di Claudia Pelosin

Il titolo, Gaudeamus, si ispira a un canto goliardico medievale; la storia è tratta da una novella di Kaledin - censurata in patria - sulla vita di un gruppo di militari dell’Armata Rossa durante un’esercitazione in tempo di pace. Lo spettacolo, cosi come la storia, mette in scena la vita di alcune giovani reclute, ragazzi provenienti da remote regioni asiatiche, che spesso non parlavano nemmeno russo, costretti da logiche militaresche ai lavori più duri e umilianti.
In teatro, una distesa di neve bianca assorbe fisicamente gli attori: è subito musica, ironia, energia. Il pubblico sodalizza con Babaj e Kerimov; ride della parossistica e rigida disciplina del codice militare. Le diciannove improvvisazioni sono quadri fantastici che rimandano alla più felice tradizione russa, ma che non esitano a prendere in prestito il Minuetto di Boccherini per far danzare come angeli improbabili i ragazzotti-soldati in divisa, oppure l’Ave Maria di Schubert per librare ballerine in tulle e stivali militari. Gioia e leggerezza si alternano a momenti drammatici: dalle prime rudimentali regole della vita di un battaglione fatta di insulti e mortificazioni, ai congedi pieni di vodka e vomito, fino ai sogni romantici dei protagonisti. L’umorismo si alterna alla commozione e si adombra fino a diventare primitivo e barbaro, quando la sessualità casuale irrompe nella notte e si fa ancora poesia quando un ragazzo sogna di ballare con una bellezza locale un pas de deux sopra un grande pianoforte.
Esplosioni di danza e musica sottolineano i momenti più significativi, quelli in cui la vita militare si mescola a quella reale. Un tema sempre attuale quello di Gaudeamus - messo in scena la prima volta nel 1990 subito dopo la caduta del muro -: l’assurdità della vita militare e della guerra, la manipolazione esercitata dal sistema sul singolo, la crudeltà della vita. Ma quel che interessa a Dodin è mostrarci il lato umano di tutta la faccenda: abbiamo pensato di non parlare solo del livello più basso, del fondo che può toccare l’uomo, ma anche di come l’uomo può essere, delle sue potenzialità, della sua essenza in positivo. Non basta far vedere lo sporco: bisogna creare un sentimento di compassione verso chi vive in questo stato e il vero teatro ci vendica. Siccome le grandi emozioni restano fondamentali, un teatro vivente toccherà il cuore di ogni essere umano.
Il teatro vivente è quello fatto dagli attori della Compagnia del Maly, fondata da Dodin. Giovani che non solo recitano, ma cantano e danzano e suonano almeno uno strumento; sono gli ex studenti dell’Accademia Teatrale di San Pietroburgo, dove il regista tuttora insegna.
