FIRENZE. Stavolta, le lacrime, non scendono incontrollate lungo le gote solcando orgogliosamente il viso. Con Il tango delle capinere restano lì, in attesa. Emma Dante, stavolta, si allontana, ma solo per un attimo (questo è il solo nostro augurio, eh; non abbiamo anticipazioni sulle sue produzioni future), dal dolore più intenso, da quel dolore così profondo che per riuscire a sopravvivere bisogna, necessariamente, che si trasformi in energia, e plana su una poetica, fisica, sensualissima, storia d’amore, quella di un Ginger e Fred, o Paolo e Francesca, se preferite, ma della Sud Costa Occidentale. Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri non sono però due ballerini, vecchi amici, che si ritrovano, per una circostanza mondana, a dare un saggio delle loro doti artistiche sulla via del tramonto o un uomo e una donna sul cui amore la letteratura e la filosofia si sono poi sbizzarrite fino a mitizzarne anche le più pure e innocenti semplicità. Manuela e Sabino sono una felicissima, seppur stanca e provata dalla vita, coppia di coniugi. La danza è stata il loro sodalizio giovanile, la coppia numero 74 di una saga paesana nella quale vinsero stracciando, inesorabilmente, tutta la concorrenza. Lì, però, ci si arriva dopo, quando il nastro della loro fantastica, anonima, esistenza, si è già riavvolto e continuerà a farlo fino all'ultima immagine, di quell'amore puro che è riuscito a mantenersi tale così come promesso nel suo rito adolescenziale propiziatorio. Il Teatro Rifredi è pieno in ogni ordine di posti: prima della prima replica (stasera, sabato 17 febbraio, la terza e ultima, prima che la carovana si trasferisca all’Era di Pontedera), Giancarlo Mordini, direttore artistico del Teatro prima dell’assemblaggio con la Pergola, legge un comunicato; nessun riferimento esplicito alla tragedia consumatasi, nella mattinata, a poche centinaia di metri, in un cantiere, dove sono morte tre persone (quattro, quando scriviamo, in attesa di inserire nel tragico listino la quinta), ma una lode al lavoro. E alla sicurezza. Ci sono gli abbonati storici e quelli che, di Emma Dante, non si vogliono perdere nemmeno un quadro. La scena è la solita dei capolavori precedenti; sul palcoscenico c’è poco o nulla: due bauli, per l’esattezza, che custodiscono gli abiti indossati dai protagonisti durante le loro esistenze. All’inizio sono vecchi, stanchi, logori, seppur ancor perfettamente dignitosi, con l’amore che ancora li unisce dopo tutto quel tempo trascorso insieme, dopo tutti quegli anni, nei quali sono partiti dal nulla per arrivare fin nei paraggi del capolinea, che li sta aspettando, anche se senza fretta alcuna, con tutta l’inesorabilità delle circostanze. In sottofondo, senza legami storici definiti e impeccabili, le canzoni che hanno accompagnato la loro vita; da Mina a Rita Pavone, da Luigi Tenco a Francesco De Gregori, in ordine sparso, senza che il motivo che aleggia in Teatro corrisponda a quello dell’epoca che i due mattatori stanno rappresentando e danzando, fino ad arrivare al motivo che da’ il titolo alla rappresentazione, Il tango delle capinere, appunto, di Luciano Tajoli, ma con la voce di Nilla Pizzi. La non folgorazione di questo spettacolo dipende, unicamente, dalle aspettative con la quali abbiamo erroneamente caricato l’attesa della visione; siamo parzialmente giustificati, però, perché da Vita mia in poi, abbiamo freneticamente seguito la scia della fuoriclasse palermitana e soprattutto dopo Le sorelle Macaluso e Misericordia eravamo convinti che le sacche lacrimali avessero ancora parecchio da fare. Stavolta, invece, la poesia, la sensualità, la forza fisica, il linguaggio del corpo, la purezza delle nudità, con tutte le loro inevitabili, e non solo perché chimiche, imperfezioni, prendono il sopravvento, ma senza che il dolore, l’angoscia, il nichilismo e la sconfitta che perseguita le anime del sud di tutto il mondo ne giustifichino l’utilizzo. Stavolta si parla solo ed esclusivamente di Amore, della sua meravigliosa, inimitabile e intraducibile unicità, nonostante la storia somigli chissà quante altre storie, ognuna inconfessabilmente e gelosamente legata ai suoi ricordi, conservati con cura, perché no, in due bauli.