di Luigi Scardigli
PISTOIA. La guerra è già iniziata. O meglio, la guerra, le guerre, anzi, non sono mai finite. Attorno all'industria del dolore e delle morte si muovono un'infinità di macchine e macchinari che senza armi e distruzioni non avrebbero ragione d'essere e noi, l'umanità, con loro.
Siamo una generazione nata sul principio del conflitto: abbiamo radici belliche e intorno alla sofferenza abbiamo costruito le nostre immagini, le nostre esistenze. La terza, alle porte, non solo per i ragazzi di Teatro Sotterraneo, ci sta inesorabilmente allenando all'oscurità, così come le palestre si stanno riempendo di futuribili sopravvissuti.
Questo, in sintesi, War Now!, lo spettacolo che vede in scena Matteo Angius, Sara Bonaventura e Claudio Cirri, un'altra gemma della produzione artistica pistoiese, in prima serata al piccolo teatro Bolognini di Pistoia, la depenance del Manzoni, dove spesso si coniugano e realizzano gli spettacoli di Altri linguaggi. Il pubblico non è numerosissimo perché non è la prima volta che i tre apocalittici presentano questo numero: rivederli correva l'obbligo per piacere, perché loro meritano essere rivisti e non da ultimo per trascriverli tra le note di questo nuovo sito di informazione culturale.
Felici di raccontarvelo, War Now!, perché se è vero che è quasi lo stesso dell'ideazione originaria, l'amalgama cresce a dismisura e non è un elemento piacevolmente inevitabile; i ritmi sono ulteriormente serrati, così come l'impianto scenografico tende alla pulizia più limpida. Anche atleticamente sono sempre più preparati e nonostante i ricnoscimenti e gli applausi continuano a volare bassi, bassissimi. Il melodramma più consumato inizia a fare capolino; non è una pecca, anzi, ma una dimostrazione di umiltà e conoscenza dei trucchi del retrobottega. Anche come pathos si finisce per sentirsi un po' ingabbiati nella morsa del manicheismo e cerchiamo, anche tra chi ci siede accanto, i nostri alleati, come inziamo a detestare i nostri nemici.
Il copione è consolidato: si parte da un test scolastico, velatamente ironico e radiofonico e si entra in scena: prima, durante e dopo. La guerra si insinua nelle nostre abitudini, quasi per gioco. Poi, scoppia veramente e non somiglia quella raccontata fino al giorno prima. Ma poi finisce. Tra i festeggiamenti demagogici dei sopravvissuti, che addololorati e deformati prepareranno il campo alla successiva.
I tre speckers sanno come intrattenere il pubblico: sghignazzano amorevolmente, cantano, ballano e sanno fingere il dolore. Anzi, finiscono per stare male veramente perché la guerra è scoppiata proprio mentre erano in scena e si sa, lo spettacolo deve continuare!
