di Luigi Scardigli

Gli applausi, al termine della rappresentazione, sono serviti soprattutto al pubblico, per scaricare la tensione. Perché tutta quella accumulata durante Le presidentesse, venerdì 27 e sabato 28 novembre al Moderno di Agliana, era sul punto di esplodere.

 

Tre donne usate dalla vita e dalle circostanze si ritrovano probabilmente in un girone infernale. A tenerle collegate con la realtà, con i ricordi, una televisione non sintonizzata. E la loro tenerissima rabbia, che entra ed esce dalla vita di ognuna di loro per andare a curiosare in quella delle altre. Solo una delle tre, che ha trascorso la vita a sturare gabinetti e per questo lobotomizzata dalla bontà divina, riesce a metabolizzare l'acredine esistenziale e a riportare la calma e l'armonia. Solo in apparenza. Ognuna di loro, dentro, nutre rancori, asti, cattiverie. Ognuna di loro, dentro, vorrebbe solo poter riavvolgere la pellicola della propria esistenza e inziare di nuovo.

E' tardi, però. La merda le ha già sepolte e con la merda hanno imparato a convivere il resto dei loro giorni, anche se sono nauseate dall'odore e dal colore delle feci. Elisa Pol, trevigiana, Federica Rinaldi, livorne e Maurizio Lupinelli, romagnolo hanno tre diverse storie fantasmagoriche da raccontare. Il figlio di una le scrive continuamente cartoline angosciandola per non aver trovato l'anima gemella. La figlia di un'altra le ha scritto solo una volta, nove anni e mezzo prima, comunicandole di essere arrivata a destinazione e di stare bene. La terza non ha figli. La terza non ha storie. La terza non esiste. La sua diversa abilità la tiene fuori da ogni circuito. Ma lei sa come essere utile, anzi, indispensabile. Senza di lei, i cessi resterebbero intasati, di cacca e di tutto quello che la civiltà vorrebbe disfarsi.

I trascorsi si intrecciano, confliggono, si esauriscono. Sono amori impossibili, blasfemi, incestuosi: con il Papa, con il figlio. Un'operazione teatrale portentosa, così distante dallo spettacolo e così pericolosamente vicina alla coscienza. La vittima sacrificale viene donata in pasto alla demagogia. La provocazione è finita, la tivvù si può spegnere. Fuori, tanto, quelle cose, non succedono. E poi, nessuno le racconta.

 

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