PISTOIA. Il Teatro dell’Assurdo nacque per cercare di dare risposte a domande che nessuno si sarebbe mai immaginato che qualcuno e la Storia decidesse di porre. Il Teatro dell’Assurdo è stata una delle poche risposte plausibili che l’umanità è riuscita a darsi senza impazzire e trovando la forza e la voglia di continuare. La Storia, di quesiti surreali, inimmaginabili, devastanti, con risposte a volte improbabili, altre introvabili, ha continuato a darne, ma l’umanità, che pensava di aver superato l’ultima frontiera del baratro resistendo alla seconda guerra mondiale, non ha più saputo rispondere. E allora la vita, sotto forma di due anonimi visitatori, arriva nella locanda sul mare e presenta il conto; a tutti quelli che sono lì, capitati anche per caso. Certo, la vittima designata, preferita, sacrificale, un timoroso esempio per tutti gli altri, è Stanley (Alessandro Averone), un pianista che crede di sottrarsi alla logica quotidiana delle responsabilità, dei ricatti, dei doveri, degli inganni, del mercato, trovando rifugio nella modesta pensione, seppur segnalata sulle guide turistiche, gestita da Meg (Maddalena Crippa) e suo marito Petev (Fernando Maraghini). Ma un giorno arrivano le guardie, Goldberg e Mc Cann (Gianluigi Fogacci e Alessandro Sampaoli), dei cattivissimi Blues Brothers, per conto di Dio, probabilmente, e quel precarissimo equilibrio che tiene in piedi atmosfera, sopravvivenza e rapporti, esplode. In una festa, e ci mancherebbe altro, per Il Compleanno di colui che era convinto di essersi riuscito a sottrarre dalla lista di proscrizione e di essersi salvato in quella modesta pensione sulle rive del mare, dove poter ripudiare tutto e tutti, financo sé stesso, ma senza rinunciare alla colazione, la gioia, vera, di ogni albergo. Il testo ha più di sessant’anni, è di Harold Pinter, personaggio chiave della cultura del ventesimo secolo e il fedele, sin troppo, a nostro avviso, riadattamento teatrale è di Peter Stein. La collaudatissima coppia è sbarcata a Pistoia, al Teatro Manzoni, ricevendo una timida e forse giustificata accoglienza. Perché quella scrittura, che tanto scandalizzò e indignò il Regno Unito, per poi ricevere un consenso oceanico solo dopo aver sbarcato il lunario delle diffidenze e diventare, addirittura, uno dei manifesti più importanti accanto alle intuizioni premonitrici di Samuel Beckett e Franz Kafka, avrebbe bisogno di un tagliando di revisione. È vero, la volontà di cenni tragicomici traspare, ma non pesa quanto dovrebbe e il pubblico, in sala, aspetta trepidante, ma inutilmente, che una battuta, un nonsenso, tipicamente inglesi, tra l’altro, interrompa il filo nichilista che sorregge l’intero impianto. Maddalena Crippa è sempre toppo austera e non riesce a scendere mai dal piedistallo – cosa che non ha mai fatto, del resto, ma nel tempo pensavamo si fosse alleggerita un po’ -; anche Fernando Maraghini subisce troppo passivamente tutte le disattenzioni della moglie e nonostante l’unica cosa che importi è che l’azienda di famiglia resti in piedi e che lui possa continuare a sopravvivere fingendo di non sapere, beh, qualche risentimento potrebbe pur lasciarlo trasparire; la coppia della Gestapo è forse quella che non ha compiti collaterali e che i cinici, gli avidi, i cattivi, insomma, riescano a farli alla perfezione. Anche Lulu (Emilia Scatigno) potrebbe destare con maggior complicità il vecchio porco che alberga nell’anziano profanatore e reagire con maggior energia, sdegno e disgusto all’indomani di un abuso perpetrato tutta la notte e favorito da un’energica mescita di alcool. La fedeltà alla linea, invece, ha tenuto tutto e tutti sotto controllo, pubblico compreso, che avrà pensato che quelle questioni, quelle surrealtà, quelle dinamiche appartengano a un’epoca passata, dimenticata, ignorando, invece, che il tentativo di normalizzazione è nuovamente in atto e che questa generazione di viventi non sembra in grado di intercettare.