di Luigi Scardigli

PISTOIA. Era l’anno dei Mondiali del 1982, quelli vinti (dopo un’eccellente combine nella fase a gironi) dall’Italia in Spagna. Fu il Mundial dell’ultimo Presidente della Repubblica amato veramente, Sandro Pertini, dell’urlo infinito di Marco Tardelli, dei sei goals di Poalo Rossi, di un Brasile e un’Argentina calpestate dagli azzurri artefici di una finale, contro la Germania, da cineteca tattica e strategica.

 

A giugno di quell’anno, a Monaco di Baviera, Rainer Werner Fassbinder, 37 anni, veniva trovato morto strafatto di cocaina e psicofarmaci. Ed è a lui che stasera, domani e domenica 20 dicembre, il Teatro Manzoni di Pistoia dedica il suo appuntamento stagionale, con Ti regalo la mia morte, Veronika, un lavoro complesso, ricco, forse troppo, di rievocazioni e richiami cinematografici, che a teatro, probabilmente, non rende quanto merita.

Nonostante una Monica Piseddu in forma stratosferica, condizione strepitosa che le si addice non solo ora che è reduce dall’assegnazione del premio Ubu come miglior attrice del 2015, ma da quando ha iniziato a calcare i palcoscenici. Anche in questa circostanza, diretta da Antonio Latella, l’attrice, che condivide la cervellotica rappresentazione con colleghi di primissimo ordine (Valentina Acca, Massimo Arbarello, Fabio Belliti, Caterina Carpio, Sebastiano Di Bella, Nicole Kehrberger, Estelle Franco, Fabio Pasquini, Annibale Pavone e Maurizio Rippa), consacra se stessa e la sua immensa versatilità scenica, con una presenza fisica sul palcoscenico che stride con la sagoma, elegantissima e minuta, che la vedrebbe più riconoscibile come un’insegnante di flauto traverso.

Il nichilismo fassbinderiano, sui grandi schermi cinematografici, ha un effetto e un impatto con il pubblico decisamente diverso, anche se la collisione resta comunque devastante. Ma al cinema, i piani contaminati, sovrapposti, le sequenze intermittenti, gli stacchi ansiolitici, le pause e i lunghi piano sequenza sono gestiti e gestibili diversamente. A teatro, tutta la messinscena, ampiamente difesa nella rappresentazione pistoiese - prima regionale -, viene letteralmente scalzata via in funzione di un’interpretazione che ha necessariamente bisogno di una comprensione più immediata, diretta, meno arcaica e soprattutto più facilmente comprensibile, soprattutto da un pubblico, quello dei teatri italiani, datato, stanco e scarsamente informato.

Qualcuno infatti, nonostante l’abbonamento privilegiato delle primissime file, durante le due ore dello spettacolo e prima che volgesse celestialmente al termine, ha preferito rindossare il paletot e andarsene, onde evitare mugugni, isterismi o imbarazzanti russate. Anche gli applausi finali, meritatissimi da Monica Piseddu e i suoi comprimari, non sono stati rumorosi e fragorosi come ci si sarebbe potuto immaginare al termine di una prima regionale impreziosita dalla presenza di una delle donne più importanti del teatro che verrà.

Perché è la storia della tossicodipendenza di Veronika Voss e della perfidia della dottoressa Katz e dell’infermiera Josepha, celebrate a loro tempo al cinema di Fassbinder, che perdono vigore e pathos durante la trasposizione teatrale, soprattutto perché ormai, in Italia in particolare, la stessa dei Mondiali del 1982, si è spesso portati a confondere il teatro con lo spettacolo che, utile ricordare, sono due cose parecchio distanti tra loro.

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