di Luigi Scardigli

PISTOIA. Giù il cappello: sul palco del teatro Manzoni è da poco terminata Due donne che ballano (che sarà replicato domani sera, sabato, sempre alle 21 e domenica pomeriggio, alle 16). A dare corpo e sostanza ad una piccola storia ignobile ci hanno pensato due talenti puri: Maria Paiato e Arianna Scommegna, la vecchia bisbetica e la sua colf, con un contratto sottoscritto dalla figlia che prevede le pulizie e le faccende per due pomeriggi a settimana.

 

Tratto da un’idea del padre del teatro catalano, Josep Maria Benet i Jornet e tradotto, per noi, da Pino Tierno, l’interminabile colloquio nel salone del fatiscente appartamento in affitto tra la vecchia scorbutica e la sua governate è semplicemente straordinario, un elastico di impressionante flessibilità, che trasforma le due meravigliose mattatrici in un continuo camaleontismo di dolcezza e sadismo: la prima buttata lì, sul tavolo, quasi di soppiatto; il secondo distillato con perfida precisione, chirurgicamente centellinato, così violento da non poter non voler sconfinare nel suo esatto opposto. Al dolore chimico della vecchia collezionista di giornalini fa da pericolosa bilancia quello della sua compagna saltuaria, la maestra a tempo determinato, con cattedra ad orario ridotto, che arrotonda il modesto salario con lezioni private e qualche ora di pulizia in giro per la città. Entrambe covano un dolore più grande delle loro possibilità e tutte e due ne rivendicano il primato, indispettendosi nel doversi confrontare con le altrui pene, che non possono certo competere con le loro.

Un incalzante avvicinarsi alle rispettive emotività, accompagnato da qualche spunto sarcastico, di tragica comicità, che è il preludio a quel gioco di luci e ombre (complimenti a Gianni Staropoli) che sono l’alternativa, concreta e gradevole, ad atti ignorati e trasformati in una lunga e solitaria scena unica, resa ancor più meravigliosamente modesta dal minimalismo scenografico, ritmato dalle musiche floydiane di Paolo Coletta e dalla geometrica precisione delle scene di Barbara Bessi. Una storia gucciniana, anzi, due, elementari, quasi scontate, di solitudine e violenza, abbandono e voglia di rivincita, dignità calpestate, riscatti rimandati a data da destinarsi e quasi mai messi in pratica, inesorabili rese, inevitabili, unici conforti eutanasiaci ad esistenze irrimediabilmente segnate nelle premesse e nei loro destini. Una collezione umorale affidata a due donne meravigliose, due teche preziosissime del teatro italiano, con una potenza didascalica e figurativa impressionanti, una carica emotiva esplosiva, una semplicità disarmante. E un dolore inconsolabile, quello descritto e per nulla sottinteso dalla regista, Veronica Cruciani, alla quale rivolgiamo un lunghissimo applauso, per aver scelto due animali come Maria e Arianna e per non aver scelto né l’una, né l’altra, ma tutte le donne.

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