di Claudia Pelosin

Regista, coreografo, drammaturgo, Alain Platel è fondatore di Les Ballets C de la B (Les Ballets Contemporaines de la Belgique). Stabat Mater è uno schizzo d’acqua che esce dai confini del palcoscenico di Gand; siamo nel 1984. Pina Bausch, si intende, ha già rivoluzionato il mondo della danza: influenza tutto, colleziona premi.
Bonjour Madame, comment allez-vous aujourd'hui, il fait beau, il va sans doute pleuvoir, et cetera, del 1993, è una frase del corpo, ma non sono le parole che interessano, è il movimento, aperto, che ci coinvolge tutti, quando non si trovano più le parole. Alain Platel racconta della vita attraverso gesti, rumori, spasmi, silenzi, ripetizioni ossessive, teatro-danza.
I movimenti sono istintuali: nascono nel profondo, dove non c’è mediazione, civilizzazione. Qualcuno l’ha anche definita danza etica. E lo è anche nella misura in cui tutti partecipano alla coreografia: nelle prove tutto è permesso, senza confini tra danza, teatro, musica, senza censura ai moti interiori. Fuori da qualsiasi canone estetico. In scena caos, solo apparente. “Il secondo palcoscenico - dice Platel - è dentro ciascuno di noi. E io ho cercato di mostrare che nella vita hai sempre delle opzioni e puoi scegliere, in qualunque situazione, di beneficiare, di godere di ciò che stai vivendo, oppure di non farlo. E come sia possibile, anche in condizioni disumane, evocare ancora la bellezza della vita”.
Tauberbach, Coup fatal raccontano paura, vergogna, bellezza, fisicità, colore, mondi diversi che si incontrano, musica potente che tocca e trascina, umanità ai margini che ci inquieta e rassicura insieme. Corpi che danzano storie. Imperfezione. Perché cosa c’è di più noioso della perfezione?
En avant, marche!, l’ultima produzione, ha come protagonista una banda musicale. La banda è quella della città dove si rappresenta, sempre diversa, “è un microcosmo, una società in miniatura: un collettivo di individui differenti che cerca di tenere il tempo camminando nella stessa direzione”. Una metafora, avanti marche! o un’esortazione, nella consapevolezza che la vita marcia, va avanti anche senza di noi. Nel mondo frantumato in cui viviamo, è un grande regalo assistere a tanta umanità unita a bellezza. E il corpo, cosi presente e intimo, così bello.
