PISTOIA. Difficile scostarsi dall’uomo della tua vita. Specialmente quando si chiamava Luca De Filippo, figlio di Edoardo: una parte, imprescindibile, del teatro, anche di quello che verrà. Però la vita prosegue, imperterrita, la propria corsa e non ci si può permettere il lusso di fermarsi: si deve ricordare – senza memoria non esiste futuro – e si deve pensare, ma occorre rielaborare, altrimenti si rischia di proseguire alla cieca, perché camminiamo voltati.

 

Carolina Rosi, la vedova di Luca De Filippo, mattatrice straordinaria, ieri sera, come in tutte le altre circostanze, della rappresentazione Non ti pago, idea del suocero riletta dal marito, si è raccontata un po’, tradendo, con la compostezza di una donna dello spettacolo, un briciolo di emozione, nella saletta del Manzoni, con tutto il resto della compagnia. Ha parlato degli ultimi giorni del suo e del nostro Luca (patrimonio culturale nazionale, da questo deriva il plurale), quando ha per forza di cose dovuto fare a meno di lui, accanto e sul palco, per mandare in scena la commedia. E’ lì, ha detto, che ho capito l’amore per questa professione e che il dolore della perdita imminente di Luca si sarebbe trasformato in energia, grinta (cazzimm’: lo ha pensato, forse, ma non se lo è fatto scappare di bocca). E tutta la compagnia ha risposto con ferocia, lasciando inalterato, senza muovere nemmeno uno spillo, il copione di Luca. Certo, Gianfelice Imparato, come chiunque protagonista dello spettacolo, ha portato in scena la sua carica e la sua personalità, ma è come se Luca fosse lì, presente: e non a monitorare, ma come se la sua volontà, che coincideva puntualmente con la sua scuola, fosse qualcosa di inalterabile, alla quale la compagnia ha portato, passionalmente, rispetto.

Una dichiarazione portentosa, ma sottovoce: un debito inconfessabile, forse, o un sogno, come quelli che hanno fatto la fortuna del giovane Bartolini.

Pin It