di Luigi Scardigli
AGLIANA (PT). Delle sue battute, a volta anche popolari, popolane e scontate, hanno riso in tutto il mondo, da dove l’idea è nata, al Teatro del Sale, fin nel lontanissimo Giappone. Non c’era nessun motivo insomma perché il pubblico del Teatro Moderno di Agliana si sottraesse da questa ferrea logica del divertimento e non accogliesse il monologo di Maria Cassi, Creapapelle, con tutta l’ilarità, spesso sguaiata, che ne sarebbe convenuta.
Le cose che occorre dire immediatamente sono quelle relative alla sua versatilità, alle doti canore e a quelle maschere di gomma che le si sovrappongono sul viso alla bisogna e che, durante lo spettacolo, ne fa lustro e incetta. Passa, con velocità disarmante, dalla femme fatale parigina, al barista armato di ben pochi fronzoli di Fiesolé, indossando, virtualmente, gli abiti d’alta moda della prima e quelli modesti e usuali del secondo. La storia di Crepapelle, spettacolo datato e già pluriapplaudito in tutto il Mondo, rispettato alla lettera, più che fedelmente, dal salone del teatro aglianese occupato in ogni poltrona, è una serie innumerevole di piccoli e grandi sketch, popolati solo e soltanto dalla ideatrice e mattatrice solitaria della rappresentazione, che si avvale di una scenografia minimalissima (una poltrona, nel bel mezzo della scena, che sa di trono, ma che invece è solo il posto a sedere di un autobus di linea, tanto parigino quanto fiorentino; un ombrello, che non serve a ripararla da nulla e nemmeno a marypoppinseggiare e una borsa nera, con sopra un baschetto parecchio parigino, appoggiata su un’altra sedia, al lato del palco) e di tutta la sua sperimentata creatività, rodata da circa dieci anni dal giorno dell’invenzione e oliata da migliaia di repliche.
Un’ora e mezzo abbondante di battute, battutacce, ammiccamenti, allusioni, smorfie pagliaccesche, canzoni a cappella, piccoli esercizi da anziani in palestra, interrotti in appena tre circostanze da un buio artificiale che serve idealmente a trasferire il piano umoristico altrove, ma sistematicamente dalle risate del pubblico, che spesso, anche fuori coordinazione, ha reputato opportuno tributarle applausi.
Una commediante preparata, Maria Cassi, che riesce a celare le inevitabili origine del proprio slang fiesolano con spigliata dimestichezza, salvo poi immergercisivi con furore liberatorio ogni volta che deve contrapporre all’elegante controllo transalpinico la schietta, burbera e inconfondibile sguaiatezza stilnovista.
