PISTOIA. Non ha avuto il coraggio mostrato nella rilettura di Natale in casa Cupiello, ma anche con La locandiera, il regista, Antonio Latella, non ha badato a spese e anche in questa circostanza, i raid, specie nelle ambientazioni, sono stati efficaci, ficcanti, esemplari, soprattutto nel rifacimento di un’opera che, nonostante la sua salvifica contemporaneità, inizia a sfiorare il terzo secolo di vita. E chi meglio della sensualissima Sonia Bergamasco, resa quasi blasfema da una raucedine che ne ha declinato il diaframma fino a rasentare la pornografia, poteva incarnare le vesti di una Mirandolina terzo millennio, abilissima a prendersi gioco di Giovanni Franzoni (il Marchese di Forlipopoli) e Francesco Manetti (il Conte di Albafiorita), due spasimanti/bilancia (il nobile decaduto e l’arricchito; il muscoloso e l’arguto; il paterno e il temerario) per finire poi nella rete della sua stessa arte seduttoria al cospetto del terzo viandante/incomodo, il misogino Ludovico Fededegni (il Cavaliere di Ripafratta) e liberarsi, in un battito di ciglia, da tutto e da tutti, sposando Annibale Pavone (il cameriere Fabrizio), premiandolo, dopo mille sadiche involontarie distrazioni, con l’amore coniugale, quello che le aveva diagnosticato il padre prima di morire? Ma prima di scendere nei dettagli dell’esemplare competenza attoriale dei cinque protagonisti, perfettamente esaltati dai ruoli comprimari del resto del cast (Marta Cortellazzo Weil e Marta Pizzigallo, le due commedianti e Gabriele Pestilli, il servo fiero dell’ostilità femminile del suo padrone), occorre passare attraverso lo scanner della drammaturgia e applaudire, apertamente, Linda Dalisi, che avrà giocato un ruolo chiave anche nell’ammodernamento costumistico dei protagonisti: scalza e con una t-shirt che le arriva a metà cosce; con i pantaloni della tuta Adidas; con un maglioncione caldo stile Cortina d’Ampezzo anni ’90; con un completo griffato e un mega armadio sul fondale del proscenio che ricorda un percorso labirintico nel quale passeggiano, disinvoltamente, tutti i protagonisti. Per non parlare di alcuni stacchi acustici, con la tromba insolente e magnifica di Miles Davis e il rap, equalizzato, di Eminem e tutta la miriade di informazioni e dettagli che (con)vivono in questa rappresentazione. Certo, nella giornata commemorativa e simbolo delle donne uccise per mano di uomini che le amavano troppo, che non potevano vivere senza di loro, la tenace, elastica, enigmistica e a volte disinvolta e cinica adorabile leggerezza di Mirandolina acuisce il rischio che uno dei suoi papabili promessi sposi non sappia ritirarsi in buon ordine e decida, per quella logica perversa che alberga in molti, troppi, uomini sconfitti, di reciderne definitivamente il fascino. Ma tanto a Goldoni, quanto a Latella, preme tratteggiare il carattere femminile dell’amore e anche se al Teatro Manzoni di Pistoia, dove ieri sera La locandiera è andata in scena (si replica oggi pomeriggio, domenica 24 novembre, alle 16,30), qualcuno avrà pur dissentito sulle licenze erogene e omosessuali presenti nel riadattamento del 57enne regista napoletano rispetto al testo originario, siamo profondamente convinti, senza parteggiare per l’arrampicante cultura woke in atto, che le nuove angolazioni e il disinvolto catapultare l’opera tre secoli dopo, non nuocciano, minimamente, alla potenza della rappresentazione. Riproporre, Goldoni, tale e quale, non avrebbe (il condizionale lo usiamo per non irretire i dubbiosi), oggi, probabilmente, alcun senso. Che attorno al fascino femminile ruoti, da tempo immemore, prima ancora dell’avvento goldoniano, quasi l’intero meccanismo universale, è cosa nota e che sapevamo anche un attimo prima di entrare a Teatro a vedere lo spettacolo. Che resta, a parer nostro, un avvolgente remake che si materializza e focalizza in alcuni momenti cardine della rappresentazione, con l’apice raggiunto quando Mirandolina, ormai certa di dover per forza di cose rinunciare allo spasimante conquistato, si lascia avvolgere dal calore e dalla sensualità del suo paletot, con la quale è stata coperta e protetta subito dopo aver perso i sensi. Anche Marco Ferradini, negli anni ’90, aveva sancito, con la sua Teorema, come il totale disinteresse verso una donna comportasse il suo automatico interesse, ma nessuno, né all’epoca, né dopo, lo ha mai tacciato di bieco maschilismo. Eravamo invece convinti che, con quella voce peccaminosa e vagamente vanoniana, Sonia Bergamasco si sarebbe congedata dal pubblico non citando l’epilogo originario del testo: Lor signori ancora profittino di quanto hanno veduto, in vantaggio e sicurezza del loro cuore; e quando mai si trovassero in occasioni di dubitare, di dover cedere, pensino alle malizie imparate, e si ricordino della Locandiera, ma intonando quel capolavoro che si chiama Domani è un altro giorno.