di Luigi Scardigli

FIRENZE. Ipnotici, nonostante il nulla di cui parlano. Lo si capisce immediatamente che quei due sul palco, paradosso nichilista, magia teatrale, abbiano qualcosa di particolarmente coinvolgente da raccontare. Eh sì, perché appena la direzione del Cantiere Florìda, a Firenze, consente al pubblico di accomodarsi in sala, nonostante si conoscano un po’ tutti, gli spettatori, tra colleghi, loro, colleghi, nostri e parecchi alternativi di professione, la voglia di vederli all’opera supera, di gran lunga, le ciance di prima dello spettacolo. Daria Deflorian e Antonio Tagliarini del resto, sono già pronti per il loro Reality: aspettano che tutti si siano accomodati, magicamente silenziosi all’unisono; si guardano ancora una volta e capiscono di poter iniziare.

 

L’umorismo inglese introduce benevolmente la serata: sulla scena, occupata da tre faretti, e, su uno dei due lati laterali, un tavolino, una poltrona con telecomando per la tv e qualche corredo da colazione, non c’è assolutamente nulla. Difficile rappresentare la morte improvvisa di Janina Turek, colta da infarto nel bel mezzo della strada, una mattina, di ritorno da un supermercato. Si alternano, saltimbanchi in prova teatrale, a scegliere come farla morire, come decidere di vederla accasciarsi a terra, su una via parecchio dell’Est. Non è facile raccontare la morte di Janina: non ci sono fonti storiografiche che ne hanno eternizzato l’epilogo, ma è di lei che vogliono parlare, della sua vita, anonima come quella di milioni e milioni di altre donne, non necessariamente polacche. Con una nevrotica, incomprensibile sostanziale e unica differenza: che Janina, della sua vita, modesta e mimetizzabile con quella di chiunque altra, ha scritto tutto, tutti i fatti. Ha riempito un vagone di quaderni sui quali, dal giorno dell’arresto di suo marito da parte delle truppe della Gestapo a Cracovia, ha dovuto continuare a vivere da sola occupandosi e preoccupandosi di tirare su tre figli. Ha numerato tutto quello che le è successo, di spessore cronachistico: telefonate e regali, fatti e ricevuti, colazioni, pranzi e cene consumate, gente incontrata, viaggi consumati, corrispondenza inoltrata e ricevuta, acquisti. Una sequenza temporale tassonomica, puntuale, psicotica, marginale, irrilevante. Ma rassicurante. Almeno per lei. I numeri non sono estratti da un’urna della lotteria: sono consequenziali, scanditi dalle giornate e appuntati solo sui fogli posti alla sinistra dei quaderni; sull’altra, gli eventuali appunti, correzioni, precisazioni. Una vita senza senso alcuno e per questo appuntata in ogni suo istante. Se non ci avesse pensato Janina stessa a scandirsi l’esistenza, chi altro si sarebbe messo all’anima di farlo?

Materia Prima, del resto, la rassegna organizzata dal teatro Cantiere Florìda di Firenze per questo mese di marzo, è su questi messaggi trasversali che punta il suo umore. Dopo l’esordio affidato a quelli di Punta Corsara con il loro Amleto travestito e in attesa di veder consumarsi gli altri appuntamenti in cartellone, la seconda proposta è di gran lunga disallineata, anche se affidata ad un premio Ubu (2013) e ad un danzattore performere, due personaggi, in pratica, che sul palco sanno come salirci e restarci, per lungo tempo. Ma la storia che raccontano, partendo dalla fine tragicomica, almeno per come viene abbozzata, è una di quelle così inosservabile e inosservata che non può non calamitare l’attenzione. La radiocronaca è scandita, seppur chirurgicamente scoordinata; si passa dal 1956 al 1981 come se nel mezzo non ci fosse stato nulla. Infatti non è successo nulla, se non numeri, maniacalmente appuntati e dunque consegnati ai posteri. Che non esistono e che non daranno il minimo peso a quella nevrotica scansione, utile, forse, a non abbandonare Janina al suo solitario destino, con una parabola teatrale che, come la storia raccontata, rovescia il proprio umore; si ridacchia, all’inizio, perché il tono surreale lo impone. Ma con il trascorrere del tempo, che non ha alcun significato, ci si incupisce e si ha la netta impressione, fino a toccarla, di vedere veramente sul palco Janina Turek, con i suoi numeri, le sue finzioni, la propria rumorosa solitudine.

 

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