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MEGLIO MENO

Direttore responsabile Luigi Scardigli

Sovraccarico. Di intelligenza

Pubblicato: 16 Febbraio 2020

PISTOIA. Se nel 2018 la forbita giuria del premio Ubu lo ha eletto miglior spettacolo dell’anno, cosa volete che se ne scriva, noi? Per fortuna non ci siamo mai lasciati suggestionare, ma questo Overload (sabato 15 febbraio al Bolognini di Pistoia) è davvero un’idea geniale, che fa i conti con tutta la forbita ed eccellente tradizione di Sotterraneo, ma facendo decisamente un passo in avanti, nient’affatto più lungo della gamba. L’anglosassone Claudio Cirri è David Foster Wallace, che proverà a sottoporre il pubblico a uno dei suoi esperimenti sociologici e psicologici: misurare l’attenzione umana e stabilire se questa, cronometro alla mano, superi quella dei pesci rossi, notoriamente ferma a nove secondi (nell’acquario in scena, infatti, i due pesciolini rossi, per esistere, devono essere ricaricariti). Lo farà con estrema democrazia, perché Sara Bonaventura, l’altra metà dello Scantinato, offrirà agli spettatori la possibilità di andare a sondare i vari contenuti nascosti, che perseguitano ogni informazione; per farlo, sarà sufficiente che dalla platea, anche uno solo dei presenti si alzi dalla poltrona durante i cinque secondi che partono da quando la segretaria di studio mostrerà un cartello raffigurante una semplice freccia.

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L'ossessione di Molière

Pubblicato: 15 Febbraio 2020

PRATO. L’eternità di certe idee è un’arma a doppio taglio, soprattutto quando si è in vena di rileggerle. Valter Malosti, però, nella circostanza specifica, prodotta dal TPE, Carcano e Lugano in scena, quella de Il misantropo (al Fabbricone di Prato fino a domenica 16 febbraio), decontestualizza, prudentemente e intelligentemente, Molière e trasporta ai giorni nostri la crisi esistenziale e nichilista, pura e corrotta, intransigente e incline ai più aberranti compromessi amorosi, di Alceste (in versione Harvey Keitel, quella di Pulp Fiction). La scenografia è un semplice ring, senza corde, o una piattaforma di una discoteca, nella quale e dalla quale si può entrare e uscire in libertà e ai cui lati ci sono otto sedie, sulle quali siedono rispettivamente i protagonisti della rappresentazione, anni ’70, stile juke-box, in attesa della canzone che li convinca e li spinga a salire in pista. Da una parte, accanto al protagonista, il misantropico regista, le sue tre donne: Célimène (Anna Della Rosa), Arsinoé (Sara Bertelà) ed Eliante (Roberta Lanave);

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Lo spettacolo del Processo

Pubblicato: 11 Febbraio 2020

PRATO. Fino a quando indossa la tuta anticontagio, o quella che contraddistingue i disinnescatori di mine, Roberto Abbiati è la maschera che accompagna il pubblico del Magnolfi di Prato (in prima assoluta; si replica fino al 23 febbraio) ad accomodarsi lungo le poltroncine disposte a emiciclo intorno al palco. Non è galante; anzi, è particolarmente burbero e nonostante tutto il pubblico conosca la sua storia e quella di chi ha deciso di fargli indossare i panni di Josef K., qualcuno si augura che stia scherzando. Nient’affatto. Del resto, Circo Kafka, produzione bilingue tra Metastasio e Teatro Piemonte Europa, trasfigurazione gutturale, armonica, intuitiva, deduttiva, figurativa, contemporanea, anzi, eterna, di un processo senza storia e senza tempo, che Claudio Morganti (tra il pubblico, ma nella terza e ultima fila), noto sobillatore teatrale, ha deciso di portare in scena, è volutamente tragicomica, senza risposte, seppur sopraffatta di domande, esattamente come Il processo dell’ignaro bancario immacolato, che sentenziò condanna. A prescindere. L’aula del tribunale, però, dove Josef K. non arrivò mai, è in realtà la sua camera d'albergo, un puzzle di oggetti da mercato dell’antiquariato:

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La danza di Fibonacci

Pubblicato: 09 Febbraio 2020

FIRENZE. La tentazione sarebbe quella che ci indurrebbe a dissentire, tecnicamente, sulla relazione triangolare, ma che triangolare, multifacciale, multimediale, tra Leonardo Da Vinci (tuttologo di cui abbiamo timore a solo pronunciarne il nome), Leonardo Fibonacci (matematico pisano che ci ha regalato i numeri arabi), Leonardo Diana (coreografo, danzattore, persona particolarmente squisita), Nicola Buttari (scenografo), Luna Cenere e Isabella Giustina (danzattrici) e il Teatro Cantiere Florida, di Firenze, ad aver avuto il privilegio e l’onore di aver ospitato questo magnifico trip. Per onestà intellettuale, prima che deontologica, ci preme raccontarvi che non siamo riusciti, per ignoranza globale, a cogliere il nesso alfanumerico/danzante/musicale/visivo che ha sicuramente mosso ogni cosa attorno a In sezione aurea; con la stessa identica franchezza, però, scriviamo che le emozioni olfattive, prima di ogni altro senso, che abbiamo avuto il privilegio di assaporare e che ci accompagnano e guidano, sistematicamente, ogni volta che la fortuna ci pone di fronte a tanta meraviglia, abbiano superato di gran lunga la nostra limitata e terribilmente empirica capacità recettiva e che alla fine della rappresentazione abbiamo umanamente ringraziato coloro i quali abbiano avuto la capacità di organizzarla.

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L'isola che non ci sarà mai

Pubblicato: 07 Febbraio 2020

PRATO. Non si è voluto dimenticare nulla, ma proprio nulla, Luca De Fusco, in questo sontuoso libero riadattamento de La tempesta, al Metastasio di Prato fino a domenica prossima, 9 febbraio, ultima opera, quasi testamentaria, di William Shakespeare. A cominciare dal direttore d’orchestra, Prospero (Eros Pagni), volutamente sprovvisto di bacchetta, principe disarcionato dal suo regno che ha preferito l’isola che non c’è - e che non ci sarà mai, probabilmente - per metabolizzare la propria vendetta, che sarà quanto di più atroce si possa architettare: il perdono. Ma non è solo il vecchio protagonista a meravigliare; l’onirismo dell’intera rappresentazione, un crack particolarmente efficace, quello allestito da Marta Crisolini Malatesta, spolvera tutta la scienza e la conoscenza del regista, che in questa full immersion decide di restare in apnea con le cose che ha più care e che trasporta nei desideri del monumentale Prospero, che oltre a sdoppiarsi nelle sue creazioni, Ariel e Calibano (Gaia Aprea: è parsa un ventriloquo, per le maschere che le hanno cancellato le labbra), cerca a sua volta di consegnare, in eredità, alla figlia Miranda (Silvia Biancalana), alfabetizzata, in quel dorato e immaginifico domicilio coatto dell’isola dell’esilio, alle pratiche esistenziali, spesso sotto i consigli dittatoriali - sconfinando in quello che è stato uno dei più felici e indimenticabili doppiaggi di Eros Pagni: il sergente maggiore Hartman, in Full Metal Jacket - dell'amorevole, ma crudo, padre/padrone.

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Tutto e nulla. Dipende

Pubblicato: 03 Febbraio 2020

di Erika Giansanti

PRATO. La scena asciutta e colorata; scomponibile e mobile, perfetta per adattarsi ai continui, convulsi andirivieni di Antonio Rezza (non più solo in scena) e dei suoi gregari (Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo di Norscia) che si accorpano e disgregano come una dea Kalì dalle molte braccia, gambe, muscoli. E natiche. Voci che si intersecano pur restando parallele, senza mai ascoltarsi, senza rispondersi; i parametri della comunicazione perduti nella frenesia di un’esistenza assurda in cui tutto è già stato esperito, spiegato, dimostrato e ascoltato. Fino a decomporsi, come l’habitat - chiama così le sue scene Flavia Mastrella -: uno spazio apparentemente bidimensionale, eppure versatile e pronto a disgregarsi, nello scorrere serrato di domande con ormai troppe risposte che sembrano annullarsi l’un l’altra. C’è il tutto e il nulla in Anelante, in questa messinscena andata in onda sul palco del Fabbricone, di Prato, subito dopo l’altra rappresentazione RezzaMastrella targata 7-14-21-28. E si ride. Del tutto e del nulla.

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Quella figura insostituibile

Pubblicato: 01 Febbraio 2020

di Stefania Sinisi

LASTRA A SIGNA (FI). Proprio un anno fa, Mario Perrotta fu una sorprendente illuminazione, proprio in questo stesso teatro, il Teatro delle Arti, sul palco nero, obliquo, con tre statue di ferro alle spalle. Mostrò, con una semplicità spiazzante - citando un altro aspetto fondamentale del teatro: il segreto della luce, che sta nei bui che riesce a creare - portando in scena Nel nome del padre, tre padri appunto, ma anche tre figli e tre madri, illuminati nella penombra; tre famiglie comuni dove ognuno si contrappone a se stesso a specchio, svelandosi a poco a poco nella propria identità, riflettendo sensibilmente le nostre fragilità, di padri, madri, figli. Figli estranei e indecifrabili, apparentemente assenti che compaiono energicamente solo grazie a un gioco sottilissimo fatto di parole, di concetti, invisibili fisicamente, ma potentemente presenti e problematicamente risolutori, ignari guaritori di drammi irrisolti e nascosti, vissuti prima da figli e poi da padri.

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Prendere o lasciare

Pubblicato: 01 Febbraio 2020

PRATO. Senza conoscerli, si è autorizzati a pensare che la coppia Antonio Rezza e Flavia Mastrella sia un sodalizio di ultima cerchia urbana partorito, nato e diventato adulto all’interno di una casa di cura, subito dopo l’abolizione dei manicomi. La stessa impressione, del resto, è stata avvertita negli anni ’70, quando alla radio imperversava Alto gradimento, con la coppia Arbore/Boncompagni che poteva avvalersi di uno stuolo di magnifici dilettanti capitanati dal duo Marenco/Bracardi. La storia dei nobili disallineati della controinformazione che tanto bene fa ai regimi che così possono pavoneggiare la loro democrazia, non finisce certo qui; passa alla televisione, poi al cinema, per poi tornare ancora sul piccolo schermo e approdare in teatro. Ma la blasfemia dislessica, i raptus deontologici, la ginnica claudicante e una ratio altamente psicotica fanno di Antonio Rezza e Flavia Mastrella un connubio senza precedenti (eccezion fatta che per Corrado Guzzanti e  Ciprì e Maresco, altri pericolosissimi portatori di follia) e probabilmente senza futuro, soprattutto in considerazione del fatto che le urla distoniche, non contemplate dal dolore e dalla gioia,

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Le pagine di Storia non scritte

Pubblicato: 31 Gennaio 2020

FIRENZE. L’immagine che un po’ tutti ci portiamo dietro di Winston Churchill è quella che lo raffigura, su ogni libro di Storia, imponente e austero, con il suo inseparabile sigaro tra le labbra, discernere di sangue e sudore con i suoi colleghi, gente del calibro di Stalin e Roosevelt, tanto per intenderci. La Storia lo ha già battezzato ed eternizzato come uno dei più lucidi statisti della civiltà, uno di quelli che, da solo, riuscì in qualche modo ad arginare il fenomeno nazista e circoscriverlo, salvo demenziali e indecodificabili rigurgiti che sembra vogliano riesumarlo, alla sola Germania. Giuseppe Battiston, vistosamente alleggeritosi, ma senza perdere la sua naturale imponenza, ne offre una visualizzazione che non si allinea all’inavvicinabile austerità dell’uomo della democrazia: qui, sul palco del Teatro La Pergola di Firenze (dove resterà fino a domenica 2 febbraio), grazie alla produzione Nuovo Teatro di Marco Balsamo, la regista Paola Rota, che ha spulciato il testo di Carlo Giulio Gabardini, Churchill, il vizio della democrazia, regala, seppur in molto molto scarno, inglese, è proprio il caso di dire, un uomo alle soglie della morte, alle prese con i suoi obiettivi e giustificati deliri di onnipotenza,

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Guarda i miei difetti, sono bellissimi

Pubblicato: 30 Gennaio 2020

di Francesca Infante

PISTOIA. È tutto spoglio, tanto che di lato si vedono le corde del palco, che sempre vengono nascoste, ma qui devono essere viste. Cinque sedie, messe in cerchio, c’è solo quello. E cinque danzatori. Quando la finta perfezione non è parte della scena, resta da guardare ciò che di solito viene nascosto: i difetti. Ed è bellissimo. Questo è Another Round For Five, la nuova creazione di Cristiana Morganti, andato in scena (ad evento unico) sul palco del Teatro Manzoni di Pistoia. I protagonisti dello spettacolo si trovano in un luogo non ben definito, forse un club, un circolo, sicuramente un luogo a cui si appartiene o da cui si viene esclusi e in cui si consumano rituali, esibizioni televisive, gare, terapie di gruppo, scontri, discussioni e confessioni. Si riuniscono spesso in cerchio, come attirati da un’illusione di armonia difficile da mantenere. Su una scena quasi completamente vuota – appaiono rapidamente solo alcuni oggetti - prende forma una dimensione ironica e claustrofobica insieme, in cui il tempo è scandito da flashback e anticipazioni, in un gioco dove realtà e finzione, conscio e inconscio, equilibrio e caos si confondono.

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Dietro le quinte, dove nessuno vede

Pubblicato: 29 Gennaio 2020

FIRENZE. Per questo Camerini, l’ultima - in ordine di tempo - idea scenica di Alessandro Riccio, esuberante attore/autore fiorentino, il Teatro di Rifredi, che lo ospita fino a domenica prossima, 2 febbraio, può già vantare il tutto esaurito. Questo ci consola: per lui e la sua compagnia, per il Teatro di Rifredi, che continua a navigare, con dignità e dolcezza, contromano (senza abbonamenti), registrando, in compenso e in parecchie circostanze, rassicuranti sold out e anche per noi, che non siamo rimasti abbagliati. L’idea della rappresentazione, seppur apparentemente orfana di qualsiasi contenuto che possa far riflettere, non è male; dietro le quinte, infatti, non è peregrino immaginare e constatare, da cimici immaginarie nelle quali ci possiamo immedesimare, che i rapporti idilliaci di scena non siano affatto genuini e che dietro i sorrisi a trentadue denti con i quali i cast si presentano e congedano dal pubblico, spesso tenendosi per mano e fingendo di voler declinare il centro del palco al collega, nascondano in realtà parecchi dissapori, invidie, ruggini incancrenite, incoffesabili frustrazioni, fallimenti e che nei Camerini di tutti i teatri di tutto il mondo succeda e possa succedere quello che Alessandro Riccio ha costruito attorno alla sua compagnia occasionale, composta da vecchi e nuovi amici di scena.

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Di straziante bellezza

Pubblicato: 26 Gennaio 2020

FIRENZE. Il pubblico continuava ad applaudire; loro, gongolavano, nel senso più poetico e disarmante che possiate immaginare. Noi, piangevamo, fortissimo, perché non riuscivamo a calibrare le nostre sensazioni, perché saremmo voluti salire sul palco e abbracciarli uno a uno, anzi, tutti insieme, casomai rotolandoci per terra, con il rischio di farci anche male. Ne sarebbe valsa la pena. A loro, scommettiamo, non sarebbe dispiaciuto, perché è quello che stanno cercando di fare: tornare a far parte della grande mela, ma solo dopo essere stati all’inferno, o esserci addirittura nati. Sì, perché gli attori che hanno dato vita al Teatro Cantiere Florida, a Firenze, a Sacro Quotidiano, appartengono al cosmo delle marginalità (salute mentale, dipendenze, migrazione) mostruosamente e pericolosamente avvicinato a quello degli altri grazie a un gruppo di educatori (Luisa Agostini, Barbara Bacci, Angela Bargigli, Stefania Bessi, Tiziana Brezzi, Bartolomeo Gentile, Cristina Guerrieri, Barbara Gufoni, Simona Moretti, Cristina Ricci, Mary Spano, Elena Tafi e Marco Vincenti) che da oltre un lustro hanno dato vita al Teatro come Differenza, progetto di lillipuziano mastodonticismo che crea resurrezione spirituale, umana e dunque storica e civile.

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Facciamo uno sforzo: diventiamo grandi

Pubblicato: 24 Gennaio 2020

PISTOIA. L’augurio è che, quanto prima, la Civiltà, la Società, la Storia, la Cultura tutta e anche il Teatro, naturalmente, di certe rappresentazioni non ne abbiano più alcun bisogno. E non perché Mine vaganti, che Ferzan Ozpetek ha traslato dal grande schermo al Teatro (il Manzoni di Pistoia, nell’occasione, con repliche fino a domenica 26 gennaio), prodotto e coprodotto dal Nuovo Teatro di Marco Balsamo e dalla Fondazione Teatro della Toscana, non sia un lavoro di preziosa e gradevolissima portata. Anzi. Spettacolo che scivola con estremo piacere fino alla fine, della quale sappiamo tutto tutti, visto e considerato che dieci anni fa, al cinema, fece, giustamente, incetta di premi e riconoscimenti, grazie anche a un cast meravigliosamente assortito, fino al punto che in più di una circostanza, ieri sera, si è avuta l’impressione di vedere, sul palco, Ilaria Occhini e Ennio Fantastichini, madre e figlio, perfettamente interpretati da Caterina Vertova e Francesco Pannofino, bravi e perfettamente sintonizzati con il resto della spumeggiante compagnia, che vede Paola Minaccioni nel ruolo della signora Cantone, Arturo Muselli e Giorgio Marchesi in quelli di Tommaso e Antonio, i figli omosessuali, con Mimma Lovoi che è la cameriera Teresa, Sarah Falanga la zia Luciana, Francesco Maggi e Eduardo Purgatori che sono Andrea e Davide, gli amici romani omosessualissimi di Tommaso, Luca Pantini, che è Marco, il suo compagno omosessuale con deontologico ritegno e Roberta Astuti, la giovane nuova socia della Ditta Cantone.

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Binasco, servitore di due Commedie

Pubblicato: 24 Gennaio 2020

FIRENZE. Conosce perfettamente il teatro, Valerio Binasco, per non parlare della Commedia; dell’Arte in particolar modo, tanto da provare e riuscire a trasformarla in quella italiana, che ci appartiene così tanto chimicamente e culturalmente, prima che geograficamente. E poi, i suoi polli, soprattutto. Per questo ad Arlecchino servitore di due padroni, monumentale opera goldoniana alla Pergola di Firenze fino a domenica 26 gennaio, occorreva un battitore libero poco sgargiante e ancor meno cromatizzato; grigio, oseremmo dire, tragicomico e pretesto, ma non fulcro, dell’intera messinscena. Allora, eccolo il soggetto che sposa esemplarmente la causa: Natalino Balasso, un disperato doppiogiochista, per necessità, non per virtù biochimica, che non saltella sinuosamente sul palco, ma si muove goffamente, che non ha maschere, ma solo la sua faccia, che è molto di più e che non attira a sé la Commedia, ma la ripartisce, in parti uguali, con tutti i comprimari. Che sono giovani, bravi, simpatici e armonici, questi ultimi. Certo, ci vuole una vecchia volpe, a coordinare la scena;

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In morte di un canarino

Pubblicato: 19 Gennaio 2020

di Francesca Infante

PISTOIA. Lui uccide il suo canarino, lei usa il sangue per masturbarlo. Una scena forte, potente, rivoluzionaria ma troppo breve, che lascia intravedere, con amarezza, il livello disturbante che avrebbe potuto avere After Miss Julie. È questa la rappresentazione andata in scena sul palco del Teatro Manzoni, dramma tratto dall'opera di Patrick Maber, riscrittura del testo La signorina Giulia di August Strindberg, con la regia di Giampiero Solari e con Gabriella Pession, Lino Guanciale e Roberta Lidia De Stefano. Il luogo dove accade la vicenda è la cucina della villa di una famiglia dell’alta società inglese, dove Miss Julie, figlia dei proprietari, gioca a trasgredire socialmente e sessualmente. La vediamo che irrompe continuamente nella cucina provocando colpi di scena e finte casualità per sedurre John, autista e maggiordomo di famiglia, facendolo in maniera spudorata di fronte a Christine, cuoca e promessa sposa di quest’ultimo. La serata diventa una macabra celebrazione, oppure una rimozione ironica del successo del Partito Laburista; infatti, tra i valori espressi dallo stesso partito, ci sono l’emancipazione femminile e la liberazione sessuale. È la stessa Miss Julie che vuole fuggire dalla sua vita di agio e ipocrisie; in realtà, lei è la vittima dell’eredità della sua anacronistica posizione, una outsider della nuova società inglese appena proclamata con la vittoria dei Laburisti.

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Ballantini fa rima anche con Petrolini

Pubblicato: 17 Gennaio 2020

di Stefania Sinisi

FIRENZE. Ci confida nella penombra del palcoscenico il suo amore e la sua passione per il cabaret, per l’arte comica in genere e per il camuffamento, in una narrazione sincera, accompagnata dalla fisarmonica di Marcello Fiorini. Dario Ballantini al Teatro Rifredi di Firenze (si replica fino a domenica 19 gennaio) porta in scena Ballantini & Petrolini (regia Massimo Licinio), 7 famosi personaggi del grande Ettore Petrolini, inaugurando così questa tappa fiorentina. Accavalla e intreccia le narrazioni degli albori della vita artistica di Petrolini ai suoi ricordi d’infanzia, mescolandoli, mescolandosi ai personaggi che interpreta, ripercorrendo con il pubblico un vero viaggio nella storia del teatro italiano. Ettore Petrolini è considerato, a ragione, il precursore di un genere che ha rivoluzionato l’intero panorama artistico del ‘900, così detto demenziale, che ha generato una corrente ancora fortunatamente viva. Le intenzioni dell’onemanshow (fama nazionale grazie ai suoi travestimenti di Striscia la notizia, sull’ammiraglia della Fininvest, Canale 5) sono ammirevoli; ci offre in dono Petrolini imitandolo accuratamente, lo interpreta sostenendo da solo un intero repertorio, ma dov’è la sua interpretazione personale, quella vena caratteriale che distingue un attore da un semplice imitatore?

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Chi ruba un piede è un ladro sciocco

Pubblicato: 16 Gennaio 2020

PRATO. Diffidate, a teatro, dello spettacolo che sta per iniziare quando dalla platea, alla prima innocentissima battuta, sentite sgorgare qualche risata fuori da ogni ragionevole presunta ilarità. L’ultimo esempio, ultimo solo in ordine di tempo, è arrivato ieri, al Metastasio di Prato (si replica fino a domenica 19 gennaio), dove Massimo Grigò, Alessia Innocenti, Annibale Pavone, Tommaso Massimo Rotella e Tommaso Taddei hanno riprodotto Chi ruba un piede è fortunato in amore, per la regia di due sacchi di sabbia, Giulia Gallo e Giovanni Guerrieri, commedia cara all’avanspettacolo di Dario Fo - quando aveva il viso sottile e i capelli neri; quando aveva i capelli -, prima che il giullare si offrisse, anima e corpo, all’impegno militante. Al di là di considerazioni profondamente personali e spirituali sullo stato di forma di alcuni dei protagonisti, che ci teniamo dentro perché mal supportate da un’oggettiva e collettiva e dunque corretta considerazione attoriale, resta insindacabile il fatto che di certe pantomime teatrali non se ne senta affatto la nostalgia, nonostante qualcuno, in platea, abbia salutato lo spettacolo con una risata come se siul palco ci fossero le comiche con Stanlio e Ollio.

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Non fermatelo ora, non fermatelo mai

Pubblicato: 15 Gennaio 2020

FIRENZE. Dategli spazio, ma non dategli ordini; dategli tempo, ma non ditegli quanto ci dovrà mettere; concedetegli musica e colori, ma non ordinategli i canti e i balli; dategli i teatri, ma non chiedetegli cosa vorrà rappresentare. Filippo Timi è questo: Skianto, ma anche tanto altro, senza capo, né coda; prendere o lasciare. Noi ce lo prendiamo; ce lo siamo presi e ce lo continueremo a prendere, così, sempre, perché il nostro bisogno di andare a teatro coincide, letteralmente, con la sua necessità di farlo. Con lui succede esattamente quello che desideriamo accada: tutto, nulla, da dentro, dalle viscere, da una scatola, probabilmente vuota, per uscire fuori, esplodendo, come un carico spropositato di dinamite fatto brillare al passaggio di una lunga carovana, sulla quale è trascinato il bestiario più rappresentativo dell’umanità. In particolare gli ultimi, disabili compresi, anzi; soprattutto i disabili. Come la cugina, sua cugina, cerebrolesa, alla quale ha voluto dare per poco più di un’ora la possibilità immaginifica, ma necessaria, di parlare.

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Scienza o umanesimo?

Pubblicato: 12 Gennaio 2020
di Stefania Sinisi
FIRENZE. Entrando nella sala del Teatro Niccolini, a Firenzel, la scenografia aperta ci proietta immediatamente sul palco per farci sovrastare dall’infinito culturale di un’abitazione apparentemente comune intellettuale in cui tutto è ordinato tranne le due lavagne, lasciate volutamente nebulose, quasi due porte lasciate aperte per l’imminente scontro, competizione (certamen) che di li’ a poco si svilupperà davanti ai nostri occhi soprattutto entrando nella nostra mente come provocazioni attente sul dibattito esistente tra gli estremi della cultura umanistica e scientifica, toccando il potente intreccio che risiede tra tre immagini cariche di emozioni: musica, poesia e scienza. Due librerie, due fratelli, due lavagne, che rappresentano due visioni del mondo contrapposte. Chi vincerà? Le Risposte verranno rivelate in un elegante duello di parole tra Paolo e Francesca, magisralmente interpretati da due fratelli, Maddalena Crippa e Giovanni Crippa, che attraverso formule e poesie scritte proprio su quelle lavagne contrapposte; con la potenza del vero legame fraterno riescono ad unire la scienza alla poesia. Come? Grazie all’intuizione geniale di Marco Malvaldi, eclettico scrittore da cui il regista Piero Maccarinelli prende spunto per far duellare i due Crippa sulle due lavagne della scienza alla destra del palcoscenico e la letteratura a sinistra.

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Tutto intorno a noi

Pubblicato: 12 Gennaio 2020

FIRENZE. Senza leggere il foglio di sala; senza conoscere i rispettivi background di ognuno dei protagonisti in scena. E senza sapere da dove venga Serena Malacco, giunco elegante e delicatissimo, che si è transalpinizzata in tutto e per tutto e che ha scritto e portato in scena, al Cantiere Florida di Firenze, All around me, triplice partitura danzante che, ignavi di cosa volesse esprimere, si riassume in un Eden biblicamente scorretto, ma storicamente inappuntabile, dove le donne (Ana Luisa Novais e Alice Raffaelli) giocano e si desiderano e dove, un attimo dopo, stessa sorte ludica ed erotica, tocca anche agli uomini (Stefano Beltrame e Luis-Clément Da Costa). I contatti e gli appostamenti sono tanto carnali quanto ludici, peccaminosi e adolescenziali, infantili, che risentono e denunciano l’insopprimibile desiderio chimico/umano che avviluppa le sorti di ogni singolo essere vivente, appartenente a qualsiasi specie. Sulle note dei Pink Floyd, su quelle dei Television, interpretate dalle chitarre di Roberto Dellera e Milo Scaglioni, che appartengono al quadro bucolico paradisiaco contemporaneo che si offre agli spettatori, vestiti tra folk e punk, su uno sfondo floreale che ricorda i meandri uditivi e auricolari, ma anche quelli vaginali, da dove nasce il mondo e tutte le sue sfumature pulsanti, che muovono le cose.

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Casa, dolce casa

Pubblicato: 09 Gennaio 2020

PRATO. Sì, è proprio così. La condividiamo totalmente la sottotraccia, o - come Lucia Calamaro stessa ha voluto specificare -, il titolo alternativo: nostalgia di casa. Perché esaurite le illusione e gli incantesimi, ad ognuno di noi resta solo quell’amore che si è stati capaci di costruire. E proteggere. E difendere; ed è l’unica divinità alla quale anche il più incallito laico può aggrapparsi, convincendosi dell’eternità. Certo, il nevrotico quartetto in scena (Alfredo Angelici, Cecilia Di Giuli, Simona Senzacqua e Francesco Spaziani) al Fabbricone di Prato (si replica fino a domenica prossima, 12 gennaio) offre a Nostalgia di Dio (figlio del Teatro Stabile dell’Umbria e del Metastasio pratese, in collaborazione con Dialoghi – Resistenze delle arti performative a Villa Manin 2018-19) quell’indispensabile tragicomico retrogusto caro alle pellicole di Woody Allen, più che alle scenografie di Samuel Beckett. Condimento indispensabile perché la trama della tela, che si affaccia agli spettatori da un campo da tennis, si concluda, amorevolmente, nella casa della coppia separata finita in dote alla consorte, ovviamente e dove i quattro amici saranno costretti a rimandare, a data da destinarsi, il pellegrinaggio condiviso solo alle prime luci dell’alba in sette chiese romane.

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Dal Bolshoi al Manzoni, una favola senza tempo

Pubblicato: 06 Gennaio 2020

di Pierluigi Lazzaro

PISTOIA. Si apre il sipario del Teatro Manzoni di Pistoia e d’incanto ci troviamo, nella sera che precede l’Epifania, in una città coperta di neve, dove frettolosi passanti appaiono come ombre nella notte. Cambio di scena ed eccoci all’interno di una casa, la vigilia di Natale, con un enorme albero a stagliarsi sul fondo. Già dopo pochi attimi scompaiono pensieri e preoccupazioni, catapultati come siamo nel mondo magico e protetto della nostra infanzia. In un’atmosfera onirica ci si abbandona volentieri alle musiche di Ciaikovskij, dagli echi malinconicamente popolari, che vengono accompagnate magnificamente da coreografia e costumi sgargianti. Perfetta e rassicurante favola di Natale, tratta non direttamente dall’opera di Hoffmann Schiaccianoci e il re dei topi, ma dalla versione di Dumas padre nella quale gli aspetti più cupi si stemperano a creare un’atmosfera più giocosa. Il quadro iniziale del primo atto coglie la festa della vigilia di Natale presso la famiglia Silberhaus in cui il culmine si raggiunge all’arrivo del padrino dei due bambini, Fritz e Maria, con i suoi stravaganti doni. Tra questi, appunto, uno schiaccianoci a forma di ussaro, che affascina la piccola Maria.

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Buona camicia a tutti

Pubblicato: 01 Gennaio 2020

CAMPI BISENZIO (FI). Certe volte, per trascorrere il letizia un ultimo dell’anno, non è necessario arrivare in posti esotici o cenare a lume di candela con chef stellati e camerieri impeccabili. Si può star bene, divertendosi, anche in compagnia di vecchi amici e nuovi conoscenti, in una trattoria alla buona, dove però, nonostante non ci siano piatti ricchissimi, si mangi bene e si beva anche del buon rosso. Camicia su misura, uno dei tanti spettacoli che ha lanciato, seppur non in orbita, ma nei backstage dei teatri della Toscana, sì, Andrea Bruni, è quello con il quale abbiamo aspettato, rilassati e divertiti, la mezzanotte del 31 dicembre 2019. Lo abbiamo fatto in un esaurito in ogni ordine di posti TeatroDante Carlo Monni, a Campi Bisenzio (si replica anche oggi, 1 gennaio, alle 18), con buona parte delle coppie indigene di mezza età al tepore della platea e molti cinesi, soprattutto giovanissimi, ormai perfettamente integrati nel tessuto connettivale della zona, fuori al freddo, preferendo i modesti e innocui fuochi d’artificio alle risate troppo distanti, forse, dalla loro ilarità.

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Ulisse non ce l'avrebbe fatta

Pubblicato: 28 Dicembre 2019

di Francesca Infante

PISTOIA. Leggiamo da sempre di tragedie, epopee, epiche battaglie della letteratura greca e dei loro impavidi eroi. Ma conquistare Troia cos'è in confronto alla corsa alla cassa del supermercato che ha appena aperto? Il palco del Teatro Manzoni di Pistoia, ospita (si replica fino a domenica 29 dicembre, feriali ore 21, festivi ore 16) una tragicommedia cantata, che sembra un musical ma non lo è: Supermarket – A modern Musical Tragedy. Prodotto da Elsinor, scritto e diretto da Gipo Gurrado, è uno spettacolo fuori dal comune, pieno di situazioni bizzarre, di risate e di poesia. A tratti senza parole. Perché quello che succede dentro a un supermercato lascia proprio così. Supermarket è un 'non-musical' costruito con nove attori (Federica Bognetti, Livia Castiglioni, Francesco Errico, Andrea Lietti, Roberto Marinelli, Elena Scalet, Andrea Tibaldi, Cecilia Vecchio, Carlo Zerulo) e una partitura sonora di canzoni inedite, a cui si aggiungono un sound design costruito con suoni e rumori ripresi in un vero supermercato e una serie di annunci ad hoc con una drammaturgia originale.

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Ma diventeranno famosi?

Pubblicato: 19 Dicembre 2019

di Luciano Uggè

GENOVA. La quarta edizione di Intransito, rassegna teatrale organizzata dal Comune di Genova in collaborazione con Teatro Akropolis, Associazione La Chascona e Officine Papage, si è conclusa sabato 14 dicembre: vincitore, Pan Domu Teatro con Assenza Sparsa. La prima Compagnia che seguiamo, venerdì 13, è Archipelagos Teatro che presenta lo spettacolo Aspide. Gomorra in Veneto - di Tommaso Fermariello, interpretato da Gioia D’Angelo e Martina Testa. Una ricostruzione giornalistica che utilizza, oltre alla documentazione processuale, il racconto della moglie di un imprenditore preso nelle maglie della camorra operante in Veneto. Un testo che riassume le tante difficoltà che ha incontrato la giustizia italiana nel perseguire i colpevoli di una serie di atti criminali (tra i quali pestaggi, sevizie, ricatti e usura) e nel rintracciare i legami che li collegavano al clan dei Casalesi. Un lavoro fortemente di denuncia anche nei confronti di quei politici che vorrebbero confinare la presenza delle mafie in situazioni e regioni specifiche, stentando a riconoscerne la capacità di penetrazione e, in alcuni casi, anche di fronte all’evidenza dei fenomeni che si registrano. Un testo, inoltre, che scava nel sistema di potere delle banche e accusa implicitamente uno Stato che nulla fa per evitare che aziende, anche sane, finiscano nelle mani degli usurai - in quanto non supportate, a livello finanziario, da quelle stesse banche che preferiscono giocare in borsa piuttosto che aiutare a mantenere un tessuto economico sano. A livello teatrale, una rappresentazione che necessita di maggiori approfondimenti drammaturgici e che, a momenti, sembra più la ripresa di un programma televisivo che una messinscena.

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La globalizzazione che non ci piace

Pubblicato: 18 Dicembre 2019

PRATO. È la piccola, grande tragedia, nella migliore delle ipotesi incruenta, che si consuma, in particolar modo in Italia, da qualche anno, da quando la globalizzazione, come la intende il capitalismo, non come la pensavamo noi, ha preso il sopravvento. A Borgoabbatuffoli, paesino dell’entroterra chiantigiano, la nascita di un supermercato stritola la concorrenza dei piccoli esercizi. In particolare quella di quei quattro negozi che si affacciano sul centro del paese: il bar, la sartoria, la macelleria e la libreria. E la giovane regista Fiammetta Perugi, guidata dal vecchio Massimiliano Civica, che si è a sua volta avvalso delle residenze artistiche di Castiglioncello Armunia/festival Inequilibrio, Sansepolcro CapoTrave/Kilowatt e grazie al circuito regionale Fondazione Toscana Spettacolo, ha scritto, con Marco Bartolini, questo lungometraggio teatrale, La piazza, sul palco del Magnolfi di Prato, in prima nazionale, fino a domenica prossima, 22 dicembre. I quattro bottegai se la passano maluccio da tempo, ormai e dopo la chiusura del quinto negozio, qualcuno, tra i sopravvissuti, inizia a domandarsi se valga o meno la pena insistere con quell’attività, anche se è frutto di un lavoro generazionale ereditato dai genitori e abbandonarla ha il sapore di un sacrilegio.

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Abbattete quel Gabbiano

Pubblicato: 14 Dicembre 2019

PRATO. La cosa più originale è la canzone che chiude la rappresentazione, con un Tiziano Ferro sontuoso. Il resto de Il gabbiano è tutto già visto, anche se il secondo atto (nel primo no, purtroppo) della giovane Giulia Mazzarino merita attenzione, non solo per le lacrime versate, vere, sofferte, di totale immedesimazione, scorte agli applausi finali, con il rigo del rimmel lungo la guancia. Licia Lanera, regista e protagonista di questa trasposizione teatrale cechoviana (al Metastasio di Prato, che coproduce lo spettacolo; ultima replica oggi pomeriggio, domenica 15 dicembre), con la Medusa a tinta unita tatuata su una spalla e vari scarabocchi multicolor sull’avambraccio dell’altro braccio, gioca sul sicuro e imbastisce una rilettura che non scontenta nessuno; con Anton Cechov, del resto, succede così, in particolar modo ne Il gabbiano, con il quale tutti vogliono misurarsi, anche se poi nessuno osa scarnificarlo; quest’ultima operazione richiede tempo e lavoro, meglio accontentarsi di piccoli accorgimenti scenografici, a tutto il resto c’ha già pensato lui, il drammaturgo russo, che aveva già intravisto la decadenza umana, non solo quella che popola la provincia.

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Che ridere, con la musica!

Pubblicato: 14 Dicembre 2019

di Stefania Sinisi

LASTRA A SIGNA (FI). Simpaticamente incuriositi dal titolo, ci sediamo in platea al Teatro delle Arti, a Lastra a Signa, per assistere allo spettacolo del Trio Trioche, che solo a pronunciarlo ci riempie la bocca della sua abbondante strabordanza; ci interroghiamo infatti sulla sua origine, ma la provenienza - ci spiega la stessa Silvia Laniado, una del Trio, con Franca Pampaloni e Nicanor Cancellieri, più tardi -, è nata goliardicamente in un’allegra serata del 2013 trascorsa insieme alla regista dello spettacolo, Rita Pelusio, nella quale bevendo un ottimo Borgogna e trastullandoci alla ricerca del loro nome, venne fuori spontaneamente dando un po’ l’idea del tri e scherzando sull’assonanza con le oche e le brioche in un francese italianizzato - conferma letteralmente Franca Pampaloni, et voilà, nasce Trioche. Il suono francese, però, ci evoca anche suggestioni storiche sul teatro di varietà, o, più comunemente, variété nella sua declinazione francese, un genere di spettacolo teatrale leggero come imitazione del Cafe-concert. Si trattava di un genere di spettacolo nel quale si eseguivano numeri di arte varia tra cui operette, giochi di prestigio, balletti, canzoni.

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Sulle note di Roberto Carifi

Pubblicato: 12 Dicembre 2019

di Raffaele Ferro

PISTOIA. Danza, spazio, parola, suono. Elementi per un fondale in divenire, moltiplicazione di gesti, sinuosità di corpi e il respiro teneramente rilassato del poeta. Roberto Carifi - caro a noi che lo abbiamo letto, ascoltato, atteso, e che da anni lo sappiamo prezioso, sempre più unico - è qui con noi. Si può essere poeta del corpo? Di sicuro se ne può moltiplicare l'energia nell'incontro di venti corpi, venti partecipanti al seminario durato una settimana, a Pistoia, seminario sbocciato in questa commovente performance, Mother – Stanze poetiche. Virgilio Sieni (che si è avvalso della collaborazione artistica di Giulia Mureddu e Carlotta Bruni e dell’Atp per la produzione), protagonista della danza contemporanea dai primi anni ’80 e dello studio del movimento, legato all'organismo, alla natura e agli equilibri, ha alle spalle numerosissimi spettacoli e laboratori in tutto il mondo, collaborazioni con musicisti del calibro di Ennio Morricone, Steve Lacy, Alexander Balanescu. Qui a Pistoia, in un palcoscenico circondato dalle sedie occupate da un ristretto numero di spettatori, è riuscito a comparire, solo nel finale: appare sul filo bianco del risveglio dal sogno, dal momento ipnagogico.

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Cinque divertenti musicoterapeuti

Pubblicato: 08 Dicembre 2019

di Raffaele Ferro

FIRENZE. Che s'ha da fa' pe campa’. Un inizio così di sicuro farebbe specie, o quantomeno, confonderebbe le idee per chi, non conoscendo la nostra testata, sì aspettasse una recensione positiva. Invece qui si dice pane al pane e vino al vino! Caserecci ma non troppo, saltimbanchi simil-animatori da villaggio turistico, frequentatori di italianissimo stampo, di bar o più semplicemente comici da strapazzo, i cinque attori di Manicomic (diretto da Gioele Dix, al Teatro di Rifredi, a Firenze) hanno stravolto e fatto scompisciare il pubblico per quasi due ore. Ma in verità sono musicisti eccezionali che, a nostro avviso scelgono, anzi, data la situazione italiana in ambito musicale, sì adattano a fare i comici! Ecco, ci siamo sfogati: Raffaello Tullo, voce; percussioni, Renato Ciardo; batteria, Nicolò Pantaleo; sax, Vittorio Bruno; contrabbasso, Francesco Pagliarulo sono dei veri maestri del ritmo, del suono e dell'incantamento, da prestigiatori, si potrebbe dire, della musica e della sua magia.

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Un'altra Tempesta

Pubblicato: 08 Dicembre 2019

PISTOIA. Ormai è conclamato: con William Shakespeare si può fare di tutto, specialmente ne La tempesta, il suo ultimo manifesto, le sue volontà. Il Teatro del Carretto, al Funaro di Pistoia, in prima regionale, ne ha offerto una versione particolarmente brillante, con un Prospero biblico, particolarmente accigliato (il fisico imponente di Teodoro Giuliani ne ha facilitato la proiezione), presagio di disastri, padre/padrone affettivo/compulsivo che non riesce a sciogliersi nemmeno al cospetto della straordinaria Elsa Bossi, la figlia Miranda, che è poi anche Ariel e vocalist impeccabile, soprattutto, ardentemente desiderosa di trovare il proprio principe azzurro, che è lì a due passi (Fabio Pappacena), anche lui, per esigenze attoriali, uno e trino, un po’ Ferdinando, un po’ Calibano e puntuale apprezzabile diaframma. Al posto dell’acqua, sull’isola che non c’è o che comunque la si può inventare o immaginare, c’è un mare di libri, che solo Prospero ha diritto di calpestare con stivali texani; gli altri due della Compagnia del Carretto invece sono provvidenzialmente scalzi. Certo, devono muoversi più agilmente, migrare e trasmigrare in altri corpi e suggestioni e poi, devono cantare e in virtù delle ultime disposizioni teatrali, bisogna stare a piedi nudi.

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Una diva solitaria

Pubblicato: 07 Dicembre 2019

di Francesca Infante

PISTOIA. Quando la scena cambia, parte una nostalgica dissolvenza in nero che riporta alla mente quel cinema, ormai perduto, degli anni '40. E per un secondo ti senti a metà, tra il cinema e il teatro, un luogo idilliaco. M'hanno detto di prendere un tram che si chiama Desiderio, poi un altro che si chiama Cimitero, e alla terza fermata scendere ai Campi Elisi! È andato in scena, ieri sera, al Teatro Manzoni di Pistoia (si replica stasera e domani pomeriggio, domenica 8 dicembre) Un tram che si chiama desiderio, famosissimo e controverso testo di Tennessee Williams. La storia è ambientata nella New Orleans degli anni '40, e narra la storia di Blanche (Mariangela D'Abbraccio), una donna alcolizzata, malata di nervi e vedova di un marito omosessuale, che dopo il pignoramento della sua casa si trasferisce dalla sorella Stella e dal marito di lei, Stanley (interpretato nel 1951 dall'immenso Marlon Brando, mentre qui da Daniele Pecci). Tra Blanche e Stanley si instaurerà da subito un violento conflitto che porterà la donna alla pazzia e lui a un gesto estremo.

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La Tempesta necessaria

Pubblicato: 06 Dicembre 2019

FIRENZE. Non basta conoscere William Shakespeare, le sue opere, la loro cronologia e sapere che La tempesta sia la sua fiaba del congedo dalla storia e l’automatica immissione nella leggenda. Nella Tempesta occorre cascarci dentro, perdercisi e poi risalire a pelo d’acqua e ripreso l’ossigeno dispensato nella lunga apnea, provare a capire. E anche allora, non è detto che tutto si disveli. Dopo aver visto la trasposizione teatrale alla Pergola, a Firenze (si replica stasera, domani e domenica 8 dicembre), i collegamenti tra la vita e la morte, il passato e il futuro, la sopravvivenza storica, redentiva, aumentano, paradossalmente, l’ingarbugliamento morale tessuto dalle semirette tracciate dal drammaturgo inglese, che si fa Prospero (un magistrale Renato Carpentieri) e ordisce, su quest’isola sperduta del Mediterraneo (sempre di moda, anche prima dell’esodo biblico in atto), la Tempesta chiarificatrice, quella che consegnerà a Miranda, la figlia (Giulia Andò), che aspetta con lo spiritello Ariel e lo schiavo Calibano (rispettivamente Filippo Luna e Vincenzo Pirrotta) le chiavi del futuro, costellato dall’amore, chimico e immediato,

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Colpirne uno per educarne cento

Pubblicato: 01 Dicembre 2019

PRATO. Una catastrofe a cascata quella innescata dalla ferma e incontrovertibile convinzione di Creonte, un Che Guevara dell’antica Grecia, che si ravvede tardi, nonostante i funerei presagi di Tiresia. E non si scompone minimamente nemmeno Massimiliano Civica, qualsiasi cosa decida di rappresentare. Anche con Antigone, di Sofocle, come se fosse un Quaderno per l’inverno, la scenografia deve essere inesistete, più che minimalista. Sì, certo, sulla sinistra del proscenio giace un manichino prussiano, il corpo di Polinice, lasciato in pasto a uccelli e randagi, reo di aver sfidato e ucciso il fratello contro la sua gente. Ma al Teatro ci pensano, anzi, ci devono pensare, le parole e in questa occasione, una prima assoluta, battezzata e prodotta dal Teatro Metastasio e portata in scena al Fabbricone di Prato (si replica fino a domenica prossima, 8 dicembre), la squadra del mister è di sontuoso rispetto: nei panni di Corifeo, un maggiordomo/cronista e voce di coscienza popolare, c’è Marcello Sambati, che prova a ricondurre a ragionevolezza l’umana irresponsabilità del comandante Ernesto Creonte, un Oscar De Summa un po’ meno brillante del solito, forse per il plumbeo atmosferico, o per l’indebita sottrazione degli orecchi da entrambi i lobi (certo, di Comandanti, con gli orecchini, se ne vedono pochi),

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L'insospettabile violenza delle parole

Pubblicato: 30 Novembre 2019

di Francesca Infante

PISTOIA. Il Teatro Manzoni di Pistoia ha (ri)aperto i battenti ieri sera, inaugurando il suo palco (dopo la chiusura per lavori, iniziati quest'estate) con un potente quanto audace spettacolo: L'onore perduto di Katharina Blum (in replica fino a domani pomeriggio, 1 dicembre), ispirato all’omonimo capolavoro di Heinrich Boll, con la regia di Franco Però e prodotto dai Teatro Stabile Friuli Venezia Giulia, Napoli e Catania. Donna dalla fredda dolcezza, Katharina Blum ha passato la sua intera esistenza a lavorare e a dedicarsi alla vita degli altri. Ha divorziato dal marito, perché non voleva più subire le sue molestie e adesso lavora come donna delle pulizie presso una famiglia benestante. Per i coniugi Blorna, Katharina, è molto più di una semplice dipendente: le vogliono bene, come quasi a una figlia. Tanto che sono proprio loro che spingono Katharina a uscire la sera della vigilia di Carnevale e ad andare a ballare (cosa che lei ama fare), per divertirsi almeno una volta. Ma alla festa incontra Ludwig Götten, un piccolo criminale, sospetto terrorista. Trascorre la notte con lui e l’indomani, non del tutto consapevole della situazione, ne facilita la fuga.

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Anfitrione de no' antri

Pubblicato: 30 Novembre 2019

FIRENZE. Ventidue secoli e, se ne può ancora parlare. La storia, anzi, la leggenda di Anfitrione è una di quelle con le quali ci si sono misurati in tanti, nel tempo, compreso Luigi Pirandello. Figuriamoci se Filippo Dini se ne sarebbe potuto e voluto esentare. E allora, in scena (alla Pergola di Firenze; si replica fino a domani pomeriggio, domenica 1 dicembre), con Gigio Alberti nei panni di Giove, Barbara Bobulova in quelli di Alcmena, Antonio Catania è Anfitrione, Giovanni Esposito il suo autista/tuttofare, Valerio Santoro invece è Mercurio e Valeria Angelozzi la cameriera della casa reale, fidanzata con l’autista. Ma non siamo con le bighe e gli imperatori, ma in Emilia Romagna, nel terzo millennio, alla vigilia delle elezioni: Antonio Catania è un umile politicante in debito con la consecutio temporum e nonostante gli exit pool lo dessero abbondantemente sotto il quorum, alle elezioni sbaraglia gli avversari e ottiene percentuali plebiscitarie. Barbara Bobulova è sua moglie, professoressa delle scuole medie primarie, con Valeria Angelozzi cameriera di una casa che in una notte si trasformerà nella residenza del Presidente del Consiglio (gli apparentamenti poltici, si sprecano: si può intravedere chiunque). La comicità, paradossale, prende immediatamente il sopravvento: l’autista, portaborse, aspirante corazziere, nonostante non sia un vatusso, è napoletano: conosce l’arte della strada, conosce i trucchi del mestiere, ma ignora il profondo dell’inconscio e al cospetto delle alchimie di Giove, è convinto di impazzire.

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La frontiera dell'umanità

Pubblicato: 29 Novembre 2019

FIRENZE. Il continuo mulinare delle mani, che cadenza il dolore, divide a scompartimenti stagni la memoria, cronicizza la storia. Mentre a Lampedusa, proveniente dalle coste africane, è in arrivo un altro barcone con a bordo disperazioni inimmaginabili e inquantificabili, lo zio Peppe, suo zio, muore in Continente, vinto dal cancro. L’abisso si muove tra queste due estremità, che Davide Enia raccoglie con poesia su un palcoscenico (in questo caso quello del Cantiere Florida, a Firenze) illuminato a malapena, in compagnia di un indispensabile strumentista, Giulio Brocchieri, che accompagna, da tempo, i mimi del pupo palermitano per poi decidere di prendere il sopravvento quando il dolore assume i contorni di qualcosa che non si può raccontare, ma solo perché non si riesce a farlo. Lo spettacolo prende vita dal successo raccolto dall’attore con la pubblicazione del libro Appunti per un naufragio, dove racconta le stesse cose, quelle che si susseguono sull’isola delle sepolture anonime, ormai da un ventennio, la frontiera dell’umanità, da quando di là dal mare ad alcuni acuti dittatori sono succeduti macellai senza scrupoli che hanno fatto la fortuna e la felicità, in attesa, sull’altra sponda del Mediterraneo, di qua dal mare, di demagoghi e criminali abilmente organizzati.

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Una giornata particolare

Pubblicato: 23 Novembre 2019

PONTEDERA (PI). 13 marzo, ore 7,30. Michele e Mariana, sua moglie, sono a Parigi. Sono partiti alcuni giorni prima, dall’Italia, per diporto; vacanza irrinunciabile, per un biglietto a prezzi stracciati trovato su internet. Decidono di andare a teatro, la sera, a vedere una rappresentazione di Molière: sarà in lingua francese, ovviamente, ma non si scoraggiano, nonostante dell’idioma transalpino sappiano poco o nulla; sorrideranno quando lo faranno tutti gli altri e seguiranno la rappresentazione con estrema attenzione quando il resto della sala tacerà. Che cazzo c’entra Giacomo Leopardi? Tutto! Ma non perché Michele Santeramo abbia deciso di omaggiare il profeta di Recanati titolando, in memoria di una delle sue opere più importanti, il suo ultimo spettacolo. Di qua dall’Infinito (prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana), in prima nazionale al Teatro Era, di Pontedera, fino al pomeriggio di domenica 24 novembre, è un invito a fissare, con estrema precisione, gli istanti dell’esistenza di ognuno di noi, prendendo appunti, scrivendo. Perché il 13 marzo è alle porte e quello che succederà la sera di quell’anonima giornata fredda, innevata, a Michele e Mariana, potrebbe succedere a ognuno di noi, in qualsiasi altro giorno.

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Tu puoi

Pubblicato: 23 Novembre 2019

PRATO. Che ci serva da lezione, almeno professionalmente: contare fino a dieci, prima di scrivere. È vero, ci sono troppi consigli per gli acquisti, ne La valle dell’Eden, troppa pubblicità del marchio Latella, soprattutto nella prima parte, quella che abbiamo recensito sospesi; però va visto, consigliando a chi si sottoporrà alla maratona del Metastasio, domani, domenica 24 novembre (circa sei ore, distribuite tra il pomeriggio e la sera) di stringere i denti nel primo tempo, perché nel secondo, sarà ampliamente consolato, da una pagina teatrale che rimarrà impressa nel firmamento. Superlativo, senza se e senza ma, con un monumentale, fantascientifico (e con gli aggettivi roboanti si potrebbe proseguire per ore, senza stancarsi e senza eccedere) Michele Di Mauro, un Tom Waits imbolsito dall’alcool e tutti gli altri in fila a non scendere mai di un solo gradino dall’Olimpo. Ci avevano leggermente insolentito, nel primo atto, alcune alchimie escogitate da Antonio Latella, che avevano inutilmente appesantito e dilungato una premessa che pareva meno indispensabile, ricca di irritanti distrazioni scenografiche, che ci stavano pericolosamente suggerendo di celebrare un’altra estrema unzione di uno dei pochi intellettuali del palcoscenico rimasti in vita e lucidi.

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... continua

Pubblicato: 22 Novembre 2019

PRATO. Gesso e pazienza. Lo raccomandiamo prima di tutto a noi, che saremmo tentati di scrivere, di getto, l’indignazione provata assistendo alla prima parte de La valle dell’Eden, lo spettacolo, anzi, la provocazione, l’ennesima provocazione di Antonio Latella, in scena, fino a domenica 24 novembre in un massacrante tour de force al Metastasio di Prato, che ha coprodotto questa opera messianica con Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro Stabile dell’Umbria. E invece, seppur nella nostra impazienza da prestazione, ci consigliamo di aspettare, a sentenziare, perché siamo convinti che la miriade di informazioni, trabocchetti, studi psicotici, controsensi teatrali, scenici, attoriali, la luce soffusa in sala, che sembra voglia dire che lo spettacolo non sia ancora iniziato o che stia per finire, esposti in bella mostra con tanto di ghigno al seguito rappresentino, unicamente, il prologo necessario che un intellettuale del calibro del regista partenopeo si può permettere il lusso di adottare e che lui, sistematicamente, si prende.

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Il vizio della solitudine

Pubblicato: 20 Novembre 2019

FIRENZE.  Fuggito dalla ressa o condannato alla solitudine? Non si capisce, né Lucia Calamaro, che ha scritto e diretto Si nota all’imbrunire (alla Pergola di Firenze fino a domenica 24 novembre), vuole forse che si capisca. Il suo intento, affidato all’impeccabile tragicomicità di Silvio Orlando, risiede nell’intimità dell’abbandono, spesso da noi stessi, che può essere una scelta; o una sentenza. O tutti e due. Anzi, spesso è proprio così: tutto può avere inizio con il sentire la necessità di staccare la spina, ma spesso si finisce con il non riuscire a ritrovare più la presa della corrente: l’Europa, infatti, inizia a considerarlo un vero e proprio virus generazionale, con tanto di attenzioni sociali e studi dettagliati. L’anziano padre, medico in pensione e vedovo da tre anni, da qualche tempo si è rifugiato in un’accogliente villetta di campagna di un paese spopolato e alla vigilia del suo compleanno, che coincide con il giorno della morte della moglie, avvenuto dieci anni prima, i tre figli, Alice (Redini), Maria Laura (Rondanini) e Vincenzo (Nemolato), decidono di andare a trovarlo. Con loro, anche lo zio, il fratello maggiore, Roberto (Nobile), forse l’anello più debole della rappresentazione.

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Tutto molto triste, senza Bobò

Pubblicato: 16 Novembre 2019

PONTEDERA (PI). L’esortazione è chiara, la suggerisce Bobby McFerrin: Don’t worry, be happy. Ma Vincenzo Cannavacciuolo non c’è più e senza Bobò, La Gioia, è un’altra cosa, forse indecifrabile, forse esattamente il contrario: dolore, assenza, solitudine. Al Teatro dell’Era, comunque, a Pontedera, l’assenza letale della ragion d’essere dello spettacolo, che forse dovrebbe suggerire all’ideatore l’ammutinamento, non crea il minimo disagio: il pubblico, che riempie la platea, nonostante non riesca a comprendere buona parte delle confessioni microfonate di Pippo Delbono - luminare del teatro avanguardistico da Pina Bausch in poi -, perché decisamente e visibilmente in debito con la forma e la giusta rabbia, non aspetta la fine della rappresentazione per tributare alla compagnia un massiccio omaggio di applausi; lo fa in più di un’occasione, come se si trattasse di uno spettacolo televisivo, un Carramba che sorpresa qualsiasi, con colpi di scena pilotati, una Corrida, con l’interpretazione, grottesca e surreale se fosse durata il tempo di un accenno, non tutta Maledetta primavera di Loretta Goggi o nella migliore delle ipotesi, un Indietro tutta, con un ingiustificato perché troppo avaro ringraziamento, Je so’ pazzo, al vate della follia e del suo riscatto, Pino Daniele.

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Così come ce lo ricordavamo

Pubblicato: 09 Novembre 2019

PISTOIA. La defezione di Francesca Sarteanesi è ormai datata e per questo secondo appuntamento di Circolo Popolare Artico anche Francesco Rotelli non è sul palco. Luca Zacchini, però, il terzo, alfabetico, de Gli Omini, c’è e in nome della profezia bluesbrothersiana (quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare) non si perde affatto d’animo e confidando nel geniale contributo emologico della sorella Giulia e dell’amore clownesco della compagna Eleonora Spezi, supportato dalla presenza sufficientemente fuori da ogni regola di Nicola Danesi De Luca e Iacopo Fulgi, che sono i Tony Clifton Circus, tira fuori dal proprio cilindro del nonsenso un’ora di assoluto onirismo, che peggiora, se volete, le complicate percezioni della prima tappa consumata al Funaro, ma rende paradossalmente al progetto la sua autentica vena surreale. Lo scenario, stavolta, è il Piccolo teatro Bolognini, preparato con la cura di sempre, tra cianfrusaglie, antiche vettovaglie, mobilia scartata dai mercatini dell’usato e la solita cartina geografica della Groenlandia, con quindici calamite attaccate disposte lungo il perimetro dell’isola glaciale rappresentanti, a loro volta, le quindici abitazioni dei residenti.

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Diskrepanzphilosophie

Pubblicato: 09 Novembre 2019

FIRENZE. Il foyer del Teatro Cantiere Florida è pieno. Fuori, diluvia. Il quarto d’ora accademico viene abbondantemente surclassato; l’inclemenza del tempo allenta il rigore degli orari e poi, all’ingresso, ci sono due dei tre protagonisti a distribuire mele, raccolte in una cesta. Il peccato originale abbonda, anche perché è di un peccato, che ha originato la fine dei vecchi conflitti e l’inizio dei nuovi, che si parla. Little Boy è il vezzeggiativo statunitense con il quale i marines battezzarono la bomba di Hiroshima, quella della fine, annunciata e auspicata, della seconda guerra mondiale. Ma non si parlerà delle 70.000 vittime consumate nel giro di pochi istanti, né della mattanza, triplicata nei numeri, di quelle che verranno a causa delle radiazioni. La rappresentazione, in prima assoluta, prodotta dal Teatro dell’Elce e per la quale hanno contribuito una serie considerevole e pregiata di produzioni e residenze artistiche, per la regia e gli adattamenti di Marco Di Costanzo e offerta al pubblico da Erik Haglund, Stefano Parigi e Monica Santoro racconta invece del carteggio corrispondenziale intessuto tra il filosofo tedesco Gunther Stern, ribattezzato, dietro suggerimenti editoriali, Anders e Claude Eatherly, l’ex meteorologo assoldato dall’esercito in qualità di ufficiale dell’aeronautica statunitense e pilota del caccia che sganciò la prima bomba atomica della storia, uno Zibaldone sotteso tra il 1959 e il 1960 tra chi aveva previsto l’invasione algoritmica dei media sull’umanità e per questo profondo anti militarista e una delle vittime inconsapevolmente più illustri dei conflitti.

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La farfalla non sopravvisse

Pubblicato: 08 Novembre 2019

di Francesca Infante

PRATO. Quando entra in scena, tutto si spegne. Rimane acceso, come faro di vita, un unico raggio di luce fredda, che si posa, spettralmente, su di lui: Johann Christian Woyzeck. Intorno il buio. Ma chi era Woyzeck? Era un uomo che la società aveva sfruttato e poi scartato ai propri margini. Esasperato dai soprusi e dai tradimenti dell'amante, era una vittima che la cattiveria dell'uomo ha spinto prima alla follia e poi all'assassinio. Il processo a J.C. Woyzeck fu un caso, diremmo oggi, mediatico. A pochi giorni dalla data fissata per l’esecuzione, la difesa ottenne un riesame sulla sua salute mentale e venne così istituito un nuovo processo. La Corte chiese al dott. Clarus, autore della prima perizia, di approfondire il caso. La Difesa chiese una controperizia auspicando che divenisse prassi processuale, ma la Corte rifiutò. Il dottor Clarus fu l’unico perito del processo. Dichiarò l’imputato sano di mente e J.C. Woyzeck venne giustiziato. Büchner lesse le perizie di Clarus le scrisse. Scrisse del delitto, ma non ebbe il tempo di scrivere del processo. All’epoca quel processo sembrò una farsa e fu chiaro l’intento esemplare/repressivo di quest’esecuzione. E le farse odierne? Il grottesco nei tribunali?

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Il gigante solo di una montagna affollata

Pubblicato: 03 Novembre 2019

FIRENZE. È la sua ultima opera, l’unica incompiuta. Un segno, un presagio, forse, che I giganti della montagna sia stata consegnata ai posteri senza un finale; perché a quello, forse, Luigi Pirandello, avrebbe voluto che ci pensassimo noi. Non è andata così e se piove di quel che tuona c’è poco da essere ottimisti. Anche il vecchio Gabriele Lavia, impeccabile e monumentale direttore d’orchestra, oltre a uno scenografo di rara maestria come Alessandro Camera e visti i budget di cui può disporre e attorno ai quali può impreziosire le sue visioni, potrebbe e dovrebbe chiamare a sé uno stuolo di comprimari eccellenti e coraggiosi come lui e perché no, da impareggiabile musicista qual è, farsi dirigere. Il resto, è tutto noto: dalle visioni e la magie del disilluso Cotrone, alla smania di Ilse (Federica Di Martino), la scena tetra e spettrale della fatiscenza di questo teatro abbandonato e ormai a pezzi fa da contraltare alla luminosità e all’energia della compagnia degli Scalognati, irriverenti clown che temono, come le scimmie di Stanley Kubrick, l’approssimarsi dell’Odissea, di questi giganti che scendono dalla montagna e che passano, come un raid di supersonici Mig, sulla testa di questi poveri e spiantati sopravvissuti, ignari che fuori, il mondo, si sia da tempo orientato altrove e che la poesia che li nutre senza cibi e bevande basti solo a loro e a nessun altro.

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Il Joker di Shakespeare

Pubblicato: 31 Ottobre 2019

PRATO. È l’opera, l’Amleto di William Shakespeare, per antonomasia, con la quale, il circo teatrale di tutto il Mondo, si è misurato più volte. Ognuno, da secoli a questa parte, ha voluto dare al capolavoro esistenziale una propria lettura. Quella di Michele Sinisi, supportato nell’intento del riadattamento da un altro mostro sacro della parola, Michele Santeramo, in scena al Teatro Magnolfi di Prato con un trittico shakespeariano che si consumerà tra domani, alle 19,30 (Riccardo III/Now) e domenica, 3 novembre, alle 16,30 (Edipo. Il corpo tragico), e che fa parte del progetto, giunto alla terza edizione, di Piacevoli conversazioni, è un piccolo, meraviglioso esercizio linguistico, fisico, danzante, antistorico, sarcastico, irrisorio, allegorico, funebre. La scena amletica, abitualmente sconfinata e popolata da uomini, donne e suppellettili, in questa circostanza si riduce a uno spazio angusto, claustrofobico, minimale e decisamente popolare, dove il solo Amleto, tra Pierrot e Joker, ma anche un po’ Michael Jackson e anche un po' prestigiatore di tardo elisabettiano abbigliato, con il viso incipriato e le labbra cosparse di rossetto, condannato alla congiura della solitudine senza tempo, cerca disperatamente i suoi comprimari,

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Ah, se le sigarette, in Svizzera, non fossero costate così poco...

Pubblicato: 28 Ottobre 2019

MONSUMMANO (PT). Ha raccontato tutto, quasi per filo e per segno, da quando è nato, 67 anni fa, nel cremasco, fino al magico incontro, avvenuto una trentina d’anni fa, nel salotto buono, seppur massone, di Maurizio Costanzo. Fu quell’invito a cambiare la vita a Enzo Iacchetti, altrimenti, ora, chissà quale altra licenza per tabaccheria ai confini con la Svizzera qualcuno riuscirebbe ancora a rifilargli. È partita così - e si è protratta per circa due ore -, l’Intervista confidenziale con la quale il noto storico coconduttore di Striscia la notizia, supportato dall’amico, collega, giornalista Giorgio Centamore ha inaugurato, all’Yves Montand di Monsummano, la stagione teatrale del teatro valdinievolino. Non è stata, per le case della succursale dell’Atp, una di quelle serate indimenticabili, ma gli spettatori presenti, in particolare il ragazzo sul loggiato accompagnato dai genitori e Anna, che ha forse scoperto l’amore, si sono diverti molto. Mia madre voleva una bambina e l’avrebbe chiamata Santina; per questo sono nato storto e mi hanno chiamato come il nonno, Vincenzo – ha esordito l’attore, cantastorie, autore, poeta e molte altre facoltà che deve tutto, ma proprio tutto, al tragico, più che satirico, Tg dell’ammiraglia della Fininvest.

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L'insostenibile tragicità dell'erotismo

Pubblicato: 27 Ottobre 2019

FIRENZE. Vero, Golaud (Michele Abbondanza) la salva da chissà quale atroce fine nella foresta, la giovanissima Melisande (Eleonora Ciocchini) e lei, per riconoscenza, lo sposa pure. Ma poi conosce Pelleas, il cognato (Cristian Cucco), conosce l’amore, l’attrazione, la passione, il desiderio: giovane, aitante, bello e non sa resistergli. L’incontro e l’accoppiamento sono inevitabili, fatali, come la gelosia del vecchio latifondista, che si lava solo con il sangue. La Compagnia Abbondanza/Bertoni (Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, che firmano regia e coreografia, libera ispirazione all’omonimo dramma di Maurice Maeterlink) chiude così il cerchio trillogico, Poiesis, iniziato due anni fa, con La morte e la fanciulla, l’apertura genitale con la precedenza dedicata all’universo femminile e proseguita con Erectus, l’esplorazione di quello maschile; lo fa con la congiunzione, astrale, ma inconciliabile, dei due pianeti, Pelleas e Melisande appunto, al Teatro Cantiere Florida, a Firenze, che proprio con questa prima assoluta decide di dare il via alle danze della stagione 2019-20, organizzata, per quel che riguarda lgli spettacoli di danza, da Versiliadanza. L’attenzione e l’eccitazione sono altissime; la stragrande maggioranza degli spettatori ha già assistito ai primi due prologhi del terzetto ed è sicura che anche l’epilogo non potrà che confermare tutto il bello e commovente già visto.

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Madre, un po' di courage!

Pubblicato: 26 Ottobre 2019

PRATO. Anche Paolo Coletta, regista e drammaturgo, musicale, di Madre Courage e i suoi figli, avrebbe dovuto avere il coraggio di Anna Fierling (Maria Paiato) per non riproporre, tanto fedelmente, gli scritti corsari di Bertolt Brecht, che già tanto male fecero ai tempi della prima stesura di una delle sue tante lucide e apocalittiche previsioni esistenziali e provare a essere altrettanto irriverente, cinico. Lo spettacolo, che inaugura la ricchissima stagione del Metastasio di Prato (si replica oggi alle 19,30 e domani, domenica 27 ottobre, alle 16,30) risponde, con mostruosa fedeltà, a un sicuro battesimo: sul palco, accanto a una femmina di rara fisicità e presenza, uno suolo di dignitosissimi comprimari (Mauro Marino, Giovanni Ludeno, Andrea Paolotti, Roberto Pappalardo, Anna Rita Vitolo, Tito Vittori, Mario Autore, Ludovica D'Auria, Francesco Del Gaudio), perfettamente rodati a dare ulteriore sfoggio a una delle mamme più ciniche e diaboliche della storia della letteratura, affidata alla pluripremiata attrice rovigina, da oltre trent’anni applauditissima signora dello spettacolo. La rappresentazione, però, altro non è che un’ennesima, seppur dovuta, gradita e dunque indispensabile, esaltazione della lucida visionarietà dell’autore, del quale abbiamo fortunatamente già studiato i teoremi, quelli che l’hanno collocato, nella storia dei maghi, al fianco di avveniristici fattucchieri del peso e dell’eternità di Dante, Shakespeare, Pasolini e una vetrina dell’arte recitativa di Maria Paiato, come sempre e come al solito, monumentale, capace camaleonticamente di indossare gli abiti di qualsiasi matrigna.

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L'isola che ci sarà sempre

Pubblicato: 20 Ottobre 2019

PISTOIA. Stavolta, l’agrodolce con cui Roberto Valerio ha puntualmente e piacevolmente condito le sue regie, ha solo tinte paradossali, forti, devastanti. I pazzi che ridono, urlano, cantano e si dimenano nel Padiglione 6 – una prima nazionale tratta dal romanzo di Anton Checov e che di fatto ha aperto la stagione teatrale dell’Atp (che l'ha prodotto) anche se al Bolognini (si replica dal 23 al 27, il 30 e il 31 ottobre, alle 21; festivi alle 16) - sono un ristretto manipolo di dimenticati da tutto e da tutti; tra loro, qualcuno è decisamente folle, perché non ha saputo ordinare il proprio amore e nessuno ha mai avuto bisogno delle sue tenerezze; qualcun altro, invece, ha solo dovuto fare i conti con la sfortuna e con le coincidenze della vita e, abbandonato dalla buona sorte, ha dovuto rinunciare a tutto, compresa la sua voglia di sapere, ma non quella di sognare, non di non credere a un mondo migliore. Vietato distrarsi, dunque, durante i cento minuti scarsi della rappresentazione, perché anche un solo battito di ciglia renderebbe difficoltosa la comprensione. Dimenticate il classico e applaudito istrionismo del regista (che non è sul palco e anche questa è una novità) e mettete in conto che ci sarà da sforzarsi per capire, spogliarsi per condividere, soffrire per sopravvivere.

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Nell'inferno di Equitalia

Pubblicato: 20 Ottobre 2019

di Raffaele Ferro

BORGO A BIGGIANO (PT). Una serie di sedie in plastica rossa, in fila; una sola di lato, in primo piano, sulla sinistra del palcoscenico vuoto. Sfondo nero. Rosso e nero, i colori sventolati dai primi anarchici; ci viene subito da pensare, più di un secolo fa, qua, nell'Italia del Nord. Maurizio Micheli, al teatro indipendente Buonalaprima – a Borgo a Buggiano, nella Valdinievole -, teatro, sì, ma anche laboratorio, fucina di spettacoli e soprattutto spazio artistico e culturale dove si respira una totale libertà di espressione, sceglie questa cornice/contenitore per vivere la realtà, o la sua trasposizione scenica, per interpretare il soggetto/oggetto del cittadino, il contribuente, il consumatore in fila, in attesa: a Equitalia. Soliloquio allegro non troppo - questo il titolo dello spettacolo, scritto e interpretato dal 72enne mattatore livornese adottato dalla Puglia -, centra in pieno il bersaglio del pretesto, la comicità tragica e aggiungeremmo noi, triste del rappresentare la quotidianità. Lui, mattatore e giocoliere dei dialetti, apre le chiuse della diga/testo in una verbalità inarrestabile, creando, come in una pseudo trance, uno status di sospensione del giudizio su debiti, multe, sanzioni e quant'altro accompagni il cittadino alle porte dell'inferno di Equitalia.

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Sconcerto totale

Pubblicato: 19 Ottobre 2019

SCANDICCI (FI). A Teatro, prima di parlare dei diritti umani di ogni singolo individuo, si dovrebbe, anzi, si deve chiarire un concetto, a parer nostro, imprescindibile: cosa vuol dire fare spettacolo? Sconcerto per i diritti, in scena, in prima nazionale, al Teatro Studio Mila Pieralli di Scandicci (si replica oggi, domenica 20 ottobre, alle 16,45), è un buon comizio, condivisibile su buona parte della rappresentazione, tanto che all’uscita abbiamo anche apposto la firma sulla raccolta adesione di Amnesty International, ma non è uno spettacolo teatrale, nonostante voglia esserlo. Ce ne vogliano pure Davide Sacco e Agata Tomsic, gli artefici di questa lettura della Convenzione europea dei diritti sull’uomo, che si materializza grazie all’esibizione della stessa Tomsic - convinta di essere nel bel mezzo di tutt'altra scena, vista la sinuosità dei movimenti e la sensualità del diaframma -, in compagnia di Silvia Pasello e siamo pronti a sopportare anche gli strali di tutti quelli che hanno promosso tale messinscena, ma in più di una circostanza abbiamo avuto l’impressione che stessero scherzando e da un momento all’altro abbiamo anche sperato che ce lo dicessero pure.

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Dubbi popolari artici

Pubblicato: 19 Ottobre 2019

PISTOIA. Ha scritto molto, Jorn Riel, prossimo ai novant’anni, di ritorno dal suo ventennale giovanile esilio forzoso greonlandese. Storie e aneddoti di resistenze borderline, lontano da tutto e da tutti, solo con quella sparuta, anarchica e indisciplinata popolazione indigena, antesignana del concetto che presto, volente o nolente, dovremo per forza abbracciare, pena la nostra sopravvivenza: rinunciare a molte comodità. Gli Omini, con o senza Francesca Sarteanesi (che si è congedata dal gruppo con una toccante newsletter), anche prima di conoscere gli scritti del profeta danese, hanno da sempre fondato il loro teatro attorno alle storie degli ultimi, degli incompresi, dei derelitti, tra il serio e il faceto, tra il comico e il tragico. Stavolta, però, per questo primo di tre step di Circolo Popolare artico, vertigine polare, Prove di resistenza, (coprodotto dall’Associazione teatrale pistoiese) al Funaro di Pistoia in replica stasera e domani, 20 ottobre (ore 21), non ci hanno convinto: non siamo mai entrati in sintonia, non abbiamo avvertito, come è sempre successo nei loro precedenti spettacoli, il disagio e l’approssimazione di esistenze precarie, nonostante quelle della gente dei Fiordi lo siano per antonomasia.

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Col naso all'insù, a bocca aperta

Pubblicato: 13 Ottobre 2019

FIRENZE. Chissà se la sorte ci sarà benevola e ci consentirà di sopravvivere, in salute, ancora due o tre lustri. Sì, gliene saremmo grati, per ovvi e scontati motivi, ma anche per poter assistere ad un altro capolavoro tipo Mary said what she said, con una monumentale, quasi disumana Isabelle Huppert. Ancora dieci, quindici anni circa; perché prima, uno spettacolo così, sarà difficile che qualcuno riesca a metterlo in piedi. Quando siamo usciti dal teatro La Pergola, a Firenze, infatti, ieri sera (si replica oggi, domenica 13 ottobre, alle 15,45), anche per le scarsamente avverse condizioni climatiche, abbiamo preferito passeggiare per la città, anziché tornare immediatamente alla macchina e fare ritorno a casa, nonostante alcune orde di adolescenti/barbari intenti a starnazzare ubriachi e molesti nelle vie e nelle piazze del centro ce ne suggerissero il provvido allontanamento. Ma abbiamo sentito la necessità di confrontarci spiritualmente con quello che abbiamo avuto la fortuna di vedere poco prima, provando a riassaporarne la fragranza. Della vita e della storia, tipicamente leggendarie come tutto il noioso Medio Evo, di Maria Stuarda non ce ne fregava, non ce ne frega e mai ce ne fregherà assolutamente nulla.

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L'amore negato

Pubblicato: 12 Ottobre 2019

FIRENZE. È un crimine efferato, il parricidio. Perché la vittima, quasi sempre, non si rende minimamente conto di quel che sta per succederle. Però lo sa e sa anche di meritarla, quella fine da bastardo. È successo a Tebe, con il primo caso, seppur involontario, della storia tramandataci, così famoso da essere diventato un complesso, anche se non si sa se si sia consumato veramente. Dopo, la cronaca ci segnala San Martino e poi altri parricidi, violenti, ma meno carismatici. Ricordiamo, nitidamente, quello di Marco Caruso, con il quale dividevamo i sogni adolescenziali di bomber di razza all’oratorio di Don Bosco; aveva appena 14 anni, quel 5 dicembre 1977, quando decise che quel mostro del padre sarebbe dovuto morire. Quattordici anni dopo fu la volta di Pietro Maso e dei suoi complici/amici, ma qui, di mostruoso, c’era solo una società malata e le sue vittime/carnefici, alle quali sarebbe stato giusto non consentire il lusso di poter chiedere perdono. In Tebas Land, invece, al Teatro di Rifredi, a Firenze, prodotto da Pupi e Fresedde, fino a domenica 27 ottobre, il fenomeno parricidio è trattato diversamente. Perché Sergio Blanco, l’autore franco-uruguagio, tradotto e portato in scena dal convalescente Angelo Savelli e affidato alla magistrale interpretazione di Ciro Masella e Samuele Picchi, con tutto il rispetto per la secolare tradizione giurisdizionale e morale, ha voluto trattare l’argomento da un’angolazione innovativa, che lui stesso ha definito autofinzione.

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Le favole non si spiegano

Pubblicato: 07 Ottobre 2019

di Raffaele Ferro

PISTOIA. Nel suo testo fondamentale Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe il grande psicanalista Bruno Bettelheim cita Schiller con una delle sue più significative frasi: C'è un significato più profondo nelle fiabe che mi furono narrate nella mia infanzia che nella verità qual è insegnata dalla vita. Questo per dire che l'usanza di reinterpretare, riscrivere, trasformare o, peggio ancora, spiegare le fiabe, da parte degli adulti, risulta essere sbagliato, se non propriamente dannoso, nei confronti dei bambini. Questo, nella bellissima opera teatrale Hans e Gret dell’onnivora Emma Dante, (che affida al marito, lo straordinario Carmine Maringola, le scene) in scena il 6 ottobre al teatro Bolognini, non è stato fatto. Un’impostazione semplice, un palcoscenico scarno, ma adornato in divenire, da un turbinio di colori e atmosfere, è stato il giusto fondale al realizzarsi di questo concetto espresso da Schiller e sviluppato con maestria da Bettelheim nel suo testo formativo per psicanalisti e psicoterapeuti. La favola di Hansel e Gretel, giocata magnificamente dalla giovane compagnia, ha incantato e divertito il pubblico per un'ora poco più di pura affabulazione.

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La prima cosa che vedi

Pubblicato: 23 Settembre 2019

di Francesca Infante

PISTOIA. La prima cosa che vedi è il suo pigiama, immagine che si porta dietro quel raro fascino di quotidianità. Ma prima ci sono state: le maschere iconiche del teatro, tutte insieme sul palcoscenico; il vestito di una donna che diventa un sipario; una pagnotta che copre le parti intime di una ragazza botticelliana; un cervo che bacia una donna bruna, un viandante che porta un teatro come se fosse una lanterna e poi è arrivata lei, la donna in pigiama con cannocchiale in mano. Dopo aver ricevuto l’incarico per realizzare l’illustrazione per la stagione di prosa del Teatro Manzoni ho cominciato a ragionare su come avrei potuto rendere l’idea di teatro. Ho capito che non potevo disegnare attori in scena (anche se vorrei moltissimo disegnare Amleto con teschio) e qualsiasi cosa  fatta con i sipari non sarebbe sicuramente stata bella come il manifesto realizzato da Matticchio qualche anno fa. Per trovare idee mi sono quindi girato verso la sala e dopo aver scartato le poltroncine sono rimasto solamente con lo spettatore ed il cannocchiale da teatro. Ho combinato questi elementi con quelli della mia personale ricerca artistica: il quotidiano ed il casalingo, l’ironia (spero), l’isolamento del soggetto nel bianco e il richiamo ad altro (la posa è ripresa da un quadro della pittrice Mary Cassat, “In the Loge” 1878).

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Il cerchio di Erchie si chiude in Collinaia

Pubblicato: 13 Settembre 2019

LIVORNO. Esiste, probabilmente, una consecutio nella Trilogia della Provincia (di Erchie), ma noi, non certo per controcorrentismo, l’abbiamo percorsa e chiusa al contrario, partendo dall’ultimo anello, La sorella di Gesucrsito, per poi consumare lo step di mezzo, Stasera sono in vena e assistere dunque al suo prologo ideale, Diario di Provincia. Il triangolo l’abbiamo chiuso ieri sera, a Livorno, in Collinaia, per l’esattezza, la campagna aulica che guarda la città portuale con la voglia di sentirsi parte integrante del mare, soprattutto da quando la furia delle acque piovane e dell’approssimazione architettonica l’ha sventrata, uccisa, crocifissa. Il cantore di questo crocevia della disperazione, del dolore e della vendetta, catapultabile dalla provincia brindisina fin sulle rive del Tirreno, è Oscar De Summa, uno dei nove artisti che stanno impreziosendo questa quarta edizione di Scenari di Quartiere, un’alchimia meravigliosa per riportare la chiesa al centro del paese. E per celebrare messa, al policromo, esuberante, estemporaneo Oscar De Summa, basta davvero poco, anzi, nulla: nemmeno l’altare, neanche l‘acquasantiera. Ma neanche un teatro.

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Quei miracolosi occhiali rossi

Pubblicato: 22 Luglio 2019

PECCIOLI (PI). La stima professionale che nutriamo per Filippo Timi e Lucia Mascino (foto Maria Sgueglia) è letteralmente sconfinata. Nei confronti del joker umbro, poi, perdiamo, sovente, addirittura l’obbiettività, perché siamo dell’avviso che sia uno dei pochissimi ad avere tutta la genialità dei fuoriclasse e a venderla come se si trattasse di spudorata sfrontatezza e appartenesse a un esordiente. Lucia Mascino, che con Marina Rocco rappresenta una delle due inseparabili muse dell’harem timiano, appartiene alla schiera delle giovani realtà attoriali con uno spiccato camaleontismo; il ruolo dell’isterica che, con il trascorrere delle rappresentazioni o delle pellicole tende ad ammorbidirsi, è quello che meglio la descrive, ma è, essenzialmente, un’adorabile tuttologa, capace di indossare sistematicamente gli abiti dell’amante, della mamma apprensiva o dell’amica complice e sbadata. Insieme, possono essere esplosivi, come abbiamo avuto il piacere di poterlo constatare assistendo ad alcuni loro spettacoli.

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L'esilarante esperanto dei Sacchi di sabbia

Pubblicato: 15 Luglio 2019

di Francesca Stampone

BERGAMO. Che sorpresa! Un festival di teatro nella val Cavallina, una delle svariate valli che si dispiegano intorno a Bergamo. Leggiamo il programma. Che sorpresa! Non il solito festival di dilettanti, ma un programma che incuriosisce e muove! Bene, ci prepariamo alla serata. Da un portone di una villa in pietra, affascinante edificio fine ‘800/inizio ‘900, si entra in un cortile, fresco, con un piccolo pergolato di glicine a dare un tocco di romanticismo. Intorno, i monti orobici, severi e ripidi. Lo spiazzo davanti alla casa fa da palco, le finestre del muro-fondoscena lasciano scorgere luci con effetto gelatina che fanno da illuminazione; una madonnina di gesso come solo elemento scenico. Le sedie si riempiono tutte, il pubblico non è giovanissimo, ma questo è un altro discorso. Andromaca di Euripide dei Sacchi di Sabbia. Silenzio, ecco, entra Andromaca, barbuto e pancione, in una lamentatio che fa subito sorridere. Ci domandiamo: ma è giusto che rida? Ci tranquillizziamo, non siamo i soli. Andromaca dopo l'uccisione del marito Ettore e del figlio Attanasio viene fatta schiava dal re dell'Epiro, Neottolemo, di cui diventa amante e da cui ha un figlio, Molosso.

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Orizzonti verticali

Pubblicato: 07 Luglio 2019

di Francesca Stampone

SAN GIMIGNANO (SI). Arriviamo a San Gimignano in un caldissimo sabato pomeriggio di inizio luglio. Camminiamo in salita per raggiungere il centro del meraviglioso borgo, scenario da anni di un festival di teatro danza e musica: Orizzonti Verticali. Davanti a noi si scagliano per l'appunto antiche torri che si ergono nel cielo, immerse in un panorama mozzafiato in cui l'occhio si perde ancora per l'appunto in vasti orizzonti. Nessun nome fu più appropriato. La magia del luogo innesca subito emozioni ed è una cornice perfetta per accogliere gli spettacoli della serata: L'imputato non è colpevole, con la regia di Tuccio Guicciardini e Juliette on the road (foto di Francesca Di Giuseppe), liberamente tratto dall'immortale e immenso Giulietta e Romeo di William Shakespeare, presentato dalla compagnia Cie Twain Physical Dance Theatre con coreografie di Loredana Parrella. L'imputato non è colpevole è ispirato agli atti del processo a carico di un giovane armeno Soghomon Tehliran accusato (è lui stesso reo confesso) di aver ucciso a Berlino nel ‘21 l 'ex ministro degli interni turco, responsabile del genocidio degli armeni e rifugiato in Germania, paese che all'epoca sostenne la Turchia.

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Panchina rossa, sedia vuota

Pubblicato: 29 Giugno 2019

di Francesca Infante

PISTOIA. Vorrei farvi due domande. Se vi proponessi di venire a uno spettacolo di teatro fisico, senza musica, con solo due ragazzi in tuta e una scenografia spoglia, verreste? Ieri sera, con Un poyo rojo, si è conclusa la rassegna Teatri di Confine (che faceva parte del Pistoia Teatro Festival dell'Associazione Teatrale Pistoiese). Lo spettacolo si è tenuto al Funaro, centro culturale di Pistoia. Il delizioso teatrino ha ospitato più di novanta spettatori, che con curiosità aspettavano di vedere questa rappresentazione di teatro fisico arrivato direttamente dall'Argentina, ma che in pochi anni ha fatto successo in tutto il mondo, arrivando anche alla Biennale di Venezia. E bastano pochi minuti per capire il perché di tutto questo successo. Ed è qui che rispondo io per voi alla prima domanda: no, magari non verreste, ma forse perché ve l'ho descritto in modo noioso. Riproviamoci.

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Provocazione e ipnosi

Pubblicato: 19 Giugno 2019

di Francesca Infante

PISTOIA. La piccola sala del Funaro appare diversa dal solito. Delle sedie formano un quadrato che delimitano la stanza. In un angolo della sala, fuori dal perimetro, c'è una donna: attende che quel quadrato senza vita venga animato dal pubblico. Pian piano tutti prendono posto. Le sedie sono piene. Ed è proprio in quell'istante, che lei, Cristina Rizzo, si stacca dal suo angolo e si posiziona al centro della sala. Tutti la possono vedere, lei può vedere tutti. A terra, vicino a lei, c'è un robot pulitore meccanico. Lui si accende. La musica parte e lei inizia la sua performance sulle note di Verklärte Nacht (Notte trasfigurata; VN è il titolo della rappresentazione) di Arnold Schönberg. In questa danza liberatoria, che sembra quasi un'evasione dalla realtà, il vero punto centrale è la distrazione. Cristina Rizzo balla in grande contatto con il pubblico, quasi lo sfiora, lo mette a disagio, cerca di distrarlo con un robot. Provoca chi guarda.

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Sotterraneo risorge Shakespeare e Woody Neri

Pubblicato: 11 Giugno 2019

PISTOIA. Dobbiamo attraversare spazi e spazi senza fermare in alcun d’essi il piede; lo spirto universal non vuol legarci, ma su, di grado in grado, sollevarci. Iniziamo da Hermann Hesse e da un passo di uno dei suoi capolavori, Gradini, per raccontarvi non tanto di Shakespearology, l’ennesima idea (geniale) di Sotterraneo, la compagnia ideatrice e realizzatrice dello spettacolo (prima data di Teatro Sotterraneo, ieri sera, 11 giugno, al Funaro), ma per concentrarci su Woody Neri (foto di Francesca Infante), il mattatore solitario, la reincarnazione del Vate anglosassone, che non disdegna il rock, strimpellando con dignità la chitarra, cantando egregiamente e tirandosela un po’, visto e considerato che attorno alle sue opere, da cinque secoli a questa parte – e la cosa è destinata a eternizzarsi -, ognuno che si accinga a fare spettacolo, prima o dopo, con lui, ci sbatte necessariamente il viso e il futuro. L’avevamo visto all’opera in più di un circostanza, Woody Neri, senza riuscire mai a convincerci; ieri sera abbiamo finalmente potuto cambiare idea. E siamo contenti: per lui, ma anche per noi.

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Un uomo. E così sia

Pubblicato: 03 Giugno 2019

PISTOIA. Certo, con un palcoscenico più grande, le confessioni, le pomiciate con la fidanzata occasionale, le trasformazioni in divinità nordica, avrebbero probabilmente avuto una resa migliore. Ma Walter Leonardi è difficilmente impressionabile; la sua comicità si adatta ai boschi e alle riviere e anche nella claustrofobica Segheria, a Pistoia, è riuscito a dispensare copiosamente la sua allegria paradossale. Il pubblico, quello degli aficionados alla scommessa degli Omini, i padroni di casa del covo teatrale di Sant’Agostino, era decisamente ben disposto, comunque: i fratelli Giulia e Luca Zacchini, Francesco Rotelli, Eleonora Spezi, Veronica Caggia (fotografa di circostanza, ma con tutti gli attributi) e altri personaggi velatamente  promiscui che bazzicano con continuità l’ambiente, si erano preventivamente preoccupati di mescere, agli spettatori, prima dell’esilarante monologo, qualche pozione magica di un modesto alcol venezuelano; le carote – appassite -, in compenso, almeno al nostro arrivo, non c’erano.

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E non disse nemmeno una parola

Pubblicato: 02 Giugno 2019

PISTOIA. Anche una sillaba sarebbe stata superflua, di troppo. Paola Tintinelli non ha bisogno di parlare; al diaframma, alla favella, al suono delle parole le corrono in soccorso un corpo disegnato da un writer vegano, ma ubriaco, una faccia da cartoon e una testa disallineata. Mario, poi, il postino, sul palco della Segheria, a Pistoia, la domus degli Omini, non ha davvero bisogno di dire nulla: la sua vita è incartapecorita nel suo lavoro e questo si riduce, con commovente orgoglio, a un armadietto, custode dei suoi ferri del mestiere, oltre che delle sue aspettative: la borsa che ospita la corrispondenza, meticolosamente e chapliniamente timbrata prima della consegna; il manubrio della bicicletta (il resto del mezzo è immaginabile), la divisa da postino, ma anche la ciotola per il rancio della pausa pranzo, scandita, all’inizio e alla fine, da un campanellino che lui stesso aziona; un thermos per le vivande, alcuni bonsai che colorano e impreziosiscono la sua solitudine, ma anche un panettoncino natalizio, una bottiglia, mignon, di spumante, una bandierina artigianale che segna l’approssimarsi e la consumazione delle festività natalizie, salutate da una girandola e piccoli e innocenti mortaretti.

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Senza infamia e senza gloria

Pubblicato: 19 Maggio 2019

FIRENZE. Lo Svalbard Global Seeld Vault non s’ha da salvare; né ora, né mai. Non ha senso, perché assicurare al pianeta oltre diecimila semi congelati in grado di garantire la prosecuzione della specie non è la più grande dimostrazione ecologica, ma il più aberrante crimine: disperdiamoci nel vento, è meglio. Non è questo il messaggio di Sémi, di Stivalaccio Teatro, al Mila Pieralli di Scandicci (oggi, 19 maggio, alle 16,45, ultima replica), ma è quello che avremmo voluto che fosse. Pazienza, qualcuno ci penserà, prima o poi e prima della nostra meravigliosa e aberrante capacità autodistruttiva, a estinguerci. Sémi invece, senza infamia e senza gloria, testo e regia di Marco Zoppello, affidata a Sara Allevi, Giulio Canestrelli, Anna De Franceschi, Michele Mori, Marco Zoppello e Matteo Pozzobon, è un testo mascherato (di cuscuniana memoria) ambientato ai limiti dell’aurora boreale, dove tre soldati italiani in forza alla Nato (il sergente Mario Zoppei e i suoi due soldati scelti, Giorgio Morello e Fausto Rossi), alla viglia di un natale prossimo futuro, sono a guardia della banca mondiale del seme.

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Mefistofele, Gretchen e il solito Faust

Pubblicato: 18 Maggio 2019

PRATO. Parlarne, del capolavoro di Goethe, è difficile quanto metterlo in scena. Federico Tiezzi, regista e drammaturgo di Scene da Faust, in prima assoluta al Fabbricone di Prato (si replica oggi, alle 19,30 e domani, 19 maggio, alle 16,30), ci ha pensato una vita, prima di azzardare. Risultato? Per taluni, coraggioso, epico, con i fratelli/amanti Faust (Marco Foschi) e Mefistofele (Sandro Lombardi) a darsele di santa ragione, evidenziando, sistematicamente, l’acume delle offese e la grande capacità, di entrambi, di incassare colpi da ko e con la giovanissima Margherita, o Gretchen (Leda Kreider), a sugellare con il delirio e il triplice sacrificio (suo, della madre e del figlio) la coincidenziale scommessa fatta sulla sua pelle dal diavolo e l’acqua santa; per altri, invece, la commistione cinematografico-teatrale, da Kubrik a Latella, passando da Keanu Reeves, con Matrix (l’abbigliamento di Faust e Mefistofele lo ricorda, soprattutto in contrasto con il bianco asettico, chirurgico, del resto degli attori) non aggiunge, né ringiovanisce l’opera,

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Tra la via Aurelia e Sant'Agostino

Pubblicato: 12 Maggio 2019

PISTOIA. Ricorda, ma non è certo un caso, tutti i cantastorie semiseri, tragicomici, della lunga e forbita storia del cantautorato impegnato, ma non troppo, che l’hanno preceduto. Ascoltarlo e vederlo all’opera, anche se si conoscono, a mente, i suoi pezzi, i suoi lazzi e le sue smorfie, è sempre un piacere, perché Francesco Bottai (foto Lorenzo Gori, ma non quello de Il Tirreno, eh), la metà sopravvissuta agli eventi dei Gatti Mézzi, gode si simpatia connaturata, biochimica, inevitabile. Anche quando stornella, tra il blues dei primordi e il rock intimista dei miglior crooner, pezzi tristi, la vena di leggera e ilare inesorabilità prende puntualmente il sopravvento e alla fine dello spettacolo, quando ci si congeda dalla sala, si ha sempre l’impressione che si sia fatto bene ad andare a sentirlo un’altra volta. Se poi a invitarlo sono gli Omini nella loro Segheria, il senso di soddisfazione è doppio, perché quella sala di produzione autogestita, che riproduce artigianalmente e in miniatura i foyer e le sale teatrali di contesti più accreditati e sovvenzionati, sono di quanto più coraggioso e incoraggiante ci sia in circolazione.

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Però, che punizione!

Pubblicato: 24 Aprile 2019

FIRENZE. È vero: con Michele Santeramo, l’integrità cronistica che ci distingue, la nostra inflessibilità ad personam, il nostro manicheismo che non ammette eccezioni, per magia, si dissolvono e si trasformano in un unico straordinario blocco emotivo. Quando sul palco c’è Michele Santeramo noi diventiamo patetici ultrà e finiamo per non scorgere mai nulla che non sia magnifico, proprio come i supporters calcistici che si stipano nelle curve fanno con i loro beniamini. Ma la colpa è sua, beninteso, perché ogni volta noi vorremmo pure non lasciarci suggestionare dalle sue affascinanti affabulazioni e rimanere neutrali, come torri che non si muovono a sì spirar di vento, ma non ce la facciamo. Michele Santeramo va, puntualmente e sistematicamente, oltre ogni ragionevole e pertinente (pre)giudizio e finisce per abbindolarci, con la nostra totale e inerme complicità. Storia d’amore e di calcio, sul palco rovesciato del Teatro di Rifredi, che con questa rappresentazione (si replica fino a sabato 27 aprile) chiude la stagione di prosa, è un’altra storia minima, ignobile e dimenticata, che somiglia quelle minori delle quali il mattatore si ciba da sempre.

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Mala tempora currunt

Pubblicato: 19 Aprile 2019

FIRENZE. Oscar De Summa non ci va mai leggero. Per fortuna. Anche stavolta, con L’ospite – una questione privata -, prodotto da Pupi e Fresedde, Teatro di Rifredi e Uthopia, si è risparmiato poco. E anche stavolta, nonostante sul palco non ci sia lui, il funambolico pugliese, come è successo con La sorella di Gesùcristo e Stasera sono in vena, ma il conterraneo Ciro Masella (che firma anche la regia) e l’albanese Aleksandros Memetaj, la storia appartiene, senza dover fare ricorso a sforzi particolari, a quelle minori, ma solo per eco mediatico, di provincia. Una provincia immaginaria e facilmente immaginabile, dove nel baratro, alla fine, finiscono per rotolarci tanto i carnefici quanto le vittime. La scena del crimine, ambientato nella metà posteriore del palco del Teatro di Rifredi (ieri, venerdì 19 aprile, quarta e ultima replica), è il salotto di un appartamento nel quale un topo dimmerda, frocio, che ci scopa le mogli e le sorelle (anche quelle degli altri, ma le altre son tutte troye) è furtivamente e maldestramente entrato per fare razzia, non facendo però i conti con il proprietario della casa che rientra prima che il ladro porti a termine il suo progetto criminale.

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Perbene, ma non troppo

Pubblicato: 16 Aprile 2019

di Raffaele Ferro

PISTOIA. Sipario: scena in ombra - di spalle un gruppo di musicisti; banda di paese. Suonano Gioacchino Rossini di fronte al maestro. Il Carabiniere in divisa, impettito, sul podio, è l’unico a essere illuminato. Andrea Rossini (caso vuole l'omonimia) che interpreta il Maresciallo, nei camerini dopo lo spettacolo mi dice che sostanzialmente, stare sempre impettito, quasi immobile, in un ruolo con poche battute, è tutt'altro che semplice. È vero: Allegretto (perbene ma non troppo) non è uno spettacolo qualunque, la sceneggiatura di Ugo Chiti lo ha previsto, scritto e organizzato. Una storia semplice, banale, come mi dice il regista dopo lo spettacolo; una serie di scompartimenti, la divisione e la giustapposizione delle scene, delle gabbie. Si perché i personaggi lo sono, ingabbiati in quello che è un essere, un trovarsi (come nel ventennio fascista per molti fu) ingabbiati, se non proprio imbavagliati, in un personaggio. De resto, ribadisce il regista, è la stessa banalità del Male di cui Anna Arendt ne ha delineato i profili, quella dei nazisti, quella della fredda e cinica azione di chi ha deportato e sterminato milioni di innocenti, in cui si struttura la vicenda. In Allegretto si parla del nostro territorio, di un piccolo paese di provincia e di un fatto triste, crudo e scomodo. Qui, sul filo del discorso, fatto con gli attori e col regista, prima dell'inizio, si cerca di inquadrare la storia.

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Le parole che non si ebbe il tempo di dire

Pubblicato: 12 Aprile 2019

FIRENZE. Il contesto, che pare di fortuna, è oltre modo corretto invece. Il problema, è solo arrivarci, al Riva Lofts Florence, perché via Baccio Bandinelli, a Firenze, dove è il meraviglioso B&B e dove stasera (sabato 13 aprile, ore 21) si replicherà Giusto la fine del mondo, è una caccia al tesoro, un gioco dell’oca, per i quali, per chi non è pratico della zona, è indispensabile non innervosirsi. Il figliol prodigo (Riccardo Naldini), però, suo fratello e sua sorella (Roberto Gioffrè e Luisa Bosi), la cognata (Laura Croce) e la madre (Sandra Garuglieri) sembra proprio che in quell’albergo preso in prestito da Marmuris + Attodue, la produzione di questa traduzione e trasposizione teatrale di uno dei testi di Jean Luc Lagarce, ci vivano davvero. Un testo surreale, beckettiano, dal trono poetico sudamericano, che si ispira a Gabriel Garcia Marquez, che richiede uno spiccato senso semiserio della trascendenza, del qui e ora, dell’altrove e del mai, un viaggio claustrofobico, ironico, tragico, dove si scontrano l’amore e l’odio, la parentela e le sue incomprensioni, il rigore geometrico della piramide e le sue contraddizioni, il fascino dell’appartenenza e l’invidia della contiguità. Jean Luc Lagarce è uno di quegli autori con i quali è già difficile misurarsi; confrontarsi, risulta diabolico.

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Il vecchio e la bambina

Pubblicato: 06 Aprile 2019

PRATO. Ha fatto bene, una spettatrice, a fine rappresentazione, urlando più forte degli applausi, a dire grazie. Perché più di così, a teatro, in un teatro spoglio di ogni orpello, come lo è il Fabbricone di Prato (si replica oggi domenica 7 aprile, alle 15,30, imperdibile), dove ci sono una poltrona, custodita ai lati da pile di libri, dove siede un uomo (Franco Branciaroli), islamista docente universitario, in attesa di avere notizie della figlia (Marina Occhionero), che le gira nervosamente attorno, ma da oltre 5.000 chilometri di distanza, perché è scappata a Fallujah, in Irak, per stare vicino al suo uomo e a combattere la sua guerra, non si può avere. Saltiamo a piè pari tutto quello che ha voluto raccontare, dire e provare a innescare Rachide Benzine, islamologo, nuovo lettore del Corano, autore del romanzo Lettere a Nour, che è anche il titolo della rappresentazione, perché altrimenti dovremmo intavolare una seduta che inizierebbe ora senza avere una fine, anche se per noi, le religioni, sono, tutte, indistintamente, oppio (ma della peggior fatta, quello che fa venire fame chimica) per i popoli, e ci concentriamo sulle performances dei due protagonisti: un vecchio (mostro sacro) e una bambina (che diventerà una regina).

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Lectio magistralis

Pubblicato: 06 Aprile 2019

PISTOIA. Serata difficile, onestamente e oggettivamente, con tutto il fascino che si deve e si è portato dietro, quella con la quale Il Funaro, una delle cose più belle capitate a Pistoia da quando è diventata Provincia, ha deciso di chiudere la stagione (che ha messo in mostra, come succede da quando è nata, cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare): la lectio magistralis di Piergiorgio Giacché, antropologo dello spettacolo, uno dei pochi estimatori di un filosofo che continua a subire l’ostracismo collettivo e inconsapevole delle masse, Aldo Capitini. E dire che all’inizio della rappresentazione eravamo convinti che la serata avrebbe avuto un andamento jazz, visto e considerato che il vate perugino che ci ha condotto per mano dal suo padre spirituale ha deciso di presentarsi al pubblico di spalle, stile Miles Davis. Che ci fossimo sbagliati lo abbiamo capito subito, però. Lo stare in piedi, davanti a un leggio nascosto dal corpo, sciorinando alcune note autobiografiche di uno dei più incisivi educatori antifascisti e nonviolenti d’Italia, è stato solo un encomiabile segno di rispetto, che qualsiasi nano farebbe bene ad avere nei confronti di un gigante come lui.

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A lei, tutto è concesso

Pubblicato: 04 Aprile 2019

CASALGUIDI (PT). I sensi precedono la percezione, sempre, non solo per gli stolti, o più bonariamente, per gli istintivi, ma anche per i soggetti più profondi. Guardare Laura Morante (sessantatré anni) e restare abbagliati dalla sua semplice, naturale, sconvolgente bellezza è un tutt’uno, senza soluzione di continuità. Anche se lei, della sua biochimica eleganza, della quale sarà certamente grata e soprattutto riconoscente, non sembra farne uso smodato. Anzi. Anche ieri sera, infatti, sul palco del Teatro Francini, di Casalguidi, terra che congiunge la piana pistoiese con il Montalbano, che l’ha ospitata con la sua nuova Brividi immorali, esordio letterario trasformato in reading alla bisogna, per chiudere, come meglio non avrebbe potuto, la stagione, la musa ispiratrice delle donne misteriose di Nanni Moretti era come al solito vestita affinché nessuno si accorgesse di lei, con un pallone prossemico invalicabile. Pantaloni di flanella, maglia di lanetta e giaccone, tutti abbondanti, senza scandire le forme, di lana, neri, come le scarpe (calzatura da mademoiselle del ‘700), con un leggio, i fogli sui quali c’erano i racconti estratti dall’omonimo volume (edito da La nave di Teseo)

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Capitolo definitivamente chiuso?

Pubblicato: 31 Marzo 2019

CALENZANO (FI). Addentrarsi nei meandri processuali sarebbe servito a poco, forse a nulla. Degli otto duplici efferatissimi omicidi consumati nella provincia di Firenze tra il 1968 e il 1985, generando delle vere e proprie piscosi, ma anche lugubri lazzi, amplificati dai caroselli processuali, soprattutto con Pietro Pacciani, persona indegna di essere definita tale, ma vera e propria star mediatica, nemmeno le Magistrature di Firenze e Perugia sono riuscite a fare piena e definitiva luce. Sì, certo, ci sono due ergastolani, Marco Vanni e Giancarlo Lotti, ritenuti responsabili della metà delle mattanze, ma sulla storia del Mostro di Firenze troppe cose sono rimaste coperte da misteri e da una fitta coltre di interessi e deviazioni. Per questo ha fatto bene Eugenio Nocciolini ad avvicinarsi a quel lunghissimo caso di cronaca nera allestendo, ma dalla parte delle vittime, innocenti e inconsapevoli, NESSUNO, Il mostro di Firenze, in scena al Teatro Manzoni di Calenzano (nella provincia di Firenze, ma la più anonima che si possa immaginare) fino all’ultima replica di oggi, domenica 31 marzo, alle 16,30. Con lui, sul piccolo palco dello stabile, scenografato da due tavoli, ad uso scrivanie della Questura, banchi di frutta, tavolini di Circoli per filotti e confidenze erotiche, Gabriele Giaffreda, Monica Bauco, Antonio Fazzini, Roberto Gioffrè, Vania Rotondi e alcuni ragazzi (che devono lavorare sodo se vogliono fare gli attori) della CalenzanoTeatroFormAzione.

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L'altra tragedia, quella mai raccontata

Pubblicato: 29 Marzo 2019

PRATO. La guerra la fanno gli uomini: padri, mariti, amanti e figli; le donne, madri, mogli, amanti e figlie, restano a casa, ad aspettare che tornino i maschi. Solo se vincitori, naturalmente. Quella tra Troiani e Greci, raccontata da Euripide e terminata, come si legge dagli abbecedari in poi, dopo dieci anni con la beffa del cavallo, tragico presagio della sola Cassandra (Manuela Mandracchia), lo è per antonomasia una guerra di uomini; anzi, di eroi, dei, per lo più. Ma Troiane, Frammenti di tragedia, in scena al Metastasio di Prato (si replica stasera, alle 19,30 e domani, domenica 31 marzo, alle 16,30), una delle tre opere della trilogia del Collettivo Mitipretese che ha contemplato anche altre visualizzazioni solo femminili, come Roma ore 11 e Festa di famiglia, racconta the day after della Troia in fiamme, devastata, saccheggiata e vilipesa dando voce e dolore solo alle donne, rinchiuse in uno spazio in attesa, come trofei di guerra, delle loro destinazioni: l’anziana Ecuba (Alvia Reale), sua nuora Andromaca (Corinna Lo Castro) e la femmina della discordia, del baratto, del tradimento, la bellissima Elena (Sandra Toffolatti, bellissima veramente),

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Cuscunà, la performer che vi risorgerà

Pubblicato: 28 Marzo 2019

FIRENZE. Da ottima e dotta teatrante quale è e che non ha alcuna intenzione di nascondere, per invocare un inevitabile ritorno alla civiltà femminile, più che matriarcale, Marta Cuscunà si è presa la licenza di rovistare tra gli annali storiografici delle civiltà ladine riportando in luce, oltre che liberarla dalla polvere, la leggenda del mito di Fanes, quella popolazione gemellata con le marmotte che vive nascosta tra i fondali del lago di Braies e la valle del Cadore, posti cari tanto al giornalista antropologo austriaco Karl Felix Wolff, a cui si deve la modernizzazione di quelle leggende sepolte in attesa di resurrezione, quanto a Walter Bonatti e Reinhold Messner, scalatori indefessi che con Dolasilla, figlia della regina che sposò uno straniero che la trasformò da umile ancella in indomita guerriera, gettando nel vortice dell’astio bellico la pacifica comunità di Fanes, hanno fatto i conti una vita intera, ogni volta che si sono avvicinati a una parete, ferrandola per i posteri dilettanti, o conquistandone le cime in religioso, ma laico, silenzio.

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Aspettare stanca, ma è un lusso

Pubblicato: 27 Marzo 2019

FIRENZE. È stato uno degli autori che non potevano mancare nei circoli rivoluzionari; rigorosamente. Oltre a Samuel Beckett e la sua Aspettando Godot, negli anni delle illusioni finite malissimo, gli altri insostituibili erano Heinrich Boll (Opinioni di un clown) e Hermann Hesse (Siddhartha), che formavano la triade generazionale di quelli che sostenevano che non succede, ma se succede…Non è successo, d’accordo, ma per fortuna, quei libri, oltre ad averli letti, li abbiamo soprattutto riletti e nel tempo, l’effetto, anziché limitarsi a vivacchiare e rimbalzare da un decennio al successivo, si è andato addirittura fortificando, aumentando ulteriormente rammarico e nostalgie. Le nostre, ma non quelle di Maurizio Scaparro, il regista e dei protagonisti (Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo, Fabrizio Bordignon e Gabriele Cicirello) dell’omonimo capolavoro del filosofo irlandese, naturalizzato francese, riadattato, grazie al Teatro Biondo di Palermo e alla Fondazione Teatro della Toscana, per i palcoscenici italiani, come quello fiorentino della Pergola, che li ospiterà fino a domani, 28 marzo.

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Con quella faccia un po' così

Pubblicato: 25 Marzo 2019

AGLIANA (PT). Chiunque, a Genova, decida di voler far ridere, con una semplice battuta, una barzelletta, ma anche di professione, deve fare i conti con due mostri sacri della città della Lanterna: Gilberto Govi e Paolo Villaggio. Il primo, seppur vagamente cinico (soprattutto con la sua immancabile e insostituibile moglie Luigia), è pur sempre stato una macchietta meravigliosa, con quella faccia inconfondibile, la stessa che sempre sul mar Tirreno, ma a centinaia di chilometri più a Sud, lo è stato Eduardo per i napoletani, in un teatro di cabarettisti e intrattenitori sopraffini, che non avevano alcun bisogno di ricorrere mai alle volgarità, per suscitare ilari e robusti consensi. Il secondo, invece, ha letteralmente rivoluzionato il modo di ridere, travolgendo in modo sadomasochistico i pochi pregi e gli innumerevoli vizi dell’italiano medio, senza confidare nella melodica musicalità del proprio slang, ma adducendone nuove, tragiche, letali. Anche Tullio Solenghi è genovese e di essere un discendente doc di quella scuola popolare ne va fiero, tanto che da qualche tempo gira i teatri dell’Italia portando in scena Una serata pazzesca,

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Quel performer di Lino Musella

Pubblicato: 20 Marzo 2019

PRATO. Un personaggio come Jan Fabre non ha bisogno di altro per essere spettacolo. È già estremo, quanto basta, alcune volte anche con eccessi chirurgici, che sembrano essere stati pianificati dal sistema, così come si prepara una macchina per la guerra dello stupore. Lino Musella, però, onemanshow di The night writer, Giornale notturno (al Fabbrichino di Prato fino a domenica prossima, 24 marzo), (ri)lettura di alcuni spunti dell’onnivoro belga, riesce, perfettamente, a sottrarre qualcosa alla sua non sempre comprovata polivalenza artistica per accrescere ulteriormente la propria certificata vis teatrale. Un’operazione saprofitica esemplare: ridurre all’essenziale – citando date e appunti come un navigato speaker telegiornalistico psicopatico – le informazioni e lavorare su queste alla ricerca di una traiettoria che ne garantisca un profilo sufficientemente contorto e maledetto e un approdo dispensatore di consensi e applausi. Sullo sfondo della sala della diretta, che ha tutte le sembianze di un paesaggio lunare sul quale sono appoggiate e spiccano alcune staine, neologismo utile a una sottile, seppur prevedibile, battuta in quarta, Lino Musella, alfabetizzato alla movenza del viso, delle mani e dei piedi da Michela Lucenti e glorificato da Antonio Latella in quel capolavoro, senza se e senza ma, che è Natale in casa Cupiello,

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Tutto il Bardo in 90 esilaranti minuti

Pubblicato: 20 Marzo 2019

di Alessandra Pagliai

FIRENZE. Tre soli attori sul palco per un denso, essenziale e comico Shakespeare che ha l'intento di fare a pezzi la tragedia. Al Teatro di Rifredi, ancora fino al 21 marzo, la Compagnia La macchina del suono è in scena con trentasette opere del Bardo in soli novanta minuti. Una pièce lunga quanto una partita di calcio, ma senza l'intervallo. Inutile chiedersi cosa ne penserebbe William Shakespeare; la domanda è un'altra: cosa ne pensiamo noi, noi che abbiamo ancora le lacrime agli occhi per aver visto Ofelia annegare in un bicchier d'acqua e Tito Andronico partecipare a Master Chef in stile collaboratore di Quentin Tarantino e il Moro di Venezia versione rap alle prese col kleenex tutto ricamato? Le commedie di Shakespeare, ben sedici, sono velocemente citate; quel che gli e ci interessa sono le tragedie.

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L'onestà, la virtù senza maschera

Pubblicato: 16 Marzo 2019

PISTOIA. I matrimoni riparatori non sono finiti; ora, rispetto alle tecniche di inizio secolo scorso, quando Luigi Pirandello scrisse e portò in scena Il piacere dell’onestà, sono solo cambiate le procedure della finzione, ma l’ipocrisia, con la quale l’apparenza riesce in qualche modo a salvarsi, continua a farla da padrona. Alessandro Averone, consapevole che al drammaturgo siciliano ci sia ben poco da appuntare, figuriamoci da aggiungere, ha deciso che la storia del malfattore Angelo Baldovino e la sua grande occasione di liberarsi da debiti e malelingue e riscattarsi veramente, così come fu confezionata più di cento anni or sono, bastava e avanzava. Piacque molto ad Antonio Gramsci; è piaciuto parecchio a Beppe Grillo. E allora, complice il Teatro Metastasio di Prato che l’ha prodotto, in collaborazione con Knuk Company, ha convocato a sé Agata, la moglie del riscatto, sua madre, il marchese Fabio Colli, ammogliato, ma padre del bambino di Agata, il suo vecchio compagno di scuola e il parroco battesimale (Laura Mazzi, Alessia Giangiuliani, Marco Quaglia, Gabriele Sabatini e Mauro Santopietro) e con loro, al Teatro Manzoni di Pistoia (si replica oggi, domenica 17 marzo, alle 16),

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Il settimo personaggio è l'autore che cerchiamo

Pubblicato: 15 Marzo 2019

FIRENZE. La montagna di (in)formazioni che sovrasta la rappresentazione, utili a svelare la struttura concentrica, ma centrifuga, dello spettacolo, è il magma che serve ai Premi, Ubu su tutti, per classificare e/o declassare un’opera, il suo autore e la sua scuola/dottrina. Roberto Latini è già, da tempo, nel cerchio degli illuminati e questa Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? altro non è, non per riduzione, ma per consacrazione, un’altra pagina indelebile della sua produzione, affidata, sul palcoscenico del Cantiere Florida, a Firenze, a una sua creazione, reincarnazione metempsicotica, l’acrobata PierGiuseppe di Tanno. Che a differenza, addizionale, non sottrattiva, di Mangiafuoco, oltre alle mani, usa anche i piedi, per la precisione i dieci alluci. Lo fa su un piedistallo che non si muove a sì spirar di vento, in consolidato equilibrio, un palco sul palco, sottolineando, già dai presupposti, che si tratterà di metateatro, a livello puro, cristallino, prendendo in prestito, con la consapevolezza di renderlo a Luigi Pirandello, il proprietario, Sei personaggi in cerca d’autore, che per materializzarsi alla bisogna chiedono lumi e venia al loro misterioso fratello, il settimo, che è mascherato, con la figura di un teschio, come Amleto (?), o Kriminal (?), ma anche di un pagliaccio, se preferite;

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L'umanità cotta al vapore dell'angoscia

Pubblicato: 15 Marzo 2019

di Alessandra Pagliai

 

FIRENZE. Col Ku Klux Klan, l'organizzazione segreta nata negli Stati Uniti e tutt'ora in attività (sic!), i nostri eroi hanno solo l'assonanza, e che consonanza. Gli ideali discriminatori qui non c'entrano? l’omofobia, l’anticomunismo, il segregazionismo, il razzismo? forse si. Nella cerimonia di iniziazione il KKK declama che L’uguaglianza sociale dovrà essere bandita per sempre. Nella storia disperata di Gabriele Di Luca infatti l'omogeneità sociale è inesistente. La piccola comunità di senzatetto di cui si narra vive recintata e ben lontana dai ricchi. La sopravvivenza è il loro affare. E anche fra loro vige la distanza per quanto allo stretto, ma non l'indifferenza. La vita, nella versione tragicomica della Carrozzeria Orfeo, è raccontata al presente, il nostro, nessuno escluso. Siamo gli spettatori di una pièce che va in scena ogni giorno sotto gli occhi di tutti, nostro malgrado, basta avere gli occhi. Come scriveva José Saramago, Se puoi vedere, guarda. Se puoi guardare, osserva.

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Robbè, sei 'n paraculo

Pubblicato: 09 Marzo 2019

PISTOIA. Non sappiamo se conosca più e meglio il Teatro o gli Spettatori, Roberto Valerio; un dubbio ininfluente, però, perché il risultato, puntualmente, è sempre lo stesso: applausi a scena aperta e orgogliosi inchini soddisfatti al termine. È successo anche ieri sera, con il Tartufo, al Manzoni (domenica 10 marzo, alle 16, terza e ultima replica), che l’ha prodotto, per questa nuova antica versione della commedia di Molière, della quale il funambolico romano (slang con cui l’abbiamo benevolmente appellato) firma la regia e indossa i panni di Orgone, marito tanto rigido quanto sprovveduto che non riesce a capire l’inganno che il finto amico Tartufo gli sta ordendo. Il Teatro lo conosce alla perfezione e non a caso, la sua squadra, che come una duttilissima fisarmonica si allarga e si stringe a seconda delle circostanze, vanta delle presenze che sono insostituibili: come la candida Valentina Sperlì (Elmira, la moglie di Orgone), ad esempio, o lo speaker Massimo Grigò (Cleante, il fratello di Elmira e Lorenzo, il servo di Tartufo), tutti con lui nelle precedenti fortunatissime e applauditissime esperienze, dal Vantone a Casa di bambola, passando per L’impresario delle Smirne.

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Donna Concetta

Pubblicato: 09 Marzo 2019

FIRENZE. Immacolata Concezione è una pagina coraggiosa, vera, realista, che trasuda bellezza da tutti i pori, dall’inizio alla fine, che impone un’implosione di tenerezza, alla quale abbiamo dato libero sfogo solo all’uscita, lontano dalle altrui emozioni, piangendo a dirotto. Immacolata concezione è uno di quegli spettacoli che non si devono in alcun modo perdere, perché è delittuoso non vedere all’opera Concetta (Federica Carruba Toscano), ideatrice di questa novella creata dal Teatro della Vuccirìa - prodotta dalla Fondazione del Teatro di Napoli e dal Teatro Bellini e affidata alla regia di Joele Anastasi -, trascinata nuda, come una cavalla da monta o una mucca da mungere, con una corda al collo, dal fondo del Teatro di Rifredi (stasera, 9 marzo, ultima replica: vi consigliamo, spudoratamente, di andare a vederlo) fino sul palcoscenico, accompagnata dagli schiamazzi, dalle urla e dai fischi pecorari dei suoi vecchi proprietari, i genitori, che la barattano a DonnaAnna, meretrice di un bordello, che in cambio di questa puledra vergine anche un po’ ritardata perché inspiegabilmente felice e con un seno spropositato offre la sua capra, gravida e piena di latte.

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Autentico, irriconoscibile

Pubblicato: 08 Marzo 2019

PRATO. Che il Don Giovanni di Valerio Binasco non fosse e non volesse soprattutto essere un copia/incolla delle migliaia di rappresentazioni precedenti, tra irresistibili incantatori di serpenti e fascinosi dark emaciati, lo si è capito subito, dalla scelta musicale con cui si è aperto ieri sera il sipario del Metastasio di Prato (si replica oggi, 20,45, domani, 19,30 e domenica 10 marzo, 15,45) sulle note di quella controversa, criptica, biblica e demoniaca, leggendaria Stairway to Heaven, di Robert Plant. E subito dopo, una volta inquadrato nel suo delirante eccesso psicopatico il magistrale tragicomico servo Sganarello (Sergio Romano), ecco che sulla scena piomba un imprevedibile Don Giovanni (Gianluca Gobbi), camionista impomatato, rockettaro, naturalmente sovrappeso, soprattutto per l'abuso di alcool, uno che si è fatto da solo, gettando alle ortiche le doti e la morale familiare, un Don Giovanni inconsapevole di esserlo, ma arciconvinto di volerlo diventare, pur ignorandone le gesta, perché quella è l’unica strada alla sublimazione, quella che gli suggerisce l’impeto di impossessarsi delle donne, tutte, indistintamente, la successiva sempre un po’ di più della precedente, per sposarle o promettersele in spose e averle davvero.

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Un'oasi di felicità immersa nel veleno

Pubblicato: 03 Marzo 2019

di Alessandra Pagliai

FIRENZE. Signore e signori, Nerium Park è uno spettacolo che si dipana per dodici scene, in una Prima nazionale svolta al Teatro di Rifredi di Firenze il 1 e il 2 marzo. Nerium Park è il nome del luogo dove si svolgono i fatti e misfatti; un comprensorio moderno immerso in un territorio costellato di oleandri, belli, colorati e molto velenosi. È una vasta area dove vivono solo Marta e Bruno, due giovani che lavorano e possono permettersi un mutuo trentennale, sposi in attesa di un figlio. Qui si parla d'amore, unione, lavoro, possibilità economiche, speranze, una bella casa e di come la vita possa trasformarsi in un brivido febbricitante quando tutto cade in un rovinoso domino: il lavoro-dignità, i soldi-potere d'acquisto, la comunità-forza che manca, l'intimità della coppia che scoppia e arriva un figlio da crescere con tutti i sogni e bisogni che comporta. Bruno perde il lavoro e l'amore si logora anziché fortificarsi nella battaglia solidale contro le difficoltà. Qui c'è l'Italia, nonostante il testo arrivi dal nord-est della Spagna, dalla Catalogna di Josep Maria Mirò nel 2013. Qui c'è l'Europa dell'Unione Europea ancora in divenire.

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Cronaca di una mattanza annunciata

Pubblicato: 01 Marzo 2019

PRATO. Un comizio, sarebbe stato più semplice. È quello che hanno fatto tutti, del resto, immediatamente dopo e per molti anni a venire, fino a quando la storia si è fatta leggenda, già dalla mattina del 9 maggio, quando Aldo fu trovato Morto nel bagagliaio di quella Renault 4 rossa, rubata pochi mesi prima a Filippo, un operaio stradale emigrato a Roma da Macerata in cerca di fortuna. Daniele Timpano, però, nato a Roma appena 4 anni prima della prima mattanza che ha segnato questo paese (le altre due sono Falcone e Borsellino), attore, regista, della scuola storta del Teatro, tra Mister Bean e Daniele Luttazzi, all’epoca dei fatti, era troppo piccolo, per capire. Ma anche per prendere posizione. Però, con quel macigno sulle spalle, sulla memoria collettiva e sul futuro di ogni pensatore, ci è cresciuto, facendoci i conti e facendoci teatro. Il suo Aldo Morto infatti, in scena al Magnolfi di Prato (si replica stasera, alle 20,45) parecchi anni dopo un indiscusso riconoscimento di premi, critica e pubblico, è ancora un’ottima indispensabile relazione tra il cadavere dello statista democristiano e i suoi carnefici, annessi e connessi gli accurati depistaggi dei servizi segreti: americani, russi, israeliani e palestinesi;

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Facea meglio a restà a casa, Neottolemo

Pubblicato: 23 Febbraio 2019

AGLIANA (PT). L’epica ha il suo fascino, indiscutibile. Basti pensare alle gesta, appunto epiche, in quanto mitologiche, con le quali si sono combattute estenuanti battaglie, riscritti i confini degli Imperi, escogitate imprevedibili astuzie, generate caste e discendenze, partorito divinità immortali, spesso dai nomi tanto leggendari quanto impronunciabili, quasi tutti rafforzati da dittonghi, consumati amori, combinati matrimoni, ordito vendette attese decenni anche facendo ricordo ai tradimenti, consultati oracoli. Una trafila di avvenimenti conditi da intrecci spesso inestricabili di parentadi promiscui che hanno generato alberi genealogici letteralmente impossibili da ricostruire. Il fascino di esperienze così lontane e con una lentezza realizzativa insopportabile, riportate nei secoli dalle scritture classiche, quasi tutte al limite della credenza, si infrange con la loro dubbia verosimiglianza, per tracimare, inesorabilmente, nel campo degli sbadigli, generati dalla noia, che a teatro diverrebbe letale.

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Ci vuole un fiore

Pubblicato: 22 Febbraio 2019

FIRENZE. Un po’, la faccia da maestra che ha dedicato l’intera esistenza alla scuola, dimenticando amori, famiglia, interessi, ce l’ha anche, Antonella Questa. Iniziamo così, giusto per sdrammatizzare quanto non basta, il racconto di Infanzia felice, lo spettacolo prodotto dall’Associazione Culturale LaQ-Prod (fondata nel 2005 proprio da Antonella), in collaborazione con i padroni di casa del Teatro Rifredi (dove replicherà stasera e domani pomeriggio, 24 febbraio), Pupi e Fresedde e con Armunia Centro di Residenze Artistiche Castiglioncello Festival/Inequilibrio. Lo facciamo perché il tema, troppo delicato e vitale da sempre, in particolare per le future generazioni, è uno di quelli che scottano parecchio e che quasi sempre, ma il quasi è un eufemismo, risulta decisivo. Nel bene e nel male. E non occorre andare molto lontano nel tempo, sfruttando così il distico novellistico di c’era una volta, per rintracciare e individuare nell’amore non dato, nell’ascolto non offerto, nel tempo non perso il germe della distruzione. La fiaba per adulti, sottotitolo scelto dall’autrice/regista/attrice, racconta la storia di Rossana Caramella,

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Sindrome di Stoccolma

Pubblicato: 22 Febbraio 2019

PRATO. Chiunque decida di misurarsi con il Teatro non può permettersi il lusso, sarebbero una mancanza e una lacuna imperdonabili, di non affrontare Shakespeare. Anche perché, con La bisbetica domata, una delle opere tra le più rappresentate al mondo di ogni tempo e tra tutti gli autori, ci si possono consentire una miriade di licenze. A patto che si possa fare affidamento su un cast che sappia giocare a nascondino come si deve e che all’interno dei mestieranti della bisogna si sappiano individuare gli amanti/duellanti, la vittima/carnefice, il sequestratore/rapito Caterina e Petruccio. Che Andrea Chiodi, il regista, confidando nella traduzione e nell’adattamento di Angela Demattè, ha individuato nel diaframma in falsetto di Tindaro Granata (collant, di lana, rossi; fruits nera con un inno alle ragazze) e nel machismo schietto e presuntuoso, ma pericolosissimo, di Angelo Di Genio (giubbotto di pelle nera, pancetta da chi ha smesso di andare in palestra), accompagnati, in questa esposizione al Metastasio di Prato (fino a domenica 24 febbraio), dal resto della ciurma di un apprezzatissimo bateau ivre composta da un cast tutto maschile, con Ugo Fiore, Igor Horvat, Christian La Rosa, Walter Rizzuto, Rocco Schira e Massimiliano Zampetti.

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S'ha da vedere

Pubblicato: 20 Febbraio 2019

FIRENZE. Quel braccio del lago di Como è un cantiere a cielo aperto, una palazzina restata a metà, come succede spesso nel sud d’Italia, in attesa che i figli, maschi, si sposino e occupino i piani superiori, con ferri e impalcature a vista, teloni e la leggendaria non s’ha da fare scritta sul muro, che durante la rappresentazione perde la sua negazione - perché poi anche Renzo e Lucia vivranno felici e contenti, cazzo -, lasciando il posto al video di Addio ai monti, per l’inevitabile recita collettiva di stranieri dell’ultim’ora. Arriviamo decisamente tardi (lo abbiamo visto solo ieri, al Cantiere Florida, a Firenze; replica stasera, 20 febbraio, alle 21) a recensire I promessi sposi, riletto da Michele Sinisi, che decise di perseverare, tre anni fa, dopo l’orgia di consensi ricevuti con Miseria e nobiltà, conservando, oltre che la stessa formazione (Elsinor alla produzione, Francesco Asselta alla scrittura e le scenografie di Federico Biancalani) l’irriverenza pop di questi incauti, ma brillanti aggiornamenti. Don Abbondio (Stefano Braschi, un conto in banca sicuro), che di coraggio non ne ha mai avuto e il coraggio, uno, da solo, non se lo può dare, anche se arriva dalla platea con il piglio del protagonista per nulla timido, tra tutti, è quello che si allontana meno dal testo originario, insieme al focoso, temerario e incazzato Renzo Tramaglino (Donato Paternoster).

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S'ha da vedere

Pubblicato: 20 Febbraio 2019

FIRENZE. Quel braccio del lago di Como è un cantiere a cielo aperto, una palazzina restata a metà, come succede spesso nel sud d’Italia, in attesa che i figli, maschi, si sposino e occupino i piani superiori, con ferri e impalcature a vista, teloni e la leggendaria non s’ha da fare scritta sul muro, che durante la rappresentazione perde la sua negazione - perché poi anche Renzo e Lucia vivranno felici e contenti, cazzo -, lasciando il posto al video di Addio ai monti, per l’inevitabile recita collettiva di stranieri dell’ultim’ora. Arriviamo decisamente tardi (lo abbiamo visto solo ieri, al Cantiere Florida, a Firenze; replica stasera, 20 febbraio, alle 21) a recensire I promessi sposi, riletto da Michele Sinisi, che decise di perseverare, tre anni fa, dopo l’orgia di consensi ricevuti con Miseria e nobiltà, conservando, oltre che la stessa formazione (Elsinor alla produzione, Francesco Asselta alla scrittura e le scenografie di Federico Biancalani) anche l’irriverenza pop di questi incauti, ma brillanti aggiornamenti. Don Abbondio (Stefano Braschi, un conto in banca sicuro), che di coraggio non ne ha mai avuto e il coraggio, uno, da solo, non se lo può dare, anche se arriva dalla platea con il piglio del protagonista per nulla timido, tra tutti, è quello che si allontana meno dal testo originario, insieme al focoso, temerario e incazzato Renzo Tramaglino (Donato Paternoster).

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Il solito (a)morale, (in)certo, Shakespeare

Pubblicato: 15 Febbraio 2019

PRATO. La bellezza dei gesti, delle parole, delle emozioni, della fisicità come ariete dissacratore, uniti a scritti, datati, anche se privi della certezza del mittente, trasformano questi Sonetti shakespeariani (al Fabbricone di Prato, con repliche stasera, alle 19,30 e domani, 17 febbraio, alle 15,45) in un meraviglioso girone dantesco, dove la lussuria si impadronisce dell’amore e la morte si burla della vita. Ma si può trascendere l’autore, che non ne avrà a male, visto che lo sapeva in vita, di non avere tempo e tempi, e concentrarci sulla figura del regista/poeta/narratore/buffone, Valter Malosti, che è un uomo ferito a morte dal suo tempo e dall’inesorabile vortice cronologico con ancora il diritto/dovere di dare sfogo alle proprie passioni, al canto del suo cuore, alla vibrazione del proprio piacere, alla cura della sua agonia, trasversali, ridicole, goffe, omosessuali, a tratti incestuose, ma sinceramente sublimi, epiche, difficili da non ascoltare, arduo resisterne alla seduzione, impossibili da non annoverare tra quelle cose che il teatro non può prescindere.

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Il musical su Pino Daniele

Pubblicato: 15 Febbraio 2019

FIRENZE. La facilità con la quale la musica e i testi di Pino Daniele trasferiscono le anime degli ascoltatori altrove non è inversamente proporzionale alla semplicità con la quale si possa poi riuscire a imbastire, attorno alla storia delle sue ballate, un’opera. Alessandra Della Guardia e Urbano Lione invece, in debito, probabilmente, come tutti, del resto, con Pino Daniele, sono riusciti a regalargli, postumo, un dono particolarmente ambizioso, ma semplice: raccontare una storia, dai bassi napoletani, lungo i binari di alcune sue canzoni, costruendoci intorno una vicenda affatto fantascientifica. Un giovane napoletano, Antonio, da tempo emigrato a Torino, riceve una raccomandata che gli comunica che suo padre, che non ha mai conosciuto, come lascito testamentario, gli ha lasciato una cospicua somma di denaro e la proprietà di un immobile, che nel tempo è diventato il Ue man, locale storico del sottobosco musicale partenopeo, rifugio prezioso per musicisti, cantanti, attori e ballerini della Napoli meno abbiente, con tanto di sogni e frustrazioni, amori e sesso, personaggi ideali e camorristi, saggi e cantori, scugnizzi e femmine di lusso, bene e male a intrecciarsi meravigliosamente in questa storia on the road.

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A ciascuno il suo. Tormento

Pubblicato: 10 Febbraio 2019

di Alessandra Pagliai

FIRENZE. Chi è tormentato dall'alcol chi dal fuoco, chi alcolista, chi piromane, a ciascuno il suo inferno. Yngvild Aspeli, che dirige la Compagnia franco-norvegese di teatro visivo Plexus POolaire, mette in scena due delle brutte bestie che mordono cuore e cervello all'essere umano. La storia, raccontata sul palco del Teatro di Rifredi, narra le vicende di due giovani uomini vissuti in tempi diversi nel sud della Norvegia, che incrociano il loro scompiglio e perversione nel libro scritto dall'alcolista che si interroga su cosa vediamo quando guardiamo noi stessi: forse un lupo feroce, famelico e orrendo? talvolta si; è il lato oscuro della vita, baby. Bambino all'epoca dei fatti, afferrato dall'ignoto, colpito dalla vicenda per trent'anni, la devastazione del fuoco appiccato da Dag, figlio del pompiere del paese, che ha reso la vita cenere, lo scrittore - bevitore descrive la similitudine dei loro mali oscuri che ha lo stesso codice: il complesso rapporto padre/figlio. Ispirato al romanzo Prima del fuoco, di Gaute Heivoll, Ceneri

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Di rara bellezza

Pubblicato: 09 Febbraio 2019

FIRENZE. Dopo averle urlato brava l’ennesima volta, abbiamo preferito andarcene. Ma non perché il dibattito condotto dal collega (e amico) Attilio Scarpellini seguito allo spettacolo Bad Lambs non fosse gradevole; anzi, senza alcun dubbio qualche nodo ce l’avrebbe sciolto e la comprensione, migliore, ci avrebbe sicuramente consentito una recensione più attenta, dettagliata. Ma ci siamo ingelositi della cascata di emozioni ricevute durante la rappresentazione e siamo scappati a casa, per scrivere, senza aggiungere nulla a quello che siamo sicuri d’aver sentito. Un balletto cocondotto da un ragazzo su una sedie a rotelle, uno senza l’avambraccio destro e un non vedente, che hanno atteso in fondo al palco che il pubblico affluisse tutto, al Cantiere Florida, di Firenze e si sedesse, prima di iniziare, sarebbe potuto essere una coraggiosa perlustrazione, seppur iniettata d’arte, sulla disabilità. Che ci fossimo sbagliati l’abbiamo capito immediatamente, per fortuna, ma non per merito del nostro acume o per le immagini sul fondale del proscenio, la musica profusa, i manifesti attaccati alle pareti, o la cronaca dettagliata dell’incidente. Solo perché ci siamo seduti, rilassati e abbiamo avuto l’umiltà (è questa, forse, l’arma con la quale si può sconfiggere la morte, o almeno il vuoto che produce) di ascoltare.

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La bisbetica pestata

Pubblicato: 08 Febbraio 2019

PISTOIA. Siamo da sempre propensi alle riletture, pur senza scomodare Caetano Veloso e Gilberto Gil, fautori, a tal proposito, per quel che riguarda la musica. E dopo Luigi Pirandello, stravolto con meno impeto e stravaganza, l’Associazione teatrale pistoiese prosegue il tema dei riadattamenti ospitando, nella sua prestigiosa succursale, sfruttata troppo poco, a nostro avviso, il piccolo Teatro Bolognini, La bisbetica domata, di William Shakespeare. La rappresentazione arriva dopo tre repliche mattutine effettuate dalla Factory Compagnia Transadriatica per gli studenti del corso secondario d’istruzione e le voci scolastiche, che la precedono con enfasi, esercitano il loro benefico effetto, visto e considerato che il Teatro è finalmente pieno. Dopo secoli e secoli di riadattamenti, anche Shakespeare, probabilmente, si sarà stufato di assistere a piccole derivazioni tematiche delle sue opere e al cospetto di questa, forse, non senza qualche rimbrotto, si sarà anche congratulato.

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E tutti vissero felici e sposati

Pubblicato: 08 Febbraio 2019

PRATO. Impossibile parlarne male; difficile, restarne stregati. L’atteggiamento neutrale che esterniamo dopo aver visto il riadattamento goldoniano, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto, de Le baruffe chiozzotte, per la regia di Paolo Valerio, si materializza inevitabilmente nel momento delle riaccensioni delle luci del Metastasio di Prato (in replica da stasera a domenica, 10 febbraio). Un’opera eseguita senza alcuna approssimazione, con una gradevolissima libertà scenografica e condotta dall’inizio agli applausi finali con sapienza, musicalità, ordine e tanta disciplina attoriale. E non è certo il chioggiano, slang con il quale conversano i tredici del cast e con un tasso di incomprensibilità altissimo, a indurci in asettiche riflessioni; altrimenti, Emma Dante, dovrebbe stare negli inferi, anziché nell’Olimpo! Ma restiamo a Goldoni, e volentieri. Anche per tessere le lodi, uno a uno, dei protagonisti di questa commedia, che si esaltano singolarmente proprio nella misura in cui il regista riesce a generare quel senso di appartenenza collettiva al progetto.

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Pazzi son quelli che a teatro non vanno

Pubblicato: 03 Febbraio 2019

PISTOIA. Come ci si può riconciliare con il Teatro, qualora, con l’incedere dell’età e dopo aver visto, in parecchie salse, molti dei classici, bilanciati, mestamente, da una parte di quel nuovo che avanza e che fa incazzare, per quanto è brutto e oltretutto presuntuoso? Basta avere la fortuna di imbattersi, come è successo a noi, al Teatro Manzoni di Pistoia (si replica oggi pomeriggio, domenica 3 febbraio, alle 16) in un’opera tra le più rappresentate nel mondo di quel genio di Luigi Pirandello, Così è (se vi pare), ma quella prodotta dal Teatro Stabile di Torino con la regia di Filippo Dini. Subito dopo, si ha voglia di vederne un altro di spettacolo, perché se il Teatro è quello visto in questa occasione, regalatecene ancora, vi preghiamo. Maestoso, divertente, esemplare, incalzante, ironico (non potrebbe essere altrimenti), con due mostri sacri a tirare le fila (Maria Paiato e Filippo Dini), le loro e quelle di tutti gli altri, che si sono goliardicamente ambientati e immersi in questa impeccabile, straordinaria rivisitazione. Di Pirandello e della sua opera, fortunatamente contemplata in ogni ordine e grado in tutti gli Istituti scolastici secondari, non ve ne parliamo, dando per scontato che ognuno di voi, tra chi legge e chi era a Teatro, ne sappia abbastanza per non perdere tempo. Superfluo, potreste obiettare, è anche tessere ancora una volta le lodi di attori che stanno tenendo alto il Teatro.

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Da' retta, fottiti!

Pubblicato: 01 Febbraio 2019

FIRENZE. Dai presupposti biblici e fino a quando esisterà il mondo, probabilmente, nell’unico regno animale pensante, il genere umano, la donna vivrà un’esistenza subalterna a quella dell’uomo. Non a caso, Tarzan, o Adamo, se preferite, riducono drasticamente secoli di storia e fraintendimenti e scesi nudi, dal letto di fortuna sospeso, nella civiltà, dopo essersi vestiti e incravattati, incarnano tre uomini dei nostri tempi, vittime e carnefici di loro stessi, dei ruoli a loro assegnati e dalla presunzione con la quale, più o meno inconsapevolmente, decidono di difenderli. È questo il distico generazionale, imposto in ogni angolo del mondo e a qualsiasi latitudine morale, intellettuale e religiosa, da cui discendono leggendarie convinzioni così radicate da risultare, oggettivamente, inestirpabili. Massimo Sgorbani, Giampaolo Spinato e Roberto Traverso hanno affidato al poliedrico incantatore Alex Cendron le loro rispettive sfumature che sono diventate, assemblate, Fuck Me(n), spettacolo prodotto dal Festival Mixité e da Dionisi Compagnia Teatrale, ideato da Renata Ciaravino, musicato da Paolo Coletta e con la regia di Carlo Compare, in scena venerdì 1° febbraio al Cantiere Florida di Firenze.

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L'eterno dramma familiare

Pubblicato: 31 Gennaio 2019

di Alessandra Pagliai

FIRENZE. L'incommensurabile opera I fratelli Karamazov, nella versione teatrale della Compagnia Mauri-Sturno, per la regia e la riduzione di Matteo Tarasco, al Teatro della Pergola di Firenze fino a domenica 3 febbraio (20,45 feriali; 15,45 domenica), è riuscita a metà. I Fratelli Karamazov, testamento di Fëdor Dostoevskij, ultimato pochi mesi prima di morire, da sempre considerato un capolavoro universale, amalgama di conflitti familiari, infelicità e morte, sangue e redenzione, permeato da interrogativi e certezze sull'esistenza di Dio, fin dal primo sguardo fa tremare i polsi. Dostoevskij penetra nelle vene e nel cervello di ciascuno come in quei 21 grammi chiamati anima, lo fa con un tema che non ha limiti di tempo e di spazio: la famiglia. Un padre ruvido, egoista, incapace d'amore, vittima e carnefice, la sua uccisione. Un parricidio per mano di quei fratelli tutti responsabili, ciascuno per un motivo più o meno manifesto, compreso il giovane e buon seminarista Alëša, il più piccolo dei fratelli, timorato di Dio. In quanto cristiano, porta sulle spalle la responsabilità di non aver saputo fermare tanto odio.

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Quella balera triste, col karaoke

Pubblicato: 29 Gennaio 2019

PRATO. Anche Luca Cottone, quando gli chiedevano come stesse, lui rispondeva sempre: male, non sono mica scemo. Ma erano altri tempi, qualche generazione fa. Oggi è diverso; è tutto più tremendamente facile, anche se tutto è più maledettamente difficile che succeda, soprattutto la felicità. L’unica cosa che è rimasta la stessa, è il malessere, quello che di vivere a volte si è incontrato e si incontra sempre più frequentemente, quasi tutti i giorni. Soprattutto in rete. Sì, perché questa è la generazione informatica, dislessica, ma telematica e prima o poi, durante la giornata, un salto in piazza lo fanno tutti. E qui, siamo onesti, nani e ballerine, spiantati e cocainomani, intellettuali e cubiste, atleti e claudicanti, sono tutti affratellati da un unico senso di desolazione, che è il malessere; della solitudine. Riccardo Goretti, Stefano Cenci e Lorenzo Colapesce Urciullo, guidati da un ex Omino ad origine controllata, hanno centrato in pieno il nichilismo ossessivo generazionale, mettendo in scena Stanno tutti male, che proprio in questi giorni (fino a domenica 3 febbraio, con due repliche straordinarie) sarà al Fabbrichino di Prato in prima nazionale, a tastare con mano la vis attoriale del teatro contemporaneo.

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E la vecchia dove la mettiamo?

Pubblicato: 26 Gennaio 2019

PRATO. Informazioni a raffica, sparate forse con eccessiva lentezza, con una mitraglietta dagli effetti speciali considerevoli, senza tappo rosso, dunque pericolosa, ma caricata a salve e a parte lo spavento, nessuno, alla fine, resterà ferito a morte. Idea scoppiettante questa Queen Lear, parodia shakespeariana, come il drammaturgo avrebbe gradito, portata in scena al Fabbricone di Prato (anche stasera, alle 19,30 e domani pomeriggio, 27 gennaio), che ha coprodotto (il Metastasio, naturalmente) lo spettacolo con Aparte Soc. Coop e Teatro Carcano. In scena le ideatrici/interpreti/audaci Nina’s Drag Queens (Alessia Calciolari, Gianluca Di Lauro, Sax Nicosia, Lorenzo Piccolo e Ulisse Romanò), vallette mute, l’estate scorsa, alla presentazione ufficiale della stagione del Metastasio, che si sono prese ogni licenza possibile e immaginabile. L’autore, William Shakespeare, tratto alla bisogna da Claire Dowie, non avrà probabilmente nulla da dire di questa sfiziosa rilettura;

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Non entra la chiave nella toppa di casa Spadon

Pubblicato: 24 Gennaio 2019

FIRENZE. L’esistenzialismo, se non amletico, ma almeno quello brechtiano, non gli si addice moltissimo. Alessandro Riccio, infaticabile trasformista, dopo aver inanellato incredibili ma meritatissimi successi, che sono quelli che gli impongono lo straordinario di un replica non contemplata sabato 26 gennaio, alle 18, sempre al Teatro di Rifredi, dove si esibirà da stasera fino a domenica pomeriggio 27 gennaio in Serrature, si è voluto maldestramente sgrezzare, perdendo, a nostro avviso, quella carica umana, pittoresca, simbolica e fumettistica che lo contraddistingue. I tutto esaurito che si sono registrati non appena si è aperta l’asta delle vendite dei tagliandi della rappresentazione dimostrano, insindacabilmente, l’affettuosa stima che in particolare il pubblico fiorentino gli tributa da parecchie stagioni, un’affezione quasi da stadio che non richiama nei teatri dove vanno in scena i suoi spettacoli solo e soltanto gli ultrà, lo zoccolo duro dei suoi fan, ma anche e soprattutto i parenti, i conoscenti, gli affini e i curiosi degli irriducibili, che riempiono gli stadi in tutti i loro anelli, non solo in Curva.

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Lasciatelo volare, quel Gabbiano

Pubblicato: 20 Gennaio 2019

PISTOIA. La longevità dei tormenti generazionali delle scritture di Anton Cechov sono stati sui palcoscenici di tutto il mondo e se dipendesse da Marco Sciaccaluga, regista di questa prima edizione de Il gabbiano ante censura zarista, tradotta da Danilo Macrì, prodotta dal Teatro Nazionale di Genova e in scena, oggi come ultima replica, 20 gennaio, alle 16, al Teatro Manzoni di Pistoia, ci resterebbero a lungo. La bravura, indiscriminata, trasversale, totale di tutti e undici i protagonisti addolcisce, da una parte, alzando il tono delle recriminazioni da un’altra, l’oggetto di questa riflessione. Solo uno stolto, ma incallito, eh, e per giunta presuntuoso (come lo sono gli idioti per antonomasia, del resto) stenterebbe a eleggere Cechov come uno dei momenti più importanti della drammaturgia mondiale di tutti i tempi, anche di quelli che verranno e che noi non potremo conoscere, ma in questo momento di passaggio teatrale generazionale, i vecchi classici da una parte, i giovani rampanti dall’altra, c’è urgente bisogno di un collant che non disperda il passato, lo conservi e lo sappia riciclare.

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Editoriale

Piccoli fragilissimi poeti

di Paolo Ferro HO SEMPRE AVUTO la sensazione che i cantautori fossero principalmente dei grandi estimatori di loro stessi. Dei narcisi, egocentrici individui che, in relazione alla propria più o meno grande notorietà, concedessero la possibilità d...

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Fotografia

esterni

di Antonietta Montagano

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Meglio Meno - Direttore responsabile Luigi Scardigli luigi.scardigli@gmail.com
Registrazione 9-2015 del 19 novembre 2015 presso il tribunale di Pistoia.
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