SESTO FIORENTINO (FI). Culi così belli se ne vedono pochi, siamo onesti. Anche Nadia Cassini e Lory del Santo, che sono state, rispettivamente e indifferentemente, le chiappe onomatopeiche degli anni ’70, se assistessero a Conversations after sex, non potrebbero che complimentarsi con Gabriele Giaffreda, che, oltre a un fondoschiena indiscutibilmente di greca bellezza, è anche e soprattutto uno, nessuno e centomila nel talamo peccatore e confessorio sul palcoscenico del teatro La Limonaia di Sesto Fiorentino. Abbiamo deciso di partire dalle chiappe del coprotagonista maschile della rappresentazione teatrale, in prima nazionale nella conca senza aria del parco fiorentino, perché alla fine dello spettacolo, dopo aver assistito a una girandola di incontri, posizioni, ipocrisie, falsità, confessioni, tutte consumate e proiettate nell’angusto perimetro rettangolare di un letto matrimoniale, o meglio, a due piazze, tra Barbara Esposito e i suoi cazzi d’occasione, ci è sfuggita, se non la morale, che aborriamo, beninteso, della favola, quanto meno la sua giustificazione. Non abbiamo letto il testo irlandese di Mark O’Halloran, tradotto per la bisogna da Lorenzo Borgotallo e portato sul palcoscenico da Dimitri Milopulos, né, probabilmente, lo faremo, ma non abbiamo capito dove il testo e la sua rappresentazione scenica vogliano o volessero andare a parare. Esistono donne che si frantumano il cuore, l’anima e la fica tutte le notti regalando, senza compensi, il proprio tempo e il proprio letto a uomini ai quali non saprebbero cosa altro offrire se non intricanti intrecci erotici, con un velato epilogo che parrebbe indurla a fermarsi con uno dei suoi clienti portoghesi? L’innominata ereditiera, che ha deciso di vivere affogando la sua triste voluta solitudine in scopate occasionali, degne della migliore tradizione ninfomane, con un genere maschile estremamente eterogeneo, ma mai di livello, uomini senza arte, né parte, che liberano le loro frustrazioni solo nell’intimità con la cagna da monta di turno, non chiede e non dà, non cerca e non aspetta, ma se capita, non se lo lascia sfuggire. A scatenare il suo dissesto psicologico, che si trasforma in un atteggiamento moralmente molto discutibile, c’è un lutto non metabolizzato, quello del suo compagno, che ha deciso di suicidarsi. Da allora, il tempo, la vedova di Curley, lo trascorre in cerca del Lennie di turno con il quale uccidere le notti, ma senza progettare più nulla; piselli di circostanza con i quali stabilisce contatti non certo privilegiati, ma specifici, riuscendo, con manifesta eleganza, a non confondere mai il brasiliano con il dublinese, l’imprenditore con il tossico. A ciascuno la sua angolazione della vagina, in un carosello nichilista che alimenta la propria dissoluzione a ogni scopata. Nemmeno la sorella (Anastasia Ciullini), che ha invece impostato la propria esistenza così, come fan tante, sposandosi, diventando madre due volte e aspettando che il marito, che la tradisce, torni sui propri passi e riacquisti il suo ruolo specifico di padre e marito apparentemente indefesso, riesce a farla desistere dalla sua dissolutezza, provando a lusingarla con il quadretto della famiglia benestante che riesce a sopravvivere con malcelata dignità nonostante tutto. Le conversazioni che seguono una scopata veloce, o senza alcuna ambizione sentimentale, dunque, progettuale, abitualmente gravitano attorno al nulla e servono a far sì che lui riesca a trovare il tasto da premere per alzarsi, togliersi lo sperma seccato sulla pelle e andarsene il prima possibile e lei, nonostante ne avrebbe voluto ancora per molto altro tempo, si possa dire vagamente soddisfatta. Quando non sono a pagamento, perché in tal caso, preliminari ed epiloghi sono fortunatamente evitati, soprattutto perché non graditi, da entrambi.

Pin It