di Luigi Scardigli

FIRENZE. Un applauso interminabile al teatro, alla carriera, ad un’intelligenza finissima, di donna spumeggiante e divertente, bella e sensuale, semiseria; al coraggio, leonino, di non uscire di scena, ma di restarci, seppur con mille attenzioni, quelle che l’artrite reumatoide le impongono da quando la malattia si è impossessata dei suoi muscoli. Recita seduta, Anna Marchesini, vestita di bianco, abbigliamento che irrora luce ulteriore dai tre occhi di bue che la isolano da tutto il resto. Il resto, in realtà, è poco altro, scenograficamente; il trio jazz Aire de mar sono una variante gradevolissima al monologo dell’attrice, interrotta solo saltuariamente, dalle arie dei tre strumentisti, che partecipano, da spettatori privilegiati, alla tagliente digressione di Cirino e Marilda non si può fare, lo spettacolo andato in scena, ieri sera, alla Pergola di Firenze e che sarà replicato fino al prossimo 24 marzo.

 

Fino al 2006, però, fino alla scoperta della malattia, che l’ha minata nel corpo, non certo nel gusto satirico dell’esistenza, Anna Marchesini, nata in compagnia di Massimo Lopez e Tullio Solenghi e del loro indimenticabile trio, a teatro c’è stata con una padronanza e un senso spropositato della misura eccessiva da regina. Alla Pergola poi, erano molti gli spettatori che hanno affollato la sala ieri sera che avevano ancora negli occhi l’irresistibile Cerimonia del massaggio, ultima apparizione autonoma (2005) di Anna Marchesini nell’olimpo del teatro fiorentino. Ma dall’artrite reumatoide non ci si separa, purtroppo, nemmeno il tempo di un’esibizione. E allora, visto e considerato che senza teatro una pantera come lei non può certo stare, si aggira l’ostacolo, si frenano le esuberanze mimiche e dialettali e si va in scena lo stesso, affrontando uno sforzo disumano contemplato comunque dalla sua inarrestabile energia. La storia, nonostante il titolo la possa far sembrare e spacciare, approssimativamente, per una leggenda paesana, è in realtà un’acutissima scrittura teatrale studiata per evitare di dover ricorrere a scene e personaggi. Cirino Pascarella è un anziano e solitario professore a cui Olimpia, invadente, robusta e pragmatica titolare di una pensione, dove l’attempato docente soggiorna, vorrebbe affibbiare, in matrimonio, la figlia Marilda. Una commedia che strapperebbe risate a scena aperta se potesse godere del movimento, surreale e pacchiano, dei personaggi presi in prestito dall’idea della sua inventrice. Che ha invece deciso di non arrendersi, di osare laddove solo aquile temerarie riescono a volteggiare fino a riuscire a produrre analogo effetto anche solo facendo ricorso alla sua incommensurabile immaginazione. E prorpio nel rispetto della sua immaginazione che la digitale che ci portiamo sempre dietro è rimasta nella custodia, anche al termine dello spettacolo: ce lo ha chiesto, gentilmente, Matteo Brighenti, factotum della Pergola; stavolta, accontentatevi di una foto di repertorio. Va bene lo stesso.

Prima dello spettacolo, lungo via della Pergola, a venti metri dal teatro, abbiamo fortunatamente ritrovato quello spaccio di leccornie e calore nel quale ci eravamo imbattuti, per provvide coincidenze, alcuni mesi fa e che è l’omonimo bar tabacchi, dove abbiamo trovato il tempo e la fortuna di sederci per rifocillarci prima della rappresentazione. Una premessa delicatissima ulteriormente impreziosita dalla postilla jazz nella quale ci siamo imbattuti al termine dello spettacolo, quando, decidendo di perderci per le vie di Firenze abbiamo avuto la terza fortuna della serata, quella di ritrovarci con un Nico Gori, il sax prediletto da Stefano Bollani, in compagnia di due vecchi amici, il tastierista Franco Santarnecchi (reduce dalla tournée con Jovanotti) e la sontuosa batteria di Piero Borri a deliziare gli avventori notturni.

 

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