PISTOIA. E tutti uscirono felici e contenti: quelli per i quali il Teatro lo fanno solo Ronconi e i suoi seguaci; quelli che, seppur irrimediabilmente attratti dal passato, sostengono la necessità di rileggerlo, il trascorso; quelli che sono convinti che le parole valgano più del corpo; quelli che sostengono esattamente il contrario e quelli che, e sono la stragrande maggioranza degli spettatori, vanno a Teatro per consolidata abitudine, perché è un salotto nel quale si sentono a proprio agio e che, nonostante siano fruitori distratti, pigri e spesso non opportunamente informati e per nulla coinvolti, chiedono agli attori rappresentazioni in grado di catapultarli in un limbo surreale e sottrarli così dalla meschina fatica della routine quotidiana. E anche noi, che non apparteniamo, per censo, a nessuna delle categorie citate e che facciamo parte di quella ristrettissima schiera di privilegiati, ieri sera siamo usciti dal Teatro Manzoni di Pistoia felici e contenti. Felici e contenti di aver goduto, per l’ennesima volta, la vista, l’udito e l’incontrollabile ammirazione di Maria Paiato, un talento genuino, semplicemente mostruoso, della carovana attoriale italiana. Un’Attrice esemplare, cosmica, che non ha alcun bisogno di acclimatarsi: entra in scena ed è come se lo fosse da oltre mezz’ora, indifferentemente superlativa, che indossi abiti struggenti, comici, lancinanti, ironici, dolorosi, satirici, con una sintonia vocale/corporea al limite dell’irritazione, una Maschera del Teatro capace di essere al vertice recitativo tanto nell’interpretazione del Classici, quanto con i testi contemporanei. A Maria Paiato si può dare, come copione, il menù di un ristorante, non necessariamente stellato, anche di una modesta trattoria e ottenerne un’amalgamatissima decantazione. Non è un monologo, Boston Marriage, del drammaturgo americano Boston Mamet, che ha tanto divertito gli statunitensi alle soglie del Duemila e che Giorgio Sangati, grazie alla produzione del Centro Teatrale Bresciano e del Teatro Biondo di Palermo, ha portato in scena a Pistoia in esclusiva per la Toscana; accanto alla fuoriclasse rovigina - Anna, una lesbica sulla via del tramonto che ha trovato un marito insoddisfatto che ha deciso di mantenerla - in scena un’altra bellissima e consolidata realtà italiana, la piacentina Mariangela Granelli, Claire, la sua antica compagna, che accetta ufficiosamente l’invito di essere la seconda mantenuta ma solo perché vuole e deve confidarle una sua nuova passione. Con loro anche Ludovica D’Auria, una giovane cameriera, Catherine, figlia di una modesta famiglia contadina irlandese ed emigrata negli Stati Uniti in cerca di un’esistenza per lo meno urbana, se non metropolitana. L’intreccio delle realtà delle protagoniste è pieno di passione, divertimento, giochi sintattici e umorali, un affresco tridimensionale della filosofia femminile, in una casa di bambole che scomoda, perché vuole davvero scomodarlo, il testo di Ibsen, almeno da un punto di vista scenografico. Siamo usciti dal Teatro Manzoni felici e contenti, ieri sera (si replica oggi, domenica 7 gennaio, alle 16) non perché il testo abbia rinvigorito in noi la giusta necessità del mondo femminile di affrancarsi da quello maschile; non perché nella scrittura aleggi la necessità, vitale, dell’idea più nobile dell’Amore; non ne avevamo alcun bisogno: abbiamo le idee chiare, a proposito e non solo. È la bellezza e la potenza delle interpretazioni, la duttilità corporea su e nelle parole, la ritmicità musicale di una gestualità adorabilmente esasperata che si lascia schiaffeggiare, durante le erudite citazioni delle vecchie amanti, dall’elementare, indifesa e logica praticità, spesso colorita da innocenti volgarità, della giovane cameriera, alla quale sfuggono, perché vergine da infrastrutture, tutte le furbizie, contaminazioni ed espedienti adottate dalla sua padrona. Un triangolo femminile di Lesbo ed eterosessualità che diventa, al di là e oltre ogni (in)difendibile collocazione, un inno alla vita, alle sue eterne debolezze, ai suoi secolari piaceri, uno scrigno di incontaminata felicità tradotto dalla magistrale forza del Teatro.