FIRENZE. Lo sanno bene tutti, in particolar modo i musicisti, quelli con la m minuscola e quelli con la M maiuscola, che il fenomeno cosmico, e senza tempo, dei Beatles, sia quasi impossibile da spiegare. In quell’incredibile decennio (1960 – 1970) infatti, limitando l’attenzione introspettiva al solo campo musicale, con i quattro ragazzi di Liverpool, alla ribalta, ci arrivarono, da vari angoli planetari, un sacco di altri musicisti. I primi che ci vengono in mente sono i Rolling Stones, ad esempio, che di rock and roll ne macinavano assai di più e con testi non certo morbidi, né per donzellette che vengon giù dalla campagna; c’erano i Doors, maledetti sin nelle viscere, senza contare, ad esempio, tutti i padri e le madri del Blues, da B. B. King a Muddy Waters, da Etta James ad Aretha Franklin. Ma come John, Paul, George e Ringo nessuno mai seppe influenzare, in modo così decisivo e calamitico, la scena sociale. Su questo, forse, Eugenio Nocciolini (suoi il testo e la regia), Andrea Casagni e Gabriele Giaffreda hanno deciso di soffermarsi e concentrarsi per dare alla luce Scarafaggi – Across The Beatles (prodotto da Primera in collaborazione con CasoZero Media), in scena al Teatro Rifredi di Firenze (si replica stasera, ore 21). Senza forse, probabilmente, ma non per impiantare un dibattito convocando addetti ai lavori e critici sontuosi, ma per allestire un gradevole excursus esistenziale e farne uno spettacolo su quei quattro adolescenti che si trovarono, inavvertitamente e senza alcuna spiegazione plausibile, in cima al mondo, non solo nelle hit dall’Inghilterra agli Stati Uniti, ma anche e soprattutto nell’influenza totale che esercitarono su quella contemporanea generazione di coetanei da zenith a nadir. I tre giovanotti, di Firenze, non di Liverpool, arrivano sul palcoscenico dal fondo della platea inscenando una delle tante prove della rappresentazione. Escono ed entrano dai personaggi con disinvoltura, confidando nei video che proiettano sullo schermo che campeggia alle spalle della scena; alcuni, paiono inediti, quasi, altri, appartengono all’immaginario collettivo che ha fatto la storia, anzi, la leggenda, dei Beatles. Un racconto, gradevole, che spazia dalle rispettive adolescenze dei Fab Four per arrivare, ripercorrendo alcune tappe della loro fulmicotonica carriera passando anche attraverso il filtro delle loro singole storie sentimentali, che hanno quasi sempre invaso il territorio artistico del quartetto più famoso del mondo, allo scioglimento del gruppo, arrivato dieci anni dopo la nascita, una consensuale interruzione del sodalizio che dette poi vita alle loro singole carriere (una delle quali, quella di John Lennon, tragicamente interrotta), senza comunque smettere mai di continuare a godere di quell’effetto collettivo di mirabolante fascino e magia quasi inspiegabilmente maturato in quel meraviglioso decennio. Entrano ed escono dai mitici personaggi dei lord inglesi, dicevamo, senza permettersi mai il lusso di canticchiarne alcuni motivi che sono di commestibilità mondiale; sono senza strumenti, perché loro sono tre attori che stanno provando a mettere in scena il loro spettacolo e l’esperimento, vista la totale approvazione del pubblico che ha gremito la sala di Rifredi, non può che dirsi riuscito.

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