PISTOIA. Imparate a dipingere come i vostri insegnanti; poi, fate come volete: nessuno vi mancherà di rispetto. Così si rivolse Salvador Dalì ai suoi allievi al termine del primo corso. È quello che han fatto, molti anni fa, da giovinetti, i Chicos Mambo, che i quadri li compongono con il corpo, sulle punte dei piedi, con addominali, deltoidi e quadricipiti tirati a lucido, sbeffeggiando, senza il minimo riguardo, tutto e tutti, ma in particolare il mondo cristallino della danza tutta, che adorano e nel quale si immergono con totale abnegazione e che conoscono, indiscutibilmente, con imbarazzante meticolosità. Ieri sera, per fortuna, con la neo Direttrice Artistica della danza della nuova Atp, Lisa Cantini, con il solito broncio dal quale non si evince mai se stia andando o ritornando, che si ripeteva, sorridendo, ve lo dicevo io, che questi spaccano, al cospetto di un Teatro Manzoni pieno come mai è successo prima per uno spettacolo di danza, gli spettatori, tutti, grandi e piccini, compreso un neonato che a un certo punto ha iniziato a piangere, ma solo perché aveva fame, sete, sonno e quant’altro, si sono divertiti. Assai. Certo, Tutù, la performance dei Chicos Mambo (Vincenzo Veneruso, Vincent Simon, Julien Mercier, Marc Behra, Kamil Jasinski, David Guasgua Zentaï e Corinne Barbara) gira il mondo ormai da dieci anni; rodaggio e sit ne han provate a dismisura, ma vederli – e a Pistoia, per molti, è stata la prima volta – è una gioia totale, una macedonia di bravura, ginnastica, ironia e tanto, tanto divertimento. Sempre vestiti da donna, da damigelle con il tutù, con abiti lunghi da sfilata, con pompon da vallette, alcuni con chiome nostalgiche, altri glabri totalmente, tutti con voluminose parrucche, con qualche tatuaggio indecifrabile, barbe dartagnanesche e facce semiserie, vestiti sotto la guida della costumista Corinne Petitpierre, ma sempre sfoggiando una distribuzione muscolare esemplare, quella che ha consentito a tutti i protagonisti di volteggiare, senza soluzione di continuità, per più di un’ora, sul palcoscenico del Manzoni, sulle note scelta da Antisten, guidati e coreografati da Philippe Lafeuille e giocando, spudoratamente, con la vita e con i suoi irritanti luoghi comuni, quelli imposti dal tubo catodico, dalle mode, dalle tendenze. È vero: non abbiamo i mezzi artistici per tributare, agli esibitori, il passaporto della genialità o poter bollarli come impostori. Così come ci è già successo ammirando la bambina prodigio Nadia Comaneci o il giovane mostro degli anelli, Yuri Chechi: ci hanno emozionato, fino alle lacrime, senza che capissimo perché. Le loro esibizioni sono rimaste nell’immaginario collettivo di chiunque li abbia visti e anche con i Chicos Mambo, la sensazione, con tutti i benefici d’inventario e di proporzione, è stata la stessa. Perché vederli all’opera, seppur molti dettagli tecnici ci saranno, irrimediabilmente, sfuggiti per mancanza, cronica, di elementi oggettivi, è, al di là delle più remote conoscenze, un gran lusso: danza classica, danza moderna, danza alternativa; ginnastica, ginnastica ritmica; da Nureyev a Bolle, dalla Fracci alla Bausch, con tutta la scuola più giovane della Morganti, scomodando, con immenso onore, Tati e Chaplin, in una girandola accecante di colori, suoni, luci, sistematicamente intervallati da piccole grida isteriche, che hanno aggiunto ulteriore parossismo a un’esibizione che seppur orfana di numeri da wow, è stata una piacevolissima maratona di irridente bellezza.

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