo non vogliamo in alcun modo sminuire la capacità attoriale dell’intero cast agli ordini di Marco Lombardi, il regista, ma siamo fortemente convinti (la nostra riduzione teatrale del capolavoro statunitense è pronta da due anni) che lo spettacolo, organizzato dalla Compagnia I giardini dell’arte e andato in scena nell’accogliente sala del Teatro Lumiére di Firenze, si sarebbe potuto concentrare solo su quattro anime e attorno a queste far vibrare anche gli altri personaggi che invece, seppur impeccabili, non crediamo portino linfa e argomenti al tema, verista, della solitudine: gli inseparabili George (Lorenzo Lombardi) e Lennie (Aldo Innocenti), la moglie di Curley (Anna Serena) e Candy (Lorenzo Bittini), che sono quelli, ribadiamo la nostra discutibilissima personale angolazione del viaggio libro/palcoscenico, che fanno e riempono la storia. Ma lo spettatore va introdotto alla trama, si potrebbe immediatamente obiettare? Lo spettatore deve avere una benché minima idea di cosa parli il testo, altrimenti, invece che andare a teatro, si può sempre scegliere di optare, in un gradevole sabato sera italiano sul limitare di novembre ma con temperature ancora settembrine, di calcare le scene di confusionari apericena o restare, in pantofole, davanti alla tivvù, dove scorrono, spietate, immagini lobotomizzanti di guerre, paci, amori, tradimenti, nani e ballerine, terrori invisibili e malefatte nascoste, infiltrati e sgualdrine, cortei non autorizzati dall’ordine dei giornalisti e dal decoro di urlatori seriali e serali e una serie indefinita, indefinibile e interminabile di chirurgiche distrazioni di massa. Torniamo al Lumiére, scusate, e concentriamoci su quello che avremmo desiderato vedere e che non abbiamo visto. Siamo sicuri e certi che Lennie sia un ragazzo autistico e che per impersonarlo occorra fare ricorso, recitativo, agl’inimitabili retaggi hoffmaniani di Rain Man? Siamo certi che Goerge abbia, nei confronti del vecchio amico/collega, un atteggiamento così fraterno, compassionevole e che invece la sua vicinanza /dipendenza non lo infastidisca così tanto dal volerlo condannare, senza appello, a una fine ingloriosa che rappresenterà, tra l'altro, la fine degli unici suoi rapporti umani tessuti? Senza il supporto di Slim (Marcello Sbigoli), Curley (Raffaele Totaro), Curlson (Gianfranco Onatzirò Obinu) e il padrone, il papà di Curley (Massimo Blaco), la rappresentazione sarebbe stata, certamente, meno lunga, ma ne avrebbero forse giovato le puntualizzazioni umane, storiche e caratteriali dei sopravvissuti alla nostra carneficina, soprattutto concedendo alla moglie di Curley un ruolo che non fosse subalterno prima che ancora innominato. Uomini e topi è, senza alcun dubbio, un racconto di ultimi e per ultimi, una lotta fratricida di sopravvivenza proletaria di braccianti a cottimo che sognano di diventare padroni, almeno di loro stessi (ricorda, per alcuni versi, la GKN di Campi Bisenzio), cercando di annientare l'impellente richiesta di delocalizzazione e rendendo alla terza età, alla vecchiaia, è più bello dirlo e scriverlo, la sua dignità, e delle secolari frustrazioni femminili che hanno, in caso di decente piacevolezza maschile, un’ancora di salvezza particolarmente irritante: diventare la donna di qualcuno e smettere così di avere velleità personalistiche. Attorno a questi due grandi problemi George, Lennie, la moglie di Curley e Candy si sarebbero dovuti prendere la scena e condurla trionfalmente al suo tragico, inevitabile, epilogo, lo stesso decretato, a suo tempo, dall'autore. Lo spettacolo sarebbe finito prima, abbiamo già scritto; beh, rincasando, coloro che ne ignoravano l'esistenza, tra gli spettatori, avrebbero potuto cercare di colmare il vuoto della non lettura del romanzo con qualche informazione in più, seppur approssimativa, utilizzando i canali informatici fino al punto di far sentire loro la necessità, il lunedì, di comprarsi quel meraviglioso libro di nemmeno cento pagine.